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L`affaire Serravalle. La libertà di stampa passa dalle mani di Baffino |
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Torna l’incubo della Serravalle. L’autostrada che ha già inguaiato Penati rischia di mettere in croce anche D’Alema. La fuga di notizie, in merito ai verbali della deposizione dell’architetto Sarno che chiamerebbero in causa Baffino, diffuse dal Corriere hanno particolarmente irritato la dirigenza piddina. Ovviamente tutti a fare quadrato contro le accuse dello stretto collaboratore di Penati. In sostanza l’architetto avrebbe confessato una cosa inconfessabile ovvero che D’Alema all’epoca presidente dei Ds fosse l’artefice dell’operazione Serravalle. A dirglielo sarebbe stato proprio Penati. Chiaramente l’ex braccio destro di Bersani ha subito smentito. E così ha fatto D’Alema, brandendo la solita clava della querela. “Leggo con stupore sul Corriere della Sera, in un lungo articolo a firma Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella, alcune dichiarazioni che sarebbero state rilasciate dall’architetto Renato Sarno in merito ad un mio presunto interessamento, nei confronti dell’allora presidente della Provincia di Milano Filippo Penati, nell’acquisto delle quote azionarie dell’Autostrada Milano-Serravalle, oggetto di indagine da parte della Procura di Monza”. Insomma per Baffino si tratta di una enormità di sciocchezze già smentite dallo stesso Penati. E poi lamenta il fato che gli autori prima di dare in pasto ai lettori la notizia non l’abbiano consultato. Francamente siamo alla follia. In pratica per D’Alema l’articolista Se ad ogni notizia “bollente” il redattore dovesse chiamare l’interessato staremmo alla più completa sudditanza della stampa. E parlare di penna libera sarebbe un eufemismo. Le notizie si danno dopo ovvi accertamenti di fonte. Ed è quello che avranno fatto i nostri colleghi. A meno che nella procura non c’è qualcuno che trama e che vuole colpire il povero D’Alema. “Io ho dovuto acquistare le azioni di Gavio. Non pensavo di spendere una cifra così consistente, ma non potevo sottrarmi perché l’acquisto mi venne imposto dai vertici del partito nella persona di Massimo D’Alema”, questo il passaggio incriminato della deposizione dell’architetto Sarno. Naturalmente riferito alla confidenza che gli avrebbe fatto Penati. Le azioni di quell’affaire costarono quasi tre volte il loro costo reale. E per questo i magistrati stanno ancora accertando se il surplus sia finito a disposizione del partito. Le indagini vanno avanti dal 2005, grazie alle accuse di due costruttori stanchi di essere taglieggiati dall’ex presidente della provincia di Milano ma non hanno finora portato ad un quadro completo. Ci si muove con i piedi di piombo, nonostante le gravi accuse di mazzette da parte di Di Caterina e Pasini. Brutta storia che inguaia un partito alla canna del gas. Preso per i capelli nella vicenda Tangentopoli si ritrova di nuovo nella bufera tangentizia. E se le accuse dei due costruttori trovassero una conferma questa volta solo un miracolo lo potrà salvare. Certo la fuga di notizie potrebbe anche avere un’altra chiave di lettera: impedire a D’Alema di salire al Colle. Potrebbe anche darsi però ci crediamo poco. Però se la spinta fosse del Berlusca allora quasi quasi i dubbi prendono corpo. Ma torniamo con i piedi per terra. Certo stupisce che D’Alema invece di prendersela con le procure che quando vogliono non fanno uscire nemmeno uno spillo se la prenda con chi le pubblica. Ah è vero, bisogna prima chiedere il permesso. La vicenda delle presunte tangenti della Serravalle è già costata parecchio a Penati. Non solo si è dimesso da tutte le cariche del partito ma ha dovuto anche lasciare la vicepresidenza del consiglio regionale lombardo. Comunque dal partito non si è dimesso, nonostante le pressioni dei renziani. “Costretto da D’Alema a strapagare le azioni di Gavio? Non l’ho mai detto a Sarno, né avrei mai potuto dirglielo perché non è vero: difendo l’operazione Serravalle fatta nell’interesse della Provincia e destinata ancora oggi a procurarle una plusvalenza”, questa la posizione espressa dall’ex braccio destro di Bersani. E aggiunge che “non c’era alcuna ragione per la quale io dovessi parlare con lui dell’operazione Milano-Serravalle”. Eppure l’architetto era un suo stretto collaboratore. E se le confidenze uno non le fa all’amico fidato a chi mai le dovrebbe fare? Comunque sia aspettiamo che i magistrati completino il puzzle. A meno che il pezzo mancante non si trovi. E allora cominceremmo a dubitare. Ma perché succede ogni volta che c’è di mezzo l’ex Pci-Pds-Ds-Pd? Si vede che sono proprio fortunati. Comunque è bene che la storia trovi una sua fine, anche perché sono già passati 8 anni. Vero che la giustizia è lenta però non si può invecchiare aspettando una sentenza. |
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