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Moody’s aspetta il nuovo governo per declassare l’Italia |
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Le stime positive dell’Ocse su una ripresa economica nell’Unione europea, e nei Paesi del G7, che ahinoi non riguarderà l’Italia, hanno portato al rialzo i listini delle principali Borse. Una tendenza aiutata anche dalle voci su un prossimo taglio dei tassi di interesse da parte della Bce nel corso della riunione del direttivo dell’istituto centrale della prossima settimana. Due elementi che non sono stati annullati dalle voci che circolano da una settimana, sul ribasso del rating dei nostri Btp decennali da parte di Moody’s. Lo spread con i Bund tedeschi dopo essere salito a 360 è sceso a quota 350 punti. Ed anche l’euro ha finito per guadagnare posizioni nel cambio con il dollaro Usa. Moody’s si è presa qualche giorno per decidere sul nostro futuro. Dirigenti della società Usa, famosa per avere completamente sbagliato la stima della solidità patrimoniale e finanziaria della Lehman Brothers, la banca di Wall Street lasciata fallire da Obama a differenza della Goldman Sachs, hanno spiegato che si sta aspettando l’evolversi della situazione politica per vedere che tipo di governo uscirà fuori e con quale programma di intenti si presenterà. Nel frattempo, tanto per tenersi allenata, Moody’s, pur non declassando il rating dei loro titoli di Stato, ha confermato come negative le prospettive economiche (il cosiddetto “outlook”) di Portogallo e Irlanda. Curiosamente Moody’s non si è ancora mossa contro l’Italia. Eppure ci sarebbe abbondanza di materiale per giustificare un declassamento dei Btp e portare il rating giù di un altro gradino, appena sopra il giudizio di titolo spazzatura che da un lato rappresenterebbe l’invito agli investitori a non comprare più titoli italiani. E dall’altro significherebbe che la bancarotta dei nostri conti pubblici è vicina e che il commissariamento è imminente con misure di austerità simili e superiori a quelle imposte a Portogallo, Irlanda, Spagna e Grecia. Del resto il debito pubblico è al 127%, la produttività è scesa del 2,8%, il Pil dovrebbe scendere quest’anno del 2% circa e la disoccupazione ha raggiunto il 12%. Vista poi la recessione in corso che ha costretto alla chiusura migliaia e migliaia di piccole e medie imprese, non più in grado di sostenere la concorrenza internazionale a causa anche di un euro sopravvalutato che penalizza le esportazioni, non ci sono prospettive di crescita nel breve e medio periodo. Oltretutto le banche italiane, nonostante siano gonfie dei prestiti gentilmente versati dalla Bce al modico tasso dell’1%, hanno smesso di fare credito ai cittadini e alle imprese. Un fenomeno che si è riflesso negativamente sulla domanda interna e su una sperabile crescita economica. Ma senza ripresa ci saranno meno entrate fiscali e contributive e il livello del debito pubblico non potrà che lievitare. A quel punto, qualsiasi governo nascerà non farà altro che ricorrere allo strumento più ovvio, più abusato e più odiato. Quello delle tasse che si abbatteranno sulle famiglie che sono già state massacrate dall’aumento dell’Iva e dall’introduzione dell’Euro. Da Palazzo Chigi hanno già stabilito che l’Iva dovrà aumentare dal 21 al 22% nel prossimo luglio. Un’altra misura che colpirà pesantemente i consumi e gli investimenti. Questa seconda voce registra una deriva preoccupante. Secondo il rapporto della Consob, buona parte dei risparmi dei cittadini, che prima si trasformavano in investimenti in titoli di Stato e di società, è stata utilizzata nel periodo 2010-2012 per provvedere alle spese di prima necessità e in molti casi a quelle per la pura sopravvivenza. Tutti i cittadini rimasti senza lavoro o con la pensione inadeguata a garantire un livello decente di vita, si sono visti costretti a ricorrere alle riserve. A settembre 2010 il valore degli investimenti in azioni, titoli di Stato, bond bancari e societari, era pari a 1.981,8 miliardi. A fine 2012 è sceso a 1.269,9 miliardi con un calo del 36%. Un crollo in termini reali che è stato poi aggravato da un considerevole calo dei listini di Borsa a Piazza Affari di circa il 26%. Significativo è anche il calo degli investimenti in titoli pubblici che testimonia di una sfiducia crescente sulla possibilità dello Stato italiano di rimborsare alla scadenza i soldi presi a prestito. Il rapporto dell’Ocse costituisce poi un atto di accusa contro la Bce guidata dall’ex Goldman Sachs, Mario Draghi. La Banca centrale, insiste l’Ocse, dovrebbe agire in modo più deciso per far uscire dalla recessione l’Eurozona, dove i meccanismi di trasmissione della politica monetaria non stanno funzionando. I tempi sono ormai maturi per un taglio dei tassi di interesse. Questo perché la politica monetaria, conclude l’Ocse, resta uno strumento chiave per sostenere la domanda, dato il limitato spazio di manovra fiscale nella maggior parte dei Paesi dell’area dell’Euro. Filippo Ghira |
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