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Come ti faccio una grande alleanza |
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Alla fine i saggi indicati dal presidente Napolitano hanno presentato le loro indicazioni. Come c’era da attendersi, lo spirito che accompagna entrambi i documenti varati è quello della ricerca del minimo comun denominatore di una possibile grande alleanza. Sul fronte istituzionale, i saggi hanno ripescato una serie d’indicazioni già espresse nell’ultima fase, con qualche aggiunta (inquietante). Le hanno selezionate tenendo conto degli orientamenti prevalenti e le hanno declinate in modo tale da rispondere ad alcune esigenze (e pressioni). Ne è emerso un disegno complessivo non esaustivo, ma che tratteggia i caratteri del sistema istituzionale cui si sta pensando e da cui emergono non pochi motivi di allarme. In primo luogo, ed è l’aspetto più inquietante, è evidente l’intendimento di attribuire a questa legislatura (in caso si stabilizzi e non precipiti nelle elezioni anticipate) un carattere costituente. La commissione redigente che si propone per affrontare il tema delle riforme costituzionali, composta da parlamentari e da esterni, costituisce lo strumento prescelto. Strumento che assume una valenza simile a quella di un’assemblea costituente, anche se al Parlamento resta la decisione finale, e la sua nomina non avviene attraverso una consultazione popolare su base proporzionale. Il meccanismo è quindi assai pericoloso - e non a caso lo stesso Onida ha espresso delle riserve - perché in ultima analisi finisce con l’attribuire alla commissione redigente e a questo Parlamento un potere di revisione costituzionale generale, senza i presupposti di democraticità indispensabili. Il sistema istituzionale cui si pensa recepisce molti dei suggerimenti emersi nell’ultima fase, nel dibattito sulle riforme istituzionali, da parte delle forze principali. Alla fine, se è positivo che il modello semipresidenziale sia giudicato inappropriato al caso italiano, stoppando in tal modo le tendenze estreme al superamento del sistema parlamentare, nondimeno è evidente la tendenza al rafforzamento del peso del governo rispetto al Parlamento. Sono a tal fine indicative alcune proposte riguardanti il rafforzamento del ruolo del Presidente del consiglio nella nomina e revoca dei ministri e nello scioglimento delle camere e il peso maggiore attribuito al governo nell’iniziativa legislativa. Un elemento altrettanto preoccupante è quello riguardante le modifiche del sistema della rappresentanza. La scelta, in questo caso, è connessa all’obiettivo di conseguire quella governabilità messa a rischio a seguito del moltiplicarsi dei poli. In questo senso, la stessa trasformazione del Senato in Camera delle regioni (nominata dai consigli regionali) e l’attribuzione alla Camera dei deputati del ruolo di titolare unico dell’indirizzo politico sono oggettivamente funzionali all’eliminazione del rischio di doppie maggioranze nei due rami del Parlamento. A ciò si aggiunge una proposta di diminuzione secca del numero dei parlamentari (che per la nuova Camera dei deputati dovrebbe contrarsi da 630 a 480) che, di là dalla retorica sul taglio dei costi della politica, costituisce una pericolosa riduzione della dialettica parlamentare a beneficio, in ultima analisi, delle forze maggiori. In questo contesto, la proposta di legge elettorale, pur nella sua nebulosità e nell’eclettismo di una formulazione che prevede più possibilità, fa intravedere alla fine la direzione verso cui si pensa di andare e cioè: un ulteriore inasprimento delle soglie di sbarramento e l’attribuzione di premi di governabilità. Sembra archiviata la scelta di estendere il sistema elettorale previsto dal “porcellum” per la Camera al Senato, probabilmente per le difficoltà che ciò avrebbe presentato sul piano costituzionale, così come quella del doppio turno di collegio. Elementi questi positivi, ma il modello cui si allude (forse un “mattarellum” modificato o comunque un sistema misto) punta a ridurre il pluralismo e a rafforzare le propensioni maggioritarie, in un quadro – questo è il paradosso – in cui avrebbe avuto senso, semmai, ritornare al proporzionale. Né poteva mancare una parte concernente la riforma della politica, dallo statuto dei partiti alle forme di finanziamento, agli istituti di partecipazione popolare. Anche qui ripescando proposte già fatte, si avanzano indicazioni contraddittorie. Così, se si ammette la necessità di conservare il finanziamento pubblico e si cerca di ridurre l’uso abnorme di risorse e mass media da parte delle forze maggiori a danno delle minori, è evidente la volontà di garantire soprattutto le forze maggiori (tramite il criterio dei voti conseguiti e le agevolazioni fiscali sulle donazioni). D’altro lato, se si vuole rendere più cogente l’iter delle leggi d’iniziativa popolare, prevedendone la discussione parlamentare obbligatoria, si propone in conclusione l’innalzamento delle firme necessarie, così come nel caso dei referendum. Il lavoro dei saggi mette in luce, in ultima analisi, l’orizzonte possibile di un “governissimo” in tema di istituzioni e cioè, a parte il superamento di alcune incongruenze manifeste, la ricostruzione delle condizioni per una competizione bipolare in un quadro politico imperniato ormai su 3-4 poli. Un approdo il cui esito più probabile sarebbe la riduzione anziché lo sviluppo della dialettica democratica. Senza contare i prezzi che in un simile quadro politico si potrebbero pagare in termini di partecipazione democratica e di rispetto delle norme costituzionali. Si osservi, a titolo di esempio, il modo con cui sono stati affrontati nella proposta dei saggi temi come il conflitto d’interessi, il federalismo fiscale o ancora le norme sul procedimento giudiziario e sul funzionamento della magistratura. Temi centrali, eppure in larga misura elusi o declinati in modo preoccupante per non suscitare l’ostilità del centro-destra. Gianluigi Pegolo |
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