In Palestina soffia un vento da Terza Intifada
 











Alcuni media parlano addirittura di “terza Intifada” è solo questa evocazione fa tremare i polsi alla classe dirigente israeliana, riattivando il riflesso condizionato di rispondere sempre e comunque con la forza militare a qualsiasi conflitto con la storica controparte. Forse è un’esagerazione ma le rivolte che negli ultimi giorni stanno scuotendo la Cisgiordania non sono solamente sporadici focolai o iniziative scoordinate tra loro come è accaduto negli ultimi anni. Tanto che in molti casi le bandiere di Fatah occhieggiano accanto a quelle verdi dei fratelli-coltelli di Hamas; le offensive militari di Tel Aviv stanno infatti riavvicinando le fazioni palestinesi.
La morte del 64enne Maïsara Abou Hamdiyeh, dirigente di Fatah e prigioniero politico dal 2002, deceduto in circostanze misteriose nell’infermeria di un ospedale israeliano, ha suscitato un’ondata di indignazione e proteste un po’ in tutta la West Bank, dove è stato proclamato lo
sciopero generale, mentre circa 5mila detenuti palestinesi hanno rifiutato il loro pasto. Se il corteo funebre si è svolto in un clima di relativa tranquillità, nelle ore successive alla cerimonia è salita la tensione, centinaia di palestinesi si sono scontrati con l’esercito dello Stato ebraico e due ragazzi di 19 e 17 hanno perso la vita in un villaggio nelle vicinanze di Tulkarem, uccisi dalle pallottole dei militari. Secondo i prortavoce dell’esercito i due giovani avrebbero lanciato delle bottiglie molotov contro dei blindati, ma anche l’ong Amnesty International ha parlato di «uso sproporzionato della forza», denunciando la rappresaglia.
Al contempo da Gaza sono ripresi i lanci di razzi Qassam verso i villaggi e gli insediamenti dei coloni con l’aviazione israeliana che per rappresaglia a compiuto tre incursioni a nord della Striscia: si tratta dei primi raid dalla tregua siglata a fine novembre anche se per il momento non si registrano vittime tra i due campi. La ripresa
degli attacchi con i qassam è stata rivendicata da Majlis Choura al-Moujahidin, un gruppo salafita di Gaza che agisce fuori dal controllo di Hamas. I piccoli gruppi fondamentalisti accusano Hamas di eccessiva morbidezza nei confronti di Israele, condizionando non poco le scelte dei dignitari di Gaza che faticano a mantenere l’ordine. Un esempio su tutti: alcune decine di manifestanti hanno forzato le entrate di un centro di distribuzione di cibo della missione UNRWA dell’ Onu; non ci sono stati feriti e l’azione è durata qualche decina di minuti, ma per reazione l’Onu ha chiuso tutti i suoi centri «in attesa che la situazione torni alla normalità e che finiscano le minacce contro il personale». Una decisione che penalizza i 25mila rifugiati che ogni giorno ricevono gli aiuti delle Nazioni Unite, sottolinea il portavoce di Hamas Sami Abou Zouhri, che denuncia la «scelta ingiustificata» e chiede all’UNWRA di «riprendere immediatamente la distribuzione di viveri alla popolazione».
«Israele non vuole la pace ma seminare il caos, decidendo di reagire con il potere delle armi contro delle manifestazioni pacifiche, questo comportamento vanifica gli sforzi delle comunità internazionale per rilanciare il processo di pace», ha tuonato il leader dell’Autorità nazionale palestinese Mamhoud Abbas a pochi giorni dalla visita diplomatica del Segretario di Stato Usa John Kerry. Una tournée che avviene poche settimane dopo quella intrapresa dal presidente Obama e sulla quale nessuno nutre grandi speranze. Come sperava il premier israeliano Netanyahu Kerry non presenterà alcun piano di pace lasciando Tel Aviv libera di continuare la politica degli insediamenti colonici e svincolandola per il momento da qualsiasi impegno con la comunità internazionale. Il Segretario di Stato proporrà alle due parti un blando «piano d’azione» per i prossimi mesi. Insomma si continua a navigare a vista. Victor Castaldi