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L’imminente (?) addio del governo Monti |
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Il difficile momento di instabilità politica in Italia, per la formazione di un nuovo governo, dopo le recenti elezioni politiche, è evidente a tutti. In pochi, però, hanno colto l’altro momento di “rottura”: l’esecutivo “tecnico” di Monti sta per concludersi. La salvezza “tecnica” dell’Italia, costruita minuziosamente, mese per mese, in questi 17 mesi di cura, volge, salvo colpi di scena, al termine. Nessuno potrà dimenticare le iniziative e le affermazioni misurate di questo sobrio esecutivo che ha saputo rendere il legittimo prestigio internazionale alla nazione. Un governo blindato e sicuro, con il sigillo del Capo dello Stato super partes, in cui il premier è stato uomo di parola sin dall’inizio, ribadendo, a iosa, la sua ferma volontà di non scendere in politica e tantomeno di farlo con una lista a suo nome. “SuperMario”, così era definito nei primi giorni del suo insediamento a Palazzo Chigi, osannato come il salvatore della Patria, lascia una mano indelebile sui conti dello Stato e sulla condizione economica e sociale. Ah, ma il solito populista di turno lo ha bollato come l’uomo delle tasse, ma si sa come un governo tecnico sia fisiologicamente nato per “sporcarsi” in luogo del politico, l’importante è che giungano i risultati e una svolta generale. Il populista sprovveduto ignora quanto ora si possa andare in giro per l’Europa e il mondo a testa alta, senza essere ricordati per categorie come “mandolino”, “spaghetti” e “bunga bunga” bensì per “Mario Monti” e “spending review”. Si tratta di una svolta storica: quei pochi che potranno permettersi un viaggio all’estero comprenderanno in presa diretta la nuova situazione. Chi rimarrà in Italia, senza andare in vacanza come faceva in passato (causa disoccupazione o stipendi ridotti), avrà modo di essere “credibile” agli occhi del turista straniero in visita nel Belpaese. Una soddisfazione. Coloro che hanno incontrato la biondona tedesca in vacanza a Ischia, avranno alzato la testa senza rischiare di essere dileggiati dalle risa. La disoccupazione è aumentata? E’ il costo della credibilità. Le criticità del Paese, alla fine, si riconducono alla radice e alla madre di tutti (quasi) i problemi: il lavoro. A scanso di novità clamorose, il ministro del Lavoro e Politiche sociali non sarà più la Fornero, colei che accusò, sulla propria pelle, scoppiando in lacrime (è doveroso rammentarlo sempre), il triste destino dei sacrifici della popolazione. Un ministro consapevole dell’arduo compito affidato e che ricordò, a un malato di Sla, come “Anche la vita di un ministro è difficile”. Il ministro del Lavoro spiegò a chiare lettere, nel giugno scorso, che “Il lavoro non è un diritto. Il lavoro va guadagnato, anche con il sacrificio, non è un diritto”. Per far capire la profondità di quest’affermazione non ebbe esitazioni ad andare addirittura contro la Costituzione italiana che lo prevede all’articolo 4 “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Purtroppo, come ha puntualizzato la Fornero, i giovani sono troppo schizzinosi (choosy) e non si accontentano nelle loro pretese. Lei, invece, è stata sempre più modesta e, in un’occasione, ha riconosciuto “Io ho accettato di fare il ministro non avendone alcuna preparazione”. A concludere, nonostante le successive precisazioni e smentite, le dichiarazioni (a febbraio) del ministro del Lavoro all’Independent “Se lei stesse dicendo che il governo Monti ha fallito nello sfruttare la propria forza, allora io dovrei darle ragione”. Le vicende ingarbugliate che hanno visto Berlusconi appellarsi a Bersani e questi alla rincorsa verso Grillo, per riuscire a trovare la soluzione numerica e materiale (non di sostanza come auspicabile) pur di arrivare a insediare un esecutivo, hanno tolto la visibilità a Monti. Il suo governo dimissionario procede e naviga a vista, profittando dell’incapacità dei politici. Monti, tuttavia, aveva già avvertito dell’inferiorità dei politici rispetto ai tecnici, poi è divenuto anche lui un politico con tanto di candidatura. Il risultato elettorale modesto ha fatto in modo che colui che ha salvato l’Italia dal tracollo non sia così richiesto dalle formazioni in campo né sembra sollecitare rimonte in caso di ritorno alle urne. Per questi motivi, l’epopea di Monti, nominato all’infinito nei media fino a qualche mese fa (quando non era “salito” in politica e non c’erano, dunque, problemi di par condicio), volge lentamente al termine. Monti ha deciso di salire in politica nel modo più nobile possibile, anche curando l’aspetto terminologico. Visti i risultati non brillanti (9% al Senato e 10,5% alla Camera), forse qualche dubbio gli sarà passato per la mente. Uno dei più ovvi è quello di non aver rinunciato alle elezioni, tenendosi fuori e aspirando, invece, alla poltrona di Capo dello Stato. Una carica che, in Italia, non ha lo stesso potere di una Repubblica presidenziale ma l’inquilino del Quirinale è pur sempre colui che, fra l’altro, concede grazie, presiede il Csm, promulga le leggi, dichiara lo stato di guerra, nomina i senatori a vita nonché i presidenti del Consiglio “tecnici” senza ricorrere alle urne. Qualcuno si era già immaginato Monti dietro a una scrivania, la sera dell’ultimo dell’anno, a porgere gli auguri a reti unificate agli italiani. Verosimilmente, egli si sarebbe celato dietro un elegante rifiuto di ricordare il proprio merito nell’aver risollevato le sorti del Paese. A questo punto, la decisione gli brucia di più, perché non è potuto rientrare neanche nel novero dei 10 saggi chiamati da Napolitano per redimere le questioni economiche e istituzionali della nazione. Il sito www.byoblu.com (quello di Claudio Messora, consulente per la comunicazione del M5S) mette in risalto alcuni punti significativi dell’esperienza montiana rispetto a tutti i 27 Paesi dell’Ue) indicando per il Pil un -2%, 1,5% in più di tasso di disoccupazione, inflazione a +0,5%, produzione industriale stimata a -5,3% e deficit pubblico al -0,4%. I primi due valori costituiscono il peggior risultato di sempre, gli altri due (inflazione e produzione industriale) rispettivamente degli ultimi 5 e 15 anni. Monti è comunque sereno: sa di aver compiuto il possibile per salvare il Paese e di aver evitato la bancarotta nonché l’uscita dall’euro. Sa di aver il pieno appoggio degli Stati amici dell’Italia, europei ed extraeuropei. E’ conscio che un pizzico di rabbia avrà suscitato con la sua introduzione dell’Imu, l’imposta più odiata, a senso unico (semaforo rosso per le fasce più deboli e verde per i grandi immobili accatastati come case normali e la Chiesa) ma sa che alla lunga tutti gli italiani capiranno il bene che ha fatto per loro. I possessori di grandi patrimoni lo hanno già capito e loro sì che ringraziano davvero; anzi vorrebbero prorogargli l’incarico il più possibile, a scanso di equivoci, visto quel trita-privilegi di Grillo, quel presunto giustiziere di Bersani e il Cavaliere. Quel Silvio che, togliendo proprio l’Imu (la tassa sui poveri), potrebbe non bilanciare appieno gli interessi dei benestanti (di fatto quasi esentati dall’imposta sulla casa), attraverso la sola introduzione del condono totale. Cosa ricorderà la cittadinanza di questo governo tecnico? Di sicuro l’introduzione dell’imposta citata, la “revisione della spesa” fondata sulla riduzione dei buoni pasto dei dipendenti pubblici, la riforma del lavoro, la riforma delle pensioni con la conseguente creazione degli esodati (il cui numero è ancora allo studio ma in calo, stando, purtroppo, ai dolorosi suicidi) e alle gaffe. Queste ultime, in genere, da qualsiasi pulpito istituzionale provengano, fanno ridere. Quelle “tecniche” no, basta rileggerle o cercarle, per un’analisi che consegni alla storia il governo Monti. Un minuto di silenzio per ricordare la fine dell’esecutivo tecnico è doveroso. Marco Managò |
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