Fitch vede nere le prospettive delle banche italiane
La finanza Usa sogna l’Italia fuori dall’euro
 











Fitch vede nere le prospettive delle banche italiane
L’Italia con oltre il 127% di debito pubblico non se la passa bene ed offre occasioni alle società di rating Usa di declassare il giudizio sulla solvibilità futura dei nostri titoli pubblici. Nemmeno le banche sono messe così bene considerato che hanno molto risentito di una recessione che ha obbligato alla chiusura migliaia di imprese e mandato per strada centinaia di migliaia di dipendenti. Se le imprese chiudono e falliscono, automaticamente i crediti che le banche vantano nei loro confronti diventano sofferenze inesigibili ed anche i loro conti finiscono in rosso.
Fitch, la terza società per importanza dopo Moody’s e Standard&Poor’s, che a differenza delle altre due che sono made in Usa è franco-statunitense ha stilato un rapporto sulla situazione creditizia in Italia che riecheggia le dichiarazioni fatte in merito da Mario Draghi due giorni fa al direttivo della Bce, quando ha deciso
di lasciare invariati i tassi di interesse.
La recessione durerà ancora a lungo, è il ragionamento di Fitch, il 2013 sarà un anno di stasi in tutta l’Unione europea e la ripresa annunciata sarà una ripresina stitica, inferiore alle previsioni e che si potrà vedere soltanto nella seconda metà dell’anno. Niente di eclatante quindi visto che essa servirà a recuperare una minima parte di quanto si è perso negli ultimi anni.. Da parte loro, le banche italiane che hanno smesso di finanziare le famiglie e le imprese in base al ragionamento che non si possono prestare altri soldi a chi non sarà in grado di restituirli, hanno bloccato il giro di denaro tenendolo immobilizzato e questo finirà inevitabilmente per ritorcersi contro la loro stessa salute. Pensare di poter continuare ad utilizzare i molti miliardi di euro ricevuti dalla Bce, al modico tasso dell’1% sotto forma di prestito triennale, per comprare titoli di Stato triennali e lucrarci sopra gli interessi, può garantire un reddito
sicuro ma certamente non significa fare attività bancaria classica. L’unica, ribadiamolo, che può permettere all’economia nazionale di ripartire.
I crediti in sofferenza, ricorda Fitch che li ha stimati in 125 miliardi di euro, hanno imposto alle banche di operare delle rettifiche in bilancio. Aggiustamenti, imposti dalla Banca d’Italia, che hanno penalizzato in particolare le banche di più piccole dimensioni, posizionate a livello locale e che vivono e si sviluppano di legami stretti con il territorio nel quale operano e che hanno visto franare un sistema economico che avevano contribuito a fare sviluppare. E per il 2013 le prospettive non sono incoraggianti visto l’attuale momento economico critico che sembra non avere mai fine. Al contrario, sostiene Fitch, le banche più grandi e più forti dovrebbero essere in grado di gestire l’aumento degli accantonamenti e registrare utili di esercizio. In ogni caso, sarà necessario aspettare che l’economia interna riparta. Se la ripresa non
ci sarà, pure la redditività delle banche ne risentirà.
E se la capitalizzazione di molte banche è migliorata Fitch non arriva a spiegare che tale risultato è stato ottenuto grazie ai prestiti della Bce. Prestiti che sarebbero dovuti serviti per tornare a finanziare l’economia reale, imprese e cittadini, ma che le banche hanno utilizzato invece per ricostruire il proprio patrimonio. Esattamente quello che sostiene Rinascita da oltre un anno. Esattamente quanto chiunque potrebbe appurare girando per le strade della propria città, incontrando piccoli imprenditori, negozianti e semplici cittadini.
Fitch giudica invece importante per le banche italiane mantenere riserve di capitale solide per aumentare la capacità di resistenza in un contesto operativo difficile come l’attuale. In caso contrario, è il monito della società franco-statunitense, i loro rating finirebbero sotto pressione. Quindi il rafforzamento degli accantonamenti per coprirsi dalle sofferenze che potrebbero divenire
inesigibili è positivo, insiste Fitch che auspica però maggiori accantonamenti che potrebbero fornire migliori garanzie contro ulteriori deterioramenti. Resta il fatto, è la conclusione, che tale copertura è ancora rispetto agli standard internazionali. Le banche italiane sono quindi ancora troppo deboli. Filippo Ghira
La finanza Usa sogna l’Italia fuori dall’euro
Lo spread tra i Btp italiani decennali e i Bund tedeschi è sceso ieri a 320 punti. La situazione catastrofica dei conti pubblici e la recessione che sta causando un autentico tracollo economico con una disoccupazione record non sembrano preoccupare più di tanto gli investitori internazionali e gli speculatori. Nemmeno l’assenza di un nuovo governo che sia espressione del nuovo Parlamento sembra colpire più di tanto, in base forse al principio che se non c’è un governo, quello attuale gestisce l’esistente, non si possono provocare troppi danni. La presenza a tempo di Mario Monti a Palazzo Chigi, uomo di
cultura e di legami anglofoni, come attestano le sue consulenze a Moody’s e Goldman Sachs, rassicura Wall Street e la City londinese che la barca Italia dovrebbe continuare nella navigazione da lui stesso avviata.
Finora la finanza anglo-americana ci ha assicurato un periodo di relativa tregua che male si concilia con il peggioramento dei conti pubblici e con la recessione sempre più pesante. Un livello così basso dello spread è infatti una anomalia se si tiene conto che il debito pubblico ha raggiunto il 127% rispetto al Pil. Nel novembre 2011, quando cadde Berlusconi, proprio per la situazione dei conti pubblici, il debito era al 120,1% e lo spread a 570 punti. C’è quindi qualcosa che non va. E l’attuale esecutivo non se la può cavare sostenendo che al contrario il disavanzo, in soldoni la differenza tra uscite ed entrate, è passato dal 4,2% al 3%, visto che tale risultato è stato ottenuto con un massiccio aumento delle tasse, tra Iva ed Imu.
Oltretutto tale fase di calma è
anomala in considerazione del fatto che il titolo pubblico preso in considerazione per valutare la salute dell’Italia è il Btp decennale ed il suo rapporto con il Bund tedesco, considerato il più affidabile dell’area dell’euro. Quando aumenta il debito pubblico si generano seri dubbi sulla credibilità di un Paese come l’Italia e sulla sua capacità nel lungo termine di pagare gli interessi e di restituire il capitale alla scadenza. Invece niente. Sembra quindi che la finanza anglofona che aveva in passato preso di mira l’Italia si sia presa un momento di pausa e che l’attuale bonaccia ne sia una conseguenza.
Ma l’attuale stasi sembra più che altro il preludio a nuove e più pesanti tempeste finanziarie. A quanti nell’Unione europea e nell’Eurozona pronosticano una futura bancarotta dell’Italia ed una sua uscita dalla moneta unica, si è aggiunto infatti il più importante fondo di investimento del mondo, ossia lo statunitense Bridgewater, che da solo gestisce ben 130 miliardi di dollari
e che gode della reputazione, gratificata da guadagni miliardari negli ultimi anni, di saper leggere meglio di altri le dinamiche e le tendenze dei mercati. Si tratta quindi di un’analisi, quella sull’Italia, che rischia di provocare un effetto domino. Molti investitori potrebbero infatti leggervi l’intenzione di ambienti importanti della finanza Usa di smobilizzare gli investimenti in titoli italiani e sarebbero portati a comportarsi di conseguenza. In tal modo il valore di mercato dei Btp crollerebbe, interessi e rendimenti sulle prossime emissioni aumenterebbero e con essi lo spread con i Bund. Ed in tal modo non solo gli impegni finanziari futuri dello Stato crescerebbero ma addirittura si rischierebbe che i Btp non trovassero più compratori. Non converrebbe più comprare titoli decennali, sia pure con interessi altissimi, se poi non ci fosse la certezza di recuperare alla data della scadenza i soldi che si sono imprestati.
Il fondo Usa attribuisce una probabilità di appena il
10% all’ipotesi di una uscita dell’Italia dall’euro e basa le sue previsioni sulla instabilità politica e sulla presenza di un movimento anti-euro e anti-globalizzazione come quello di Grillo che riscuote un crescente favore da parte dei cittadini sempre più impoveriti e che potrebbe arrivare pure a governare l’Italia e destabilizzare l’intera Eurozona. Certo l’Italia non è la Grecia e la forza della sua economia fa presumere che Francia e Spagna faranno gioco di sponda per impedire che ciò accada. Ma se la situazione economica dovesse peggiorare tutto potrebbe succedere. Oltretutto, pure le banche italiane non sono messe bene e il Tesoro non può contare in eterno che siano esse a comprare i titoli di Stato. Andrea Angelini