Obama in Palestina fra retorica e contestazioni
 











Le parole da sole non bastano a risolvere un conflitto che va avanti da oltre sessanta anni. Questo il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, lo sa bene, eppure è la sola cosa che ha offerto finora ai palestinesi nonostante le solenni promesse fatte durante la sua prima campagna elettorale nel 2008 e quella dello scorso anno, che lo ha visto riconfermato alla Casa Bianca. Non un caso frutto del corso degli eventi, ma una strategia volta a garantire la prosecuzione della politica coloniale israeliana, tenendo occupate le autorità di Ramallah e distraendo al tempo stesso l’opinione pubblica internazionale. Un piano che non sembra aver affatto risentito dell’iniziativa palestinese alle Nazioni Unite, valsa all’Anp il seggio di Paese osservatore. Obama, che ieri ha visitato la Cisgiordania e che il giorno precedente si era recato in Israele, ha infatti ripetuto a coloro che lo hanno seguito in questo suo primo tour nell’area solo una lunga serie difrasi fatte, senza mai entrare nel merito della questione o proporre iniziative concrete per giungere alla tanto sbandierata, quanto inutile, “soluzione dei due Stati”.
“I palestinesi hanno diritto a uno Stato indipendente. E l’unica soluzione è un negoziato tra la Palestina e Israele. Non possiamo abbandonare la strada della pace”, ha detto il capo di Stato Usa durante la conferenza stampa congiunta che si è tenuta a Ramallah insieme con il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas. Stranamente pronta la replica di quest’ultimo che, forse fattosi forte dalla possibilità di affrontare per la prima volta la questione pubblicamente “fra le mura domestiche”, non ha mancato di far presente che “non vi sarà alcun negoziato di pace se Israele non fermerà lo sviluppo delle sue colonie”. Dal canto suo Obama ha rivelato di aver parlato della questione con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, facendogli presente che la strategia degli insediamenti ebraici nei territori palestinesi non è“costruttiva, appropriata e non fa compiere passi avanti alla causa della pace”. Parole, queste ultime, che l’inquilino della Casa Bianca avrebbe pronunciato durante un colloquio riservato con il premier di Tel Aviv e che appaiono poco credibili se confrontate alle dichiarazioni rese durante l’incontro pubblico con il presidente Peres e lo stesso Netanyahu.
Un’incongruenza puntualmente sottolineata dal primo ministro del governo di Hamas nella Striscia di Gaza, Ismail Haniyeh. “Crediamo che le politiche americane perpetueranno l’occupazione israeliana e gli insediamenti in Palestina sotto uno slogan di pace”, ha detto premier dell’enclave palestinese, che si è poi rivolto all’esecutivo di Ramallah affermando che “l’Anp deve capire che vanno rispettati i principi nazionali e di riconciliazione”. Una riconciliazione che tarda ad arrivare anche a causa delle continue ingerenze degli Stati Uniti e di Israele, che pongono come precondizione a qualunque negoziato di pace una presa didistanza di Hamas, senza poi fare alcun passo in avanti per mettere realmente fine al conflitto. Una realtà della quale sta prendendo coscienza sempre più la stessa popolazione palestinese, che non a caso ha riservato a Obama un’accoglienza “calorosa”, fatta di manifestazioni di protesta e slogan antiamericani. Matteo Bernabei









   
 



 
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