"Fiscal devaluation” (svalutazione fiscale) potrebbe essere la parola magica utile per togliere l’Europa dalla tragica situazione di crisi e stallo economico nella quale i 17 Stati aderenti alla moneta unica “euro” si sono venuti a trovare a causa dell’impossibilità di svalutare la propria moneta, cioè l’euro. Come è noto, il controllo sulla moneta Euro non è esercitato dalle banche centrali dei singoli Stati, ma dalla Banca Centrale Europea, che ovviamente non puo’ agire con dirette operazioni di apprezzamento o svalutazione dell’euro se non sono d’accordo tutti gli Stati aderenti. E si sa che non lo sono. Anche perché non sarebbe semplice, in questa ingarbugliata situazione di regole sulla perduta sovranità degli Stati aderenti, stabilire esattamente chi ne avrebbe vantaggio e chi no. Ovviamente “Fiscal devaluation” non è una parola magica bensì una precisa tecnica finanziaria di macro-economia che però, in questa tragica situazione diblocco operativo dei singoli Stati, ne avrebbe praticamente lo stesso effetto. È una proposta seria e di tutto rispetto, tant’è che il presidente francese Hollande l’ha già fatta sua. L’idea della “svalutazione fiscale” come strumento per fronteggiare una crisi economica arriva da lontano, nientemeno che da John Maynard Keynes, quindi circa un secolo fa. Ma negli anni successivi gli economisti, influenzati dall’astro nascente Milton Friedman, teorizzatore del “monetarismo” come strumento d’elezione per governare gli scompensi tra le economie in competizione nel libero mercato, hanno preferito operare sulle tecniche di cambio della moneta, perché più semplici e più adatte ai fautori di un mercato sempre più libero dai condizionamenti governativi, piuttosto che sulla svalutazione fiscale, che ha un impatto meno immediato. Dalla metà circa del secolo scorso, la svalutazione della propria moneta è stata quindi la tecnica universalmente usata dai paesi che volevano riequilibrareil valore della propria moneta con quello delle monete più forti, dando così nuova competitività alle proprie esportazioni. Friedman è stato il più grande teorico delle tecniche di intervento sulle monete, ed è stato perciò largamente seguito dai responsabili finanziari di tutte le grandi economie quando si sono venuti a trovare nei guai per problemi di inflazione o di concorrenza con economie più forti. Tutto questo ha funzionato abbastanza bene fino all’invenzione dell’euro. Per i 17 stati europei che hanno adottato l’Euro come moneta comune invece non funziona più perché mentre la moneta “euro” è in comune tra tutti, le economie e le regole fiscali non lo sono. Così uno Stato che si trova per un qualsiasi motivo una in una situazione di squilibrio rispetto alle altre monete, non puo’ più decidere autonomamente di svalutare la sua moneta (l’euro) per recuperare terreno, e subisce così gli attacchi della speculazione internazionale, molto ben attrezzata per questecose. Infatti gli speculatori non sono certo stati a guardare quando l’occasione è arrivata, e le azioni della Banca Centrale Europea in difesa delle proprie economie attaccate dalla speculazione sono state di una imperizia davvero sconcertante. La prima follia pura l’ha attuata Trichet nella primavera del 2011 quando al minimo accenno di ripresa dopo la tremenda crisi del 2008 (partita dall’America di Bush) ha deciso di alzare per ben due volte il tasso europeo (mentre gli americani rimanevano molto più prudentemente ancorati ad un sostanziale zero %). Più che ad una manovra di difesa contro una incombente inflazione (del tutto inesistente nella realtà) la decisione di Trichet è sembrata come la chiamata di Ulisse che, uscendo dalla pancia del cavallo di Troia correva ad aprire la porta agli alleati ateniesi in attesa. Per la speculazione internazionale è stato come mettere delle belle vacche grasse in un recinto e aprire la porta agli sciacalli. Hanno cominciato con laGrecia, ridotta presto all’osso, poi hanno proseguito con le altre vacche grasse, tra le quali purtroppo c’era, e c’è, anche la nostra bulimica Italia guidata a difendersi dagli sciacalli con le barzellette di Berlusconi e le chiacchiere di Tremonti. Poi le cose sono andate un po’ meglio grazie alla immediata riduzione dei tassi operata da Draghi e ad una credibilità negoziale di Monti decisamente migliore rispetto a quella del suo predecessore. Per contro però Draghi e Monti hanno partorito (o aderito!) la improvvida manovra di aggressione all’indebitamento nel momento peggiore per farlo. Adesso Tremonti accusa Draghi di ricatto, ma all’epoca, quando poteva e doveva opporsi alla criminale politica di riduzione del debito e di tetto al budget e alle spese in periodo di forte crisi, ha piegato la schiena e ha lasciato fare. Proprio Bernanke, il capo della Federal Reserve americana, ha detto solo pochi giorni fa che la peggior cosa che puo’ fare un banchiere centrale èattuare manovre deflattive anzitempo. Cioè proprio quello che hanno fatto prima Trichet (sui tassi) e poi Draghi (sul debito). Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’Europa dei 17 è in ginocchio e la crisi non era nostra, l’abbiamo importata! Continuando su questa strada, entreremo presto in una recessione destinata a divenire lunga depressione.. È difficile pensare che tutto questo sia dovuto solo a imperizia e non ad una precisa volontà di scatenare una forte crisi al fine di convertire le ricche economie europee, “zavorrate” (secondo le logiche liberiste) da troppo “welfare state”, alle logiche economico-libertarie d’oltreoceano. Comunque, proprio ora arriva in soccorso all’Europa Gita Gopinath una giovane professoressa di origine indiana che insegna macroeconomia ad Harvard. Lei, insieme ad alcuni suoi colleghi della stessa università e dell’Università di Princeton (dove lei stessa ha insegnato prima di essere chiamata ad Harvard), rileggendo Keynes si sono chiesti perquale ragione debba essere necessario restare imprigionati nella trappola del monetarismo di Maynard quando gli stessi effetti di sostegno all’economia si possono ottenere impostando manovre di “Fiscal Devaluation” cioè di svalutazione fiscale. Essendo questa tecnica non basata sulla leva della svalutazione monetaria, essa puo’ essere attuata dai singoli Stati anche senza abbandonare l’euro, ottenendo praticamente gli stessi effetti di sostegno alle esportazioni che si ottengono con la svalutazione. Vediamo un po’ più in dettaglio come funziona. Per ottenere l’effetto equivalente ad una svalutazione monetaria senza agire sulla moneta si deve attuare contemporaneamente un aumento della tassa sul valore aggiunto (in Italia è l’I.V.A.) mentre vengono ridotte le tasse sul costo del lavoro. Pertanto, nel caso dell’Italia, aumentando l’imposta sul valore aggiunto si scoraggeranno le importazioni dato che l’aumento dell’imposta non grava sull’importatore italiano ma grava sulproduttore che vuole esportare nel nostro paese. Tale aumento è invece ininfluente per il nostro esportatore, dato che le esportazioni sono esenti da questa imposta. Benchè ciò sia ininfluente per chi già esporta, questo provvedimento diventa uno stimolo ad esportare per chi non lo faceva. Quindi l’effetto è sostanzialmente uguale a quello prodotto dalla svalutazione della moneta. L’altro punto, quello della riduzione delle tasse sul costo del lavoro è già dibattuto in Italia con le proposte di modifica del “fiscal compact”, ma finora non si è fatto ancora nulla. Data la gravità attuale della situazione è probabile che entrambe queste operazioni non basterebbero da sole a terminare la grave crisi che si è instaurata in Europa, ma farebbero comunque un gran bene. Peraltro, lo stesso problema lo si avrebbe anche nel caso fosse possibile svalutare (ne da’ l’esempio la Gran Bretagna, che non è nell’euro, ma sta scivolando di nuovo in recessione anch’essa). La FiscalDevaluation, attuata dagli Stati più deboli tra i 17, avrebbe principalmente l’effetto di riportare equilibrio finanziario all’interno dell’euro tra gli Stati aderenti alla moneta unica, ma anche di produrre in linea generale una moderata svalutazione dell’euro stesso, utile a tutti i 17 Stati, rispetto alle altre monete forti. La teoria del “fiscal devaluation”, come gia’ citato, risale persino a Keynes e non è pertanto una novità assoluta, anche se solo ora emerge come ipotesi di fattibilità grazie agli studiosi americani che l’hanno rispolverata. Tuttavia lo studio della Gopinath e colleghi risale originariamente al giugno 2011 nella Università di Princeton (quindi da quasi due anni) e poi aggiornato nel maggio 2012 nell’Università di Harvard. Perché i nostri strateghi alla Bce e i nostri ministri finanziari li hanno ignorati? E perché li ignorano ancora oggi, dopo che Hollande li ha invece pienamente presi in considerazione? Non sara’ che la differenza sta solonell’impostazione ideologica di Hollande, che è della sinistra socialista, mentre tutti gli altri personaggi di peso in Europa sono tuttora esponenti delle destre iper liberali, iper-liberiste e strangola-popoli?Roberto Marchesi (Dallas - Texas) Ovviamente quanto proposto da Marchesi è una riflessione, un’ipotesi. Che, per esempio, non calcola – anzi: rimuove del tutto – quelle che con ogni probabilità sarebbero le conseguenze deleterie di un aumento dell’imposta sul valore aggiunto sui consumi interni nazionali. Per di più, a nostro sommesso avviso una tale ricetta avrebbe avuto una qualche possibilità di successo “prima” delle svendite - dovute alle privatizzazioni – delle nostre migliori aziende strategiche nazionali, esportatrici consolidate. Pensare che il tessuto attuale dell’export nazionale (dopo il baratro nel quale è stata fatta cadere l’economia reale negli ultimi quindici anni: si pensi soltanto alle aziende produttrici di macchine utensili, crollate dal primoposto della graduatoria mondiale eall’ottavo-nono) possa risollevare da solo il ciclo positivo, è, ahimé una chimera.l.m.
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