Banche corresponsabili? Paghino la loro parte
 











La storia della crisi finanziaria di Cipro può essere una lezione buona per tutti: quella che a pagare il conto della crisi non possono (e non debbono!) essere solo i più deboli (che quasi sempre sono anche i più poveri), ma devono essere in pari misura anche quelli che reclamano il loro credito come un diritto sacrosanto.
Sacrosanto il credito non sempre lo è. E adesso vi dico il perché. Qui le ideologie marxista, leninista, socialista, non c’entrano nulla. Si tratta proprio di una questione tecnica, tecnica bancaria ovviamente. È la parte che riguarda la tecnica di concessione dei crediti, che da circa vent’anni fa difetto. Un difetto ormai diventato così grosso da radere al suolo, finanziariamente ed economicamente, interi continenti.
Fino a 15 – 20 anni fa i prestiti a lunga scadenza, e i mutui, venivano concessi dalle banche dopo una lunga e accurata analisi.
Avendo io fatto per circa vent’anni l’analista fidi in un Istituto di Credito
Speciale di Milano, posso dire di conoscere questa materia al giusto livello di competenza.
Nella sostanza io ero quello che decideva se il mutuo o il finanziamento della banca poteva essere concesso al richiedente oppure rifiutato.
Ovviamente la mia era soltanto la “Relazione di istruttoria per la concessione del finanziamento”, poi c’erano ancora diversi livelli orizzontali e verticali di supervisione, controllo e decisione finale, rappresentata dalla “delibera”, che veniva firmata dal presidente della banca o dal consiglio di amministrazione, a seconda dell’importo. Con la delibera e la successiva firma del “contratto” (redatto da due funzionari della banca e firmato da tutte le parti alla presenza di un notaio) si formalizzava l’impegno della banca a concedere il finanziamento alle condizioni pattuite, ma era la “Relazione di istruttoria”, nella sostanza, a rappresentare il condensato attuativo della tecnica bancaria utilizzata per la concessione del finanziamento di lunga
durata.
La “relazione di istruttoria” si componeva generalmente di una-due pagine iniziali di “sintesi” (quelle che dovevano per forza leggere gli organi deliberanti), e da un minimo di una dozzina di pagine ad un massimo di ... (non esisteva un massimo). Il mio massimo è stata una relazione di 120 pagine. Nella relazione d’istruttoria l’impresa richiedente veniva analizzata in tutte le angolature economiche, patrimoniali e settoriali presenti, passate (almeno gli ultimi tre anni) e future, con “business plans” (che allora in Italia non si chiamavano ancora così) di almeno due-tre anni di durata.
Una analisi istruttoria poteva durare da pochi giorni (raramente) a diverse settimane, a seconda dei casi. Naturalmente un analista prendeva in carico più analisi contemporaneamente e le completava man mano che riceveva le notizie e i chiarimenti che gli servivano per sviluppare e terminare la sua istruttoria.
Tutto questo preliminare ovviamente non ha lo scopo di raccontare la mia
storia professionale, che probabilmente interessa a pochi, ma serve a rappresentare il perchè i cambiamenti intervenuti negli ultimi vent’anni nel mercato del credito, e in quello del risparmio, hanno comportato anche una modifica sostanziale nella tecnica bancaria che assolve al compito della concessione del credito. Compito questo che non può essere distolto dalla sua funzione essenziale di esame prudenziale del rischio assumendo per la banca, o per l’ente erogatore del credito, altrimenti ... altrimenti succede che presto o tardi le magagne vengono a galla e l’equilibrio si rompe, mettendo i due soggetti l’uno contro l’altro.
I creditori reclamano l’integrità del loro credito che è sancito nel contratto, senza dimenticare che, tra le condizioni pattuite, non ci sono solo le condizioni “base” (talvolta delle vere e proprie trappole ai danni dei soggetti meno informati in materia) ma anche le condizioni “capestro” che scattano automaticamente sui poveri malcapitati quando, per
qualunque ragione, inviano in ritardo i pagamenti, o non li inviano proprio perchè non hanno soldi.
Ma oggi, questi soggetti creditori fanno ancora tutte quelle analisi prima di concedere i soldi?
Ho provato a chiedere direttamente a qualche ex collega della banca dove lavoravo, e mi hanno detto che è cambiato tutto. Non c’è più nessuno là che fa ancora analisi istruttorie. Anche loro si sono adeguati al moderno mondo della finanza.
Nel moderno mondo della finanza i soggetti non sono più chiaramente definiti come erano una volta. Quando le banche erano divise in banche ordinarie e banche per finanziamenti (fino agli anni 90), e le procedure di analisi creditizia venivano svolte con serietà e competenza, era molto difficile che una banca arrivasse al fallimento (per mancanza di liquidità e per sottocapitalizzazione) e non era mai successo che un Istituto di Credito Speciale, quelli dei finanziamenti di lunga durata, rischiasse di fallire.
Oggi invece ad ogni crisi di
liquidità subentra la cronica situazione di sottocapitalizzazione delle banche a rendere le situazioni esplosive.
La responsabilità però non è, come si vorrebbe far credere tutta dalla parte dei debitori che ... “fanno il passo più lungo della gamba”.
La figura del debitore sostanzialmente non è cambiata oggi, rispetto al passato, sia nelle sue responsabilità che ... nelle sue pene, quando si trova nella condizione di non riuscire a pagare il pattuito. L’istituto erogatore del credito (la banca) invece si allontana sempre di più dalla sua tradizionale funzione di istituto finanziatore. Infatti la sua originaria funzione di analisi del credito è oggi diventata secondaria o addirittura aleatoria.
Gli Istituti di Credito, quelli che potevano concedere solo mutui e finanziamenti, ma non potevano aprire sportelli per i normali conti correnti e per tutte le altre operazioni di breve periodo (fino 18 mesi) alla clientela, dovevano operare con una raccolta di fondi diversa da quella
delle banche ordinarie. Emettendo “certificati di deposito” e “obbligazioni” a media scadenza (5 – 10 anni) che venivano sottoscritti dai risparmiatori o da altre banche ordinarie.
Oggi non c’è più questa divisione e tutte le banche possono fare tutto. Con grande rischio però, perchè come abbiamo visto nel 2008, e come abbaiamo visto pochi giorni fa a Cipro, se si finanziano i mutui con i soldi dei correntisti, avendo nel contempo una capitalizzazione 20 o 30 volte più piccola che il capitale amministrato (in barba alle regole ondivaghe dei “Basel I - II e III”), succede che nei momenti di tensione non ci sono abbastanza soldi da restituire ai correntisti e ai depositanti che corrono a tentare di riprendersi il denaro depositato in banca.
Come si approvvigionano di denaro oggi le banche? Sostanzialmente con i soldi dei depositanti, con i prestiti ottenuti dalle banche centrali, e tra di loro le banche stesse.
Che rischio corrono se non riescono a restituire questi soldi?
Vediamolo: ai correntisti ci penserà lo Stato (cioè gli stessi correntisti più gli altri cittadini comuni) a ripianare il buco; agli altri depositanti, dato che la banca fallisce, restituiscono al massimo fino all’importo del capitale sociale (quindi un trentesimo, o al massimo un ventesimo di quell’importo). Per la banca centrale vale lo stesso discorso fatto per i depositanti, solo che essendo i soldi che presta la banca centrale debito pubblico, i soldi che perde sono soldi dei contribuenti, quindi a perderci sono ancora i cittadini. I soldi che non vengono restituiti alle altre banche entrano nei crediti del recupero fallimentare. Quindi in questo caso le banche che prestano soldi ad altre banche li possono anche perdere, ma si sa che, nei momenti difficili, nessuno presta più niente a nessuno.. Naturalmente la banca che fallisce perde i soldi del proprio capitale sociale, ma sono gli azionisti della banca a perderci, cioè gli investitori.
I managers non perdono nulla, a parte
il posto di lavoro. E se non hanno commesso reato di bancarotta fraudolenta non pagano niente nemmeno sotto il profilo della giustizia.
Vediamo ora quali rischi corrono sotto il profilo degli impieghi.
Poiché i banchieri operano per la gran parte coi soldi degli altri (i correntisti e i depositanti) sarebbe loro dovere fare indagini accurate prima di prestarli a chicchessia (come si faceva una volta!), invece che fanno? Ti chiedono pochi dati, li immettono in un computer, talvolta prendono qualche informazione, e in pochi minuti ti dicono se concedono il mutuo o no. Nei casi delle imprese i tempi sono un po’ più lunghi perché ci sono più dati da inserire e far “digerire” al computer, ma poi l’analisi finisce lì. Se il computer dice di si l’operazione è fatta, tutto il resto è burocrazia che serve solo a mettere il cappio al collo a chi si azzarda a non pagare puntualmente.
Si badi bene che sto descrivendo qui solo i casi di operatività pulita, corretta, poi ci sono i
tantissimi casi di prestiti e mutui dati addirittura a chi si sapeva benissimo che non avrebbe avuto la capacità di rimborsare, ma andavano comunque benissimo per chi, cartolarizzando i titoli di credito, girava poi a ignari investitori quella porcheria finanziaria.
Quindi in conclusione i banchieri, grandi e piccoli, possono farne di cotte e di crude, e non pagano mai lo scotto delle loro “coraggiose” operazioni (sulla pelle di azionisti, investitori e comuni cittadini).
Allora cominciamo a chiedere conto alle banche di come hanno condotto l’analisi creditizia. Se questa viene fatta in modo eccessivamente sbrigativo (come accade frequentemente nelle valutazioni affidate esclusivamente ai “credit scoring”), obblighiamole per legge ad assumere corresponsabilità sulle insolvenze che emergono in capo ai debitori. Il motivo è da attribuire alla inconsistenza nel condurre appropriate analisi creditizie. In questi casi appositi tribunali (anche internazionali) dovrebbero poter decidere
(come avviene nelle sentenze fallimentari), che la banca inadempiente totale o parziale nell’analisi per la concessione del credito venga chiamata a depennare tempestivamente una parte consistente del credito stesso.
Si tenga presente che quando il debitore fallisce la banca deve fare comunque questa procedura di cancellazione di tutto o parte del proprio credito, tanto vale obbligarla a farlo quando ancora il debitore sta in piedi con le proprie gambe, e potrebbe ancora cavarsela se solo avesse un minimo d’aiuto.
E per quanto riguarda gli amministratori delle banche, anche qui, per farle funzionare meglio nell’interesse della gente invece che nell’interesse degli stessi amministratori, occorrerebbe vietare per legge quelle clausole che consentono agli amministratori di prendere stipendi e liquidazioni da favola anche quando commettono evidenti e comprovati disastri finanziari.  Roberto Marchesi (Dallas - Texas)