La malasanità di Monti Roberto Pizzuti ha messo in luce su queste colonne, dati OCSE alla mano, i più forti costi sul Pil della sanità privata negli Stati Uniti a fronte di una copertura solo parziale della popolazione. Non si vede infatti in che senso la sanità privata dovrebbe essere meno costosa e più efficiente di quella pubblica, anche a fronte dell’invecchiamento relativo della popolazione che, non v’è dubbio, contribuirà ad accrescere le spese sanitarie. Volendo rimanere nell’ambito della “teoria del benessere” – la branca “buonista” della teoria neoclassica dominante – ogni sistema sanitario, pubblico o privato, si fonda su un principio assicurativo: come per gli autoveicoli, tutti si contribuisce a un fondo assicurativo comune utilizzato da coloro che vanno incontro a sfortunati eventi. Questo è fatto con principi redistributivi nel sistema pubblico, per cui a parità di prestazioni chi percepisce redditi più elevati contribuisce inmisura maggiore; senzaprincipi redistributivi nel sistema privato, per cui la fascia più benestante della popolazione si crea la propria assicurazione sanitaria in cui paga molto e avrà prestazioni di ottima qualità (e comunque ampia copertura delle spese), mentre la fascia più disagiata paga meno con prestazioni di minore qualità (e comunque solo parziale copertura delle spese). Le spese assicurative sarebbero inoltre assai onerose e dunque negate al crescere dell’anzianità dell’assicurato (essendo, ahimè, la probabilità di incorrere in spese sanitarie legata all’età). Va poi ricordato come le assicurazioni private mirano a realizzare profitti che vanno a ridurre le prestazioni a parità di contributi (nella mia esperienza aderisco a una mutua sociale che, nonostante le nobili origini nel movimento operaio, ha dei costi di gestione che mi appaiono abnormi). Se oltre alla privatizzazione parziale o totale delle modalità di finanziamento della spesa – dalla fiscalità generale alleassicurazioni private –si aggiungesse quella dell’offerta dei servizi (privatizzazione degli ospedali), la ricerca del profitto farebbe lievitare ulteriormente i costi del sistema. Fuori dagli infingimenti assicurativi tipici dell’economia borghese, il colpo al SSN è un ulteriore sferzata alla parte indiretta del salario dei lavoratori relegati a un welfare per i poveri (che, com’è noto, non può che essere un povero welfare state). Monti si mostra preoccupato che con l’invecchiamento della popolazione il finanziamento di una spesa crescente del sistema sanitario nazionale comporti una maggiore imposizione fiscale sui redditi. Ma se al contributo che già si versa al SSN come parte dell’imposizione fiscale – e che non verrà ridotto – si aggiunge una quota addizionale da versarsi alle assicurazioni private, qual è il vantaggio per i redditi dell’insieme del ceto-medio? Nessuno a fronte in realtà dei molti svantaggi, costi maggiori e maggiore diseguaglianza nel diritto alla salute.L’unico vantaggio è per isuper-ricchi che non vedranno accrescere la loro contribuzione alla sanità sociale. Insomma, un sistema privato è più costoso, inefficiente e ingiusto di uno interamente pubblico. Questo va naturalmente migliorato, e molto è stato già fatto come testimoniato dal bell’intervento di Stefania Gabriele nell’e book Oltre l’austerità. Mentre dunque il sistema pubblico è il migliore per affrontare l’invecchiamento relativo della popolazione, sono le cieche politiche di austerità a predisporre un futuro buio per questo paese, giovani senza lavoro non in grado di sostenere anziani la cui vita attesa non potrà che, a quel punto diminuire, come accaduto in Russia dopo la fine del socialismo reale. Una bella soluzione per una conquista sociale – vivere più a lungo assistiti – che lei invece, prof. Monti, vede solo come un problema. Crediamo che con le sue ripetute dichiarazioni Lei abbia manifestato i suoi veri scopi: smantellare i diritti sociali e tutelare i cetidominanti. Anni fa ElsaFornero propose piani di privatizzazione del sistema previdenziale pubblico che la migliore letteratura internazionale (fra cui chi scrive, si parva licet) dimostrò economicamente inconsistenti. Neppure bravi economisti, dunque, e con una agenda chiaramente antipopolare. E’ chieder troppo che Bersani e Vendola prendano apertamente le distanze, ora e per il futuro, dall’agenda-Monti trasformando queste elezioni in un referendum pro o contro l’austerity? Sergio Cesaratto – da il manifesto(...) Monti: "Servizio sanitario nazionale a rischio" Il sistema sanitario italiano è a rischio. E l’unico modo per garantirne la sostenibilità è individuare “nuove modalità di finanziamento”. L’allarme lo ha lanciato il premier Mario Monti, intervenendo in collegamento a Palermo durante l’inaugurazione di un centro biomedico della fondazione Ri.Med (nata nel 2006 da una partnership internazionale fra governo italiano, Regione Sicilia, Cnr, University ofPittsburgh e University of Pittsburgh Medical Center). La crisi economica ha intaccato la sanità pubblica, ha spiegato Monti, anche se il premier ha assicurato che “il governo è un prezioso alleato” del settore. “Il momento è difficile – ha premesso il presidente del Consiglio – la crisi ha colpito tutti e ha impartito lezioni a tutti. E il comparto medico non è stato esente né immune”. E mentre i primari oncologi denunciano il “rischio estinzione di un reparto su tre” si delineano prospettive negative per il sistema sanitario nazionale che, secondo ilministro della sanità Renato Balduzzi, presente a Palermo, “nelle classifiche internazionali è sempre in testa, nei primi cinque posti quale che sia il criterio di classifica”. Monti: “Poche occasioni per guardare al domani con speranza” – Monti ha proseguito il suo intervento sottolineando che “le proiezioni di crescita economica e quelle di invecchiamento della popolazione mostrano che la sostenibilità dei sistemi sanitari potrebbenon essere garantita” incluso quello italiano “di cui siamo fieri” e a cui puntualizza, “il ministro Balduzzi lavora incisivamente per migliorarlo ulteriormente”. Tuttavia “non sono moltissime in queste giornate, in questi mesi, le occasioni che il presidente del Consiglio o i ministri hanno per guardare all’oggi con grande conforto e per guardare al domani con grande speranza”. Secondo il Professore oggi la priorità è trovare ”nuove modalità di organizzazione dei servizi e delle prestazioni. La posta in palio è chiaramente altissima – ha continuatoMonti – l’innovazione medico-scientifica, soprattutto nella fase di industrializzazione, deve partecipare attivamente alla sfida considerando il parametro costo-efficacia un parametro non più residuale”. Monti, citando l’esempio del centro per le biotecnologie e la ricerca biomedica inaugurato a Palermo, ha sottolineato che “questo dà punti concreti di riferimento ad un Paese come l’Italia che ha dovuto purtroppo concentrare tantissimeenergie negli ultimi 12 mesi per rivedere la luce, dopo una fase nella quale abbiamo rischiato di essere travolti dall’emergenza finanziaria”. Nonostante questo il Paese, ha proseguito il Presidente del Consiglio, “deve al più presto andare in avanti verso la costruzione del proprio futuro, che non è scindibile dal futuro della comunità internazionale”. Balduzzi: “Ricerca deve essere trasparente. No alle raccomandazioni” – Oltre alla sfida dei nuovi finanziamenti sollevata dal premier, il ministro Balduzzi ha evidenziato l’urgenza della trasparenzanella procedura di selezione in ambito sanitario contro la ‘cattiva abitudine’ delle ‘raccomadanzioni’. “Le parole di questa mattina – ha detto – sono state sfida, transnazionalità, innovazione e sviluppo. Questo progetto è una sfida” e “ci sono le condizioni per vincerla, ma tutti devono fare la loro parte”. Secondo il ministro, “la medicina personalizzata e quella preventiva” sono “le frontiere della medicina di domani” e l’obiettivocomune, ha sottolineato, “è riuscire a conciliare sanità e sviluppo. Dopo la crisi il volano del rilancio sta in questo. Bisogna cambiare mentalità e lessico e tenere fuori dalla sanità la cattiva politica”. Che, di fatto, c’è. “Noi viviamo in una terra con qualche cattiva abitudine – ha aggiunto Balduzzi – lo spirito di clan, le raccomandazioni. Nella ricerca sanitaria ci sono invece, lo ribadisco, procedure trasparenti”. La trasparenza è proprio l’obiettivo su cui bisogna puntare perché “quello che i giovani ci chiedono è non solo mettere risorse, cosache già stiamo facendo, ma trasparenza nelle selezioni“. Anaao Assomed (associazione medici dirigenti): “Dichiarazione di default” - ”Le parole del premier Monti sono di fatto una dichiarazione di ‘default’ del sistema sanitario universalistico come quello italiano. E per la prima volta viene esplicitato il problema della sostenibilità del nostro sistema sanitario”. Ad affermarlo è il segretario nazionale dell’Anaao Assomed,Costantino Troise, commentando le affermazioni del premier intervenuto in collegamento a Palermo. “Quando parla di dover trovare nuove modalità di finanziamento, Monti – avverte Troise – sembra voler aprire al privato, magari con un modello come il ‘Medicare’ americano” E si domanda se il premier sia “già in campagna elettorale?”. Bersani: “Bisogna garantire il sistema sanitario nazionale. Su questo non mollo” – Così il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, parlando al Corriere.it commenta le parole di allarme di Mario Monti sul Ssn. “Bisogna garantirlo,ovviamente, le difficoltà saranno gravi, io non mollo sul sistema universalistico”. Per Bersani serve una riflessione sul sistema per introdurre migliori pratiche, ma “i tagli lineari non vanno bene”. “Se arriviamo a un punto in cui ci sono due sanità, per chi ha più e per chi ha meno, siamo al disastro non solo sociale ma anche economico. Penso di essere un po’ più ottimista di Monti, ma va bene che ci sia qualcuno che ritienenecessario il sistema universalistico. Il concetto basico davanti a problemi come la salute è che non c’è né povero né ricco, si deve procedere con pragmatismo ma senza derogare da quel principio perché altrimenti andiamo fuori strada completamente”.(...) ’Ssn è bene comune. Ma occorre innovarlo’ Mutare il volto del Ssn al grido “Cambiare l’Italia, difendere il diritto alla salute”. Questo lo slogan della nuova versione dell’Agenda Sanità della Lista Monti presentata oggi a Roma. Un programma molto più corposo, composto da 24 pagine in cui ognuna delle 16 voci che lo costituiscono è spiegata nel dettaglio, con riferimenti a quello che il governo Monti ha fatto e quello che la lista del premier uscente si propone di fare. Si parla del rapporto pubblico e privato che devono essere alleati per i diritti dei cittadini, si parla del regionalismo e viene affermato come il nostro Ssn sia un sistema multilivello. C’è poi il capitolo dedicato alla trasparenza e almerito con l’affermazione: “la sanità si gestisce così”, e quello della sanità partecipata con il rapporto con i comuni per rispondere ai bisogni delle persone. È possibile spendere meno? si chiede il programma, la risposta è “no” ma è possibile spendere meglio. Sempre sul fronte dellaspesa-finanziamento quello che viene proposto è un finanziamento più equo con la riforma dei ticket per contenere la spesa delle famiglie e favorire un accesso più responsabile ai servizi. Trova posto anche un capitolo dedicato alla prevenzione, uno all’attenzione delle fragilità in difesa dei più deboli. Infine la parte relativa alla salute come fattore di crescita e di sviluppo dove si dà risalto alle professioni, alla formazione e all’innovazione, ma anche si ipotizza di ridefinire i rapporti tra interessi economici e politica sanitaria attraverso una corretta cooperazione tra pubblico e privato, stimolando la concorrenza, neutralizzando le rendite di posizione e contrastando i conflittid’interesse. Chiude un capitolo delicato che è quello del rapporto tra medico e paziente dove fiducia e informazione, salute e sicurezza devono proceder di pari passo contro la medicina difensiva e per il governo del rischio. Il punto cardine del progetto messo a punto dalla lista chesostiene il premier parte dall’assunto che “il Servizio sanitario nazionale (SSN) è un bene comune della nazione e va difeso. Ma oggi, come ieri, per difenderlo è necessario innovarlo” magari strizzando l’occhio a forme di sanità integrativa. Sgombrato subito il campo dagli equivoci ed evidenziato come già in parte gli interventi del Governo Monti (Spending review e Legge Balduzzi) abbiano tracciato la via ecco le proposte in sintesi: Merito e trasparenza L’idea è quella di una sanità che si ponga “in una zona franca dalla politica” e che si doti “di competenze professionali autonome, di processi decisionali basati su una logica di programmazione e pianificazione che parta daibisogni di salute della popolazione e sia supportata dall’evidenza scientifica e non più condizionata dagli interessi di parte”. Altro tema quello della trasparenza per cui secondo la Lista Monti “le prestazioni rese dal SSN dovranno essere chiaramente definite e facilmentemisurabili, in modo che ogni cittadino possa comprendere quali sono i suoi diritti ed essere in grado di esigerli. L’avvio del nuovo Portale nazionale della salute permetterà a tutti di sapere chi fa che cosa in sanità, con quali volumi e con quali esiti”. Più Ministero della Salute Politica e sanità separate, più trasparenza ma non solo per i montiani “si dovrà intervenire con un rafforzamento degli organi centrali e degli strumenti di indirizzo, supporto e controllo, a partire dal Ministero della Salute”. Responsabilità professionale In questa nuova architettura etica ed istituzionale l’Agenda Monti guarda anche alla questione della responsabilità professionale chetocca i professionisti del Ssn che “devono veder riconosciuta la loro funzione sociale di promozione della salute, anche attraverso eque e ragionevoli soluzioni al problema della responsabilità professionale, nel solco di quanto avviato dal c.d. decreto Balduzzi con l’obiettivodi ridurre il ricorso a pratiche di “medicina difensiva”, che non sono utili alla salute dei cittadini e che gravano pesantemente sulla spesa sanitaria”. Collaborazione tra Pubblico e privato L’obiettivo è quello di una collaborazione che “deve essere soggetta a regole chiare e trasparenti, mentre dovranno essere chiarite le prestazioni erogabili tramite i fondi integrativi, in ottica complementare e non alternativa al SSN”. Si dovranno, inoltre, rivedere le regole di gestione e adottare specifiche norme anti–corruzione. Crescita: La sanità non è un costo Partendo da questa tesi sono due le proposte specifiche. La prima riguarda l’edilizia sanitaria. “Dal 1988 adoggi sono stati stanziati per l’edilizia sanitaria 16,84 miliardi di euro. Ma solo poco più del 40% è stato speso. Si tratta di fondi riservati alle Regioni, finora non confluiti in accordi di programma. Rimangono oltre 6 miliardi di euro con i quali sarebbe possibilecostruire, soprattutto al centro sud, almeno 34 ospedali di alta specializzazione, con 500 posti letto ciascuno, per un totale di 17 mila posti letto. Questo piano straordinario di edilizia sanitaria creerebbe circa 34 mila posti di lavoro in 5 anni”. Altra proposta attiene all’informatizzazione dove “occorre fare di più, investendo nei prossimi anni risorse adeguate: secondo analisi largamente condivise un investimento di 6 miliardi di euro in tre anni, da reperire anche attraverso idonei partenariati pubblico-privati, potrebbe produrre risparmi per 15 miliardi l’anno e creare migliaia di posti di lavoro”. Ricerca: più sinergia tra i soggetti coinvolti L’obiettivo è quello di “sostenere epotenziare la ricerca biomedica e biotecnologica, favorendo la collaborazione tra università, CNR, altri enti di ricerca e industria, affinché il nostro Paese trattenga e attragga scienziati e tecnici e diventi produttore di nuove cure. Il progresso della medicina sarà cosìanche elemento di attrazione e creazione di nuove imprese e posti di lavoro qualificati”. Prevenzione: più investimenti Per i montiani occorre destinare più risorse al comparto coinvolgendo università, enti di ricerca e imprese. Ticket ed equità In un’ottica di maggiore equità e alleggerimento del peso fiscale viene proposta una riforma dei ticket in base al reddito (che però dovrà essere preceduta da una revisione del calcolo del modello Isee) e delle esenzioni, il cui sistema attuale “è sostanzialmente iniquo, perché permette a categorie di pazienti con reddito alto di non pagare i ticket e porta a un eccessivo e inappropriato consumo di sanità”.(...) Sanità, approvata la ’rivoluzione’ Balduzzi, ma la legge è rimasta lettera morta Doveva essere la riforma che avrebbe rivoluzionato la sanità in Italia, portarci il medico di base h24, nuove prestazioni convenzionate, un servizio ”più trasparente, efficiente e sostenibile”, invece il decreto Balduzzi è rimasto in larga parte lettera morta. Per mesi si è parlato di una svolta nella sanità, ma ad oggi la svolta non è arrivata, o quantomeno è monca. Non solo. In questa campagna elettorale infuocata, in cui sono candidati tra gli altri Mario Monti e l‘ex ministro della Salute Renato Balduzzi, si è parlato di quasi tutto, tranne che di una riforma organica della sanità. Uno dei pochi accenni al problema è stato fonte di un battibecco su Twitter tra l’ex ministro e Ignazio Marino del Pd. “Ma lo sa che il programma sanità del Pd è già legge?”, ha cinguettato Balduzzi. “Si riferisce per caso alla sua legge fantasma?” gli ha replicato Marino. Negli ultimi giorni dicampagna elettorale il tema è stato poi introdotto dal solo candidato del centrosinistra aPalazzo Chigi Pierluigi Bersani (ma è destinato a tornare presto da dov’è uscito). Il decreto Balduzzi è legge da inizio novembre 2012, ma mancano all’appello più di 20 decreti attuativi, su cui si stanno dando battaglia Regioni e Governo. Alcuni di questi sono già scaduti (dovevano essere già varati entro il 2012), e la maggior parte dovrebbe essere approvata entro la prima metà del 2013. Le Regioni sostengono di non aver ricevuto finora nemmeno il decreto, contestano i tagli alla sanità e l’impianto stesso di tutta la riforma (che, dicono, è stata fatta con due provvedimenti separati e incompatibili tra loro, ovvero il regolamento della spending review, che taglia i posti letto, e il decreto Balduzzi). Per il 2013 chiedono che il finanziamento alla sanità sia riportato “almeno al livello del 2012?. Inoltre, secondo le Regioni, per avere la possibilità di lavorare con una prospettiva dimantenimento dei Lea (i Livelli essenziali di assistenza), “servirebbero anche un altro paio dimiliardi”. Ma per il Governo altri fondi da dare non ce ne sono. Anche perché, a detta dell’esecutivo, il decreto Balduzzi è a costo zero. L’impasse, a poche settimane dall’inizio della prossima legislatura, sembra dunque insuperabile. “Nessuno di questi decreti ha la possibilità reale di essere approvato prima del voto”, sostiene Paolo Di Loreto, rappresentante dell’Umbria nel coordinamento sanità delle Regioni. Le nuove misure contenute nella riforma per le Regioni qualche onere aggiuntivo invece ce l’hanno. Il motivo lo spiega Di Loreto, che è anche membro del Cda del’Istituto superiore di sanità in rappresentanza delle Regioni: “Da una parte si tagliano fondi e risorse per gli ospedali: dal regolamento della spending review lo stesso Governo prevede una riduzione dei costi di 20 milioni di euro, cifra ridicola; poi si mette in atto una riforma, attuata per decreto, che il ministrodice essere a costo zero ma che secondo noi non lo è”, a tal punto che “quei 20 milioni dirisparmi sono spiccioli rispetto alle spese da coprire”. Stesso ragionamento lo fanno gli assessori alla salute nelle varie regioni italiane. Quello toscano (Luigi Marroni) sottolinea, ad esempio, che nella riforma ci sono diversi punti, che pur non creando spesa, hanno un impatto economico sulla sanità locale, già afflitta dai tagli. Sono soprattutto tre i nodi del decreto Balduzzi che le Regioni contestano, oltre al fatto di aver approvato una riforma della sanità per decreto: il medico di base h24, l’aggiornamento dei nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza), le nuove regole per la nomina di direttori generali e primari. Per quanto riguarda l’introduzione del medico h24, spiega Di Loreto, “a livello regionale un’assistenza di questo tipo garantita esiste già, grazie alle guardie mediche. Se poi si vuole farla in maniera più strutturata, noi siamo d’accordo, ma non è vero che è a costozero”. I fondi infatti, spiega, secondo il Governo dovrebbero venire dai risparmi dellaspending review: “Ma così – sostiene – prima di tutto si risparmia sugli ospedali, che sono già in sofferenza e che avrebbero bisogno di investire in innovazione”. E inoltre, fa notare, “a fronte di ipotetici risparmi che sarebbero realizzati in più anni, necessari per la riorganizzazione della rete ospedaliera, si dovrebbero affrontare da subito le spese per i nuovi ambulatori h24?. Altro oggetto del contendere è l’aggiornamento dei nuovi Lea, le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di ticket. Il ministro Balduzzi ha provveduto a stilare la nuova lista, includendo anche 110 nuove patologie rare, ma le Regioni sostengono di non aver ancora ricevuto il documento. Le Regioni condividono l’esigenza di aggiornare i Lea ma, dicono, “non ci si può fermare alle malattie rare e alla ludopatia quando c’è bisognodi adeguare i Lea anche nel settore delle prestazioni diagnostiche. Abbiamo dei comuniesami di laboratorio che non sono inseriti nei Lea e manteniamo invece convenzionati degli esami obsoleti”. Soprattutto le Regioni contestano il metodo di non affrontare complessivamente il tema, mettendo in relazione l’aggiornamento dei Lea e costi correlati. Ultimo punto su cui l’attuazione del decreto Balduzzi si è bloccata sono le nuove regole di nomina dei direttori generali e dei primari. “Siamo favorevoli – dice Di Loreto – a percorsi di nomina e valutazione dei direttori generali e dei primari caratterizzati dal massimo livello di trasparenza e basati su una valutazione tecnica dei curriculum professionali. Ma riteniamo la responsabilità della nomina debba coincidere con quella dei risultati che consegue il servizio sanitario regionale”. Su questo aspetto arriva l’attacco di Lucio Barani (Pdl), che fu uno dei relatori del decreto Balduzzi alla Camera. Secondo lui lo stallo nell’attuazionedella Balduzzi deriva dalla resistenza delle Regioni a un cambiamento: “Moltigovernatori si oppongono – dice – perché vogliono continuare a gestire la sanità, ad esempio nominare i primari e i dirigenti. C’è una sorta di dittatura delle Regioni”. Ma l’attacco viene rispedito al mittente: “Non è un nostro capriccio”, replicano dalla Conferenza delle Regioni. (VIC) Public Policy per il Fatto Dossier Ocse. "Liste d’attesa". Un problema non solo italiano. Ecco le soluzioni per ridurle I tempi di attesa lunghi per l’accesso alla cura sono una questione molto importante e urgente di sanità in molti dei paesi Ocse. Per questo già dal 2001, l’organizzazione aveva lanciato un progetto proprio per valutare le politiche intraprese per limitare questo problema, in 13 paesi (Australia, Canada, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Italia, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia and e Gran Bretagna). Sul breve termine tuttavia era difficile valutare quali politiche potesserofunzionare meglio. Tuttavia, oggi questa valutazione sta dando iprimi frutti, offrendo un quadro, seppur ancora poco omogeneo, di cosa sia stato fatto e cosa ci sia ancora da fare. Il risultato è stato pubblicato in un libro consultabile online dal titolo “Waiting Time Policies in the Health Sector – What works?”. Come l’attesa si ripercuote sul sistema sanitario Il problema delle attese troppo lunghe in sanità si riscontra in quasi tutti i paesi Ocse e in quesi tutti gli ambiti: dalla medicina generale al day hospital, dal pronto soccorso all’oncologia, fino ad arrivare alla chirurgia non emergenziale. Nell’ultimo decennio, tuttavia, da quando i primi sforzi sono stati messi in atto per recuperare questa situazione, alcuni progressi sono stati fatti. Il libro tenta proprio di valutare in maniera critica cosa abbia funzionato, mettendo a confronto gli approcci in paesi diversi. La questione non è semplice ed è legata in maniera molto stretta alla disponibilità dei posti letto,alle spese sanitarie, e soprattutto ai risultati ottenuti nellacura. I dati dimostrano – ma era facile immaginarlo – che lunghe attese non giovano all’esito delle procedure urgenti, come il bypass coronarico, mentre la situazione è meno definita per la chirurgia meno improrogabile, come quella per la sostituzione di protesi all’anca. Inoltre, rimane un problema di disparità di accesso: in molti paesi le strutture pubbliche – meno costose e coperte dall’assicurazione sanitaria – hanno tempi di attesa molto maggiori delle strutture private a pagamento, il che comporta che chi ha uno status socioeconomico peggiore può dover aspettare molto di più di chi è più benestante. Come si fa a ridurre il problema? Fare un confronto tra i paesi membri dell’Ocse è difficile, le politiche sono molto disomogenee e così anche i metodi di valutazione dei tempi di attesa. Tipicamente sono due i metodi che si sono scelti per tentare di ridurre il problema: da una parte l’inserimento di limiti massimidi attesa cui le strutture sanitarie devono adeguarsi e di cuirendere conto alle istituzioni; dall’altra permettere ai pazienti di scegliere diversi tipi di servizi di assistenza, passando a quelli privati se i tempi di attesa nel pubblico sono troppo lunghi. Tuttavia, dirottare direttamente la sanità verso il privato non ha funzionato: l’esperienza australiana ha insegnato che incoraggiare la sostituzione delle terapie negli ospedali pubblici con l’assistenza privata non ha – di fatto – fatto diminuire i tempi di attesa, e l’impatto sulla funzionalità degli ospedali è stata minima. Più efficace invece il metodo di penalizzazione di chi ‘sfora’ i tempi massimi, soprattutto in paesi come la Gran Bretagna e la Finlandia dove l’errore viene pagato con multe molto salate, con un metodo che in modo ufficioso e particolarmente evocativo viene chiamato “target e terrore”. In questo modo infatti le tempistiche si riducono sicuramente, ma sebbene il metodo sia efficace non è ben visto daiprofessionisti né del tutto sostenibile a lungo termine. Inogni caso in tutti e 13 i paesi analizzati dagli specialisti dell’Ocse esiste un limite massimo entro il quale le principali prestazioni cliniche devono essere garantite, spesso in combinazione con target di prestazioni da raggiungere a livello della singola struttura sanitaria. Un metodo meno usato, ma che è comunque piuttosto diffuso è quello del turismo medico. In particolare, nell’Unione Europea molti pazienti sono disposti a curarsi all’estero se questo permette di aspettare meno: in media il 64% dei cittadini europei sarebbe se necessario disposto a viaggiare per la terapia, un po’ meno in Italia, dove comunque il numero di chi sarebbe disposto a farlo è identico a chi invece preferisce comunque rimanere nelle strutture sanitarie italiane (pari in entrambi i casi al 47%). I termini massimi di attesa tra i diversi paesi Come già detto è piuttosto complicato fare paragoni tra le diverse nazioni, perché ognuna haun sistema sanitario diverso che si basa su regole diverse.In ogni caso come già detto tutte le nazioni considerate hanno dei limiti massimi entro i quali devono fornire le prestazioni sanitarie. Alcune, come l’Australia, dividono semplicemente i pazienti in termini di “urgenza”: le persone la cui situazione di salute probabilmente peggiorerà velocemente devono essere trattati entro 30 giorni, chi probabilmente non avrà un tracollo fisico in breve tempo dovrà aspettare al massimo 90 giorni per la cura, chi invece ha una situazione che è molto improbabile peggiori in fretta può dover aspettare fino anche a un anno. Un meccanismo simile si ha anche ad esempio in Norvegia e in Portogallo (in quest’ultimo però i pazienti oncologici sono trattati con un po’ più urgenza degli altri). Per altri paesi, come l’Irlanda, l’Olanda, il Canada o la Spagna le differenze non sono nell’urgenza della condizione in senso stretto, quanto più dal tipo di prestazione (day hospital, pronto soccorso,chirurgia non emergenziale) o dalla procedura specifica(sostituzione di protesi all’anca, cataratta, bypass cardiaco, ecc). Altri ancora invece – come l’Inghilterra, l’Italia o la Danimarca – hanno un’attenzione specifica nel caso dell’oncologia o delle malattie ischemiche (vedi la tabella allegata per avere tutti i dati). E in Italia? La situazione italiana è più o meno in linea con quello del resto delle nazioni osservate: anche per noi le tempistiche sono lunghe e molto eterogenee, variando a seconda delle procedure e delle strutture. In media i tempi di attesa per i più comuni test diagnostici si aggirano intorno al mese e mezzo o due mesi negli ospedali pubblici, ma tendono ad essere minori negli ospedali convenzionati. In particolare per una normale ecografia ci vogliono in media 61 giorni nei primi, e solo 7 nei secondi, con la via di mezzo delle cliniche pubbliche nelle quali bisogna attendere in media 36 giorni (media totale 42 giorni). Analoga la situazione per lerisonanze magnetiche: 65 giorni negli ospedali pubblici,15 nelle strutture convenzionate, ma con la differenza che le per le cliniche pubbliche salgono addirittura a 91 giorni in media (media totale 52 giorni). Ribaltata invece la situazione per i test endoscopici per cui bisogna aspettare di più (media totale italiana 54 giorni), ma per i quali risultano più rapidi i primi (46 giorni), e più lenti i privati convenzionati (78 giorni), così come le cliniche pubbliche (72 giorni). Infine, minori sono le differenze di attesa per fare una TAC, per la quale su territorio nazionale si impiegano in media 53 giorni: 46 se si tratta di un ospedale pubblico, 73 se si tratta di una clinica pubblica, 49 se si tratta di una struttura privata convenzionata. In ogni caso, nel nostro paese il problema meno grave secondo gli esperti Ocse è l’attesa in caso sia necessaria ospedalizzazione, mentre le tempistiche si allungano in maniera critica per il percorso diagnostico e per i day hospital. Ancheper questo i termini massimi di attesa imposti sonoleggermente diversi da quelli del resto dei paesi osservati. Così come all’estero anche in Italia ci sono infatti dei limiti massimi di attesa, stabiliti nel 2002 e che dovrebbero venire rispettati dalle strutture: 60 giorni per le procedure diagnostiche principali; 30 giorni per le visite cardiache o oculistiche; 2 settimane per la prima visita oncologica, 30 giorni per l’intervento oncologico o per iniziare la radioterapia o la chemioterapia; 80 giorni per l’intervento di cataratta o di sostituzione della protesi all’anca; 120 giorni per l’angioplastica coronarica. Dal 2010 sono poi state stabilite anche delle regole specifiche per le malattie cardiovascolari – trattamento di emergenza entro 72 ore dal problema; 10 giorni per trattamenti che se non somministrati per tempo possono ridurre significativamente la prognosi o provocare dolore, disfunzioni o disabilità; 30 giorni per i trattamenti di gestione di dolore, disfunzione odisabilità – e oncologiche – tre giorni per lediagnosi urgenti; dieci giorni per le diagnosi urgenti all’interno di un programma terapeutico già stabilito; follow-up a seguito del trattamento già effettuato. L’analisi contenuta nel libro è mastodontica e veramente eterogenea. Secondo gli esperti dell’Ocse servirà ai policy maker per comprendere cosa c’è ancora da fare e per mettere a confronto ciò che si è fatto nelle diverse nazioni. “Vedere cosa è stato fatto fa capire quali sono le politiche più diffuse e quanto il problema dei tempi di attesa sia diffuso”, spiegano gli autori. “Che si tratti di chirurgia, medicina generale, pronto soccorso oppure oncologia, i tempi di attesa nella cura possono fare la differenza tra un servizio che funziona e uno i cui risultati sono scarsi e dunque in cui la salute dei cittadini è in pericolo”.Laura Berardi (...) Sanità: Le leggi ’incompiute’ - 1 A una settimana dal voto ecco una mappa delle principali norme per la sanitàintrodotte nell’ultimo anno tra Spending review, Legge Balduzzi e Stabilità, che sono ancora al palo tra accordi e intese non ancora raggiunte in Stato-Regioni, passando per alcuni decreti ministeriali che ancora non sono arrivati e, infine, per quelle intese mai sottoscritte di cui non si sa più nulla. Nello specifico sono 16 i provvedimenti applicativi ancora da attuare. Si va dall’assistenza territoriale, all’aggiornamento dei Lea. Ma non solo, fermo al palo il regolamento sugli standard ospedalieri, la revisione del sistema di remunerazione della filiera distributiva del farmaco, senza dimenticare i provvedimenti sulle ludopatie, intramoenia, i costi standard, la responsabilità professionale e, non da ultimi, i 2 miliardi di ticket che scatteranno dal prossimo anno se non si troveranno altre coperture, ma questi ultimi li varò Tremonti nell’estate del 2011. E poici sono anche alcune norme previste dalle leggi (il Patto della Salute in primis che si doveva sottoscrivere entroil 15 novembre e che avrebbe dovuto disciplinare le misure previste dalla spending review su beni e servizi o i costi standard) ma che non hanno mai visto il traguardo. Prendiamo in esame le sedici misure ‘calde’ ancora da attuare di cui, molto probabilmente, sarà il prossimo Esecutivo ad occuparsi in prima persona, anche come nuovo interlocutore degli Enti locali. Ma vediamo più nello specifico cosa manca all’appello basandoci su un inedito dossier delle Regioni. Nello specifico mancano all’appello due accordi Stato-Regioni, tre intese Stato-Regioni, quattro decreti ministeriali, un decreto del Presidente della Repubblica, quattro decreti della presidenza del Consiglio, un provvedimento regionale e l’accordo Regioni-Sindacati sulle cure primarie. Fuori da questa classifica c’è la norma Tremonti sui 2 mld di ticket che scatteranno nel 2014 salvo diverse copertureeconomiche. Nel dettaglio, al palo c’è la revisione della filiera distributiva del farmaco. Prorogata al 30 giugno, conla possibilità di un ulteriore slittamento al 31 dicembre. Ancora fermo anche il regolamento sugli standard ospedalieri. Il termine era stato fissato al 31 ottobre, ma il testo è approdato all’ordine del giorno della Stato-Regioni solo a fine gennaio e da allora non è stato ancora trattato. Altra norma cardine dell’ultima fase della legislatura è stata certamente la Legge Balduzzi che tante norme ha introdotto, ma per molte la luce dell’approvazione in fondo al tunnel delle intese Stato-Regioni è ancora invisibile. Primo punto critico è rappresentato dall’intramoenia, dove nonostante l’ultima intesa in Stato-Regioni, il sistema è ancora tutto da costruire. Altro riferimento è alla riforma delle cure primarie. Entro il 10 aprile Regioni e Sindacati dovranno implementare gli Accordi collettivi nazionali. Scaduto il termine, se non vi sarà intesa, toccherà adun decreto di Salute ed Economia fare la quadra. Ad oggi, però, l’atto di indirizzo delle Regioni per le trattative è ancoraavvolto dal mistero. Al palo (manca un decreto della Salute) anche la norma sulle bevande analcoliche per la definizione dei criteri per la formazione del personale adibito alla produzione, alla somministrazione e alla commercializzazione degli alimenti. Altro punto su cui molto si è discusso è quello riguardante la responsabilità professionale. Manca infatti un decreto del Presidente della Repubblica, previo parere (che ancora non c’è) della Stato-Regioni per i contenuti e le procedure del fondo di rischio. Ai box anche l’aggiornamento dei Lea (mancano due Dpcm), presentato dal Ministro della Salute, nei tempi, alla fine dell’anno, ma il decreto è bloccato al Ministero dell’Economia. Rinviati al 30 giugno 2013 dalla Legge di stabilità, anche i termini per le norme sulla ludopatia. Entro il 30 aprile, invece, dovrebbe arrivare l’intesa sul regolamentoper il trasferimento competenze in materia di mobilità sanitaria internazionale e assistenza indiretta. Nulla di fattoanche sui criteri di classificazione degli Irccs previsti dalla Legge Balduzzi. Mancano infatti ancora due decreti ministeriali sul tema. Tempo invece fino al 31 marzo 2013 per l’adozione di uno o più decreti della Presidenza del Consiglio in merito al trasferimento delle funzioni di assistenza al personale navigante. Nessuna novità anche in materia di donazioni, trapianti e farmacovigilanza dove non sono stati emanati ancora due decreti ministeriali non regolamentari. Ancora non è arrivata poi il via libera delle Regioni in merito ai sistemi di valutazione dei Dg, da elaborare avvalendosi del supporto di Agenas. Altro tema, inifne, riguarda i provvedimenti che prevedevano intese che non si sono mai raggiunte. Il primo ad esseere caduto nel dimenticatoio nell’anno e spiccioli di Governo Monti è quello che riguarda l’applicazione dei famosi “costistandard” che sarebbero dovuti essere definiti entro il 31 dicembre 2012, ma lo scorso 22 novembre si è registrata la mancataintesa. E poi più nulla. Così come più nulla si è saputo del Patto della Salute che si sarebbe dovuto siglare il 15 novembre 2012 e che verteva sulle misure previste dalla spending review su beni e servizi.(...) Le ’leggi incompiute’-2 Dopo aver pubblicato il nostro Dossier sulle "leggi incompiute" elaborato sulla base di un documento formulato dalla Regioni, il Ministero della Salute, in un documento esclusivo inviatoci del portavoce del Ministro Balduzzi, Alberto Bobbio implementa e risponde ad alcuni quesiti. “Qualcosa manca all’appello e invece qualcosa, anzi molto, è stato fatto. – si legge nel messaggio - Il Dossier sulle “leggi incompiute” di quotidianosanità.it permette di fare il punto. Nell’allegato le risposte a tutti i vostri quesiti”. E andiamo dunque ad esaminare il documento con le implementazioni e puntualizzazioni del Ministero. Partiamo dalla revisione della remunerazione filiera distributiva del farmaco. Prorogata al 30 giugno, con lapossibilità di un ulteriore slittamento al 31 dicembre. Sul punto il Ministero comunica che “Il testo è stato fermato in Conferenza Stato-Regioni surichiesta delle Regioni”. Sullo stop agli standard ospedalieri. Il termine era stato fissato al 31 ottobre, ma il testo è approdato all’ordine del giorno della Stato-Regioni solo a fine gennaio e da allora non è stato ancora trattato. Il Ministero comunica che “il testo è stato fermato in Conferenza Stato-Regioni su richiesta delle Regioni”. Sull’intramoenia il Ministero precisa che per quanto riguarda il programma sperimentale per svolgere l’Alpi presso studio professionali privati collegati in rete, il “provvedimento sarà inserito alla prossima riunione della Conferenza Stato-Regioni e sarà oggetto di una riunione tecnica il 21 febbraio 2013”. Per quanto riguarda invece il provvedimento sulle bevande analcoliche per la definizione dei criteri per la formazione del personale adibito alla produzione, alla somministrazione ealla commercializzazione degli alimenti il Ministero precisa che il “testo è stato inviato il Stato-Regioni il 14 febbraio 2013 ed è previsto unincontro tecnico il 21 febbraio 2013”. Altro tema caldo è quello riguardante la responsabilità professionale. Manca infatti un decreto del Presidente della Repubblica, previo parere (che ancora non c’è) della Stato-Regioni per i contenuti e le procedure del fondo di rischio. Il Ministero della Salute puntualizza che “ha deciso di costituire una commissione per predisporre il decreto”. Per quanto riguarda l’istituzione di una commissione per l’elaborazione di proposte per l’aggiornamento delle tariffe massime per la remunerazione delle prestazioni il Ministero precisa che “la Commissione è stata costituita il 29 gennaio 2013 e si è insediata il 14 febbraio 2013. Il termine per l’aggiornamento è il 15 maggio 2013”. Sugli intereventi a contrasto delle ludopatie che sono stati rinviati al 30 giugno 2013 dalla Legge di stabilità ilMinistero precisa che la competenza è del Ministero dell’Economia e non di quello della Salute. Mentre sempre sul tema della ricollocazione deipunti di gioco il Ministero precisa che “ha inviato una lettera al Ministro dell’Economia il 14 febbraio 2013”. Entro il 30 aprile, invece, dovrebbe arrivare l’intesa sul regolamento per il trasferimento competenze in materia di mobilità sanitaria internazionale e assistenza indiretta. Sul punto il Ministero della Salute informa che “una proposta di testo elaborata dalla competente Direzione Generale del Ministero della Salute è attualmente all’esame del MEF (Ministero dell’Economia e Finanze)”. Sui criteri di classificazione degli Irccs previsti dalla Legge Balduzzi. Mancano infatti ancora due decreti ministeriali sul tema. Per quanto riguarda quello sulla titolarità dei requisiti il Ministero precisa che il Testo del provvedimento è stato inviato alla Conferenza Stato-Regioni il 18 febbraio 2012. mentre il decreto sui criteri diclassificazione è ancora “da fare”. Come ancora “da fare” è il provvedimento in merito al trasferimento delle funzioni di assistenza al personalenavigante per cui c’è tempo fino al 31 marzo. In materia di donazioni e trapianti, il Ministero della salute informa di aver “sollecitato il CNT per il testo. Comunque c’è tempo fino al 1 luglio 2013”. Sulla farmacovigilanza, invece, “il testo è stato già predisposto. E’ in corso l’acquisizione dei concerto degli altri Ministeri competenti”. Tra le implementazioni comunicate dal Ministero anche quella che riguarda le norme per il trasferimento competenze mobilità sanitaria internazionale e assistenza indiretta su cui “una proposta di testo è stata elaborata dalla competente Direzione Generale del Ministero della Salute ed è attualmente all’esame del MEF (Ministero dell’Economia e Finanze)”. Sui costi standard, il Ministero precisa poi che la “delibera è stata già fatta dal Consiglio dei Ministri ed è attualmente al vaglio dellaCorte dei Conti”. Sanità: il gatto e la volpe “La sostenibilità del servizio sanitario nazionale nel prossimo futuro potrebbe non essere garantita”, lo ha affermato Mario Monti , in occasione della presentazione del progetto del nuovo centro per le biotecnologie e la ricerca biomedica della fondazione Rimed. Subito dopo il ministro alla Sanità, Renato Balduzzi, si è affrettato a ridimensionare la portata sconvolgente di queste temerarie e minacciose affermazioni, gettando acqua sul fuoco. Insomma i due supertecnici, come al solito, si sono divisi i compiti. Uno ha fatto il gatto e l’altro la volpe. Altro che rigore bocconiano. Si passa dal decreto Balduzzi che ci promette ambulatori pubblici gratuiti aperti giorno e notte, alla minaccia circostanziata di abbattere quello che l’OMS ha indicato come il secondo miglior sistema sanitario al mondo. Sotto i colpi del governo Monti questo sistema sta crollando. 30 miliardi di euro infatti sono stati tagliati allasanità negli ultimi cinque anni, 10 miliardi solo nell’ultimo anno da questo governo. E per il prossimo triennio sono previsti ulteriori storni per oltre 22 miliardi, se si sommano le misure già previste dal governo precedente a quelle decise dal governo attuale. Ma non basta. Sono 45.000 i posti letto ospedalieri sottratti agli italiani negli ultimi anni. E tutto questo – non ci si deve mai stancare di ricordarlo – in un paese che spende per la sanità solo il 7,1 % del Pil (la media europea è dell’8,9). Se è vero che esistono non una ma molte sanità in Italia in ragione delle diversità regionali, con situazioni indegne dal punto di vista degli sprechi e della corruzione che infiltra i vari sistemi sanitari regionali, è altrettanto vero che la spesa complessiva è nettamente inferiore a quella di altri paesi. Che cosa fanno il gatto e la volpe a fronte di questa situazione? Invece che porre mano ad un grande processo di razionalizzazione e di lotta alla corruzione per rendere tuttele regioni virtuose, come l’Umbria ad esempio, da un lato, con il ministro della sanità gettano fumo negli occhi con miniriforme strampalate e demagogiche, dall’altro, con il primo ministro minacciano a breve di buttare il bambino con l’acqua sporca. Evidentemente la necessità di lanciare segnali a favore delle lobbies delle assicurazioni e della imprenditoria privata è talmente prevalente sulle ragioni del buon senso da indurre Mario Monti, con una sfrontatezza che non ha precedenti nella storia del paese, a minacciare l’esistenza in vita del gioiello del nostro welfare, mettendo in discussine – come ha già fatto per l’istruzione – il secondo asse portante della nostra società: la sanità appunto. Che cosa interessa a Monti se ci sono regioni in cui una protesi d’anca viene pagata 2.800 euro e in altre 250? Che cosa gliene frega se nel centrosud si entra in ospedale dai tre a sei giorni prima di un intervento chirurgico, spendendo dai tre ai seimila euro in più a degenzainutilmente, e che il mancato sviluppo dell’assistenza domiciliare continui a moltiplicare i costi della residenzialità per anziani (noi seguiamo il 5% dei pazienti a domicilio, la media europea supera di molto il doppio)? Che volete che pensi del fatto che confermiamo la spesa di 15 miliardi di euro per l’acquisto degli F35, senza parlare dei costi delle nostre sanguinose e perfettamente inutili missioni all’estero? Quello che interessa a Monti è mostrare il profilo arcigno del castigamatti (il gatto), tanto c’è poi Balduzi a indorare la pillola (la volpe). E noi che parte vogliamo recitare in questa rappresentazione? Quella di Pinocchio? Non credo. E allora diamoci da fare, se no, dopo la controriforma delle pensioni, fra poco avremo quella della sanità. Al peggio non c’è mai fine.Roberto Gramiccia
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