Aborto, il Csm a Napoli
 







di Francesca Pilla




È ancora tutto lì, in quella mezzora di nove giorni fa, da ripercorrere minuto per minuto nel tentativo di comprendere come mai in un intervento da manuale nell’applicazione della legge 194, si siano intromessi magistratura e polizia. E un lutto privato di una donna sia diventato di dominio pubblico. Un evento «anormale» che in una settimana ha provocato l’apertura di 5 indagini diverse: Garante per la Privacy, ministero della Giustizia, ministero della Salute, una interna già chiusa positivamente e una dello stesso pm Vittorio Russo che sta procedendo «per fatti non costituenti notizia di reato». Ieri è arrivata la sesta. Il Csm ha avviato un’istruttoria sul comportamento della procura di Napoli. E anche a Palazzo Marescialli ristudieranno la sequenza per valutare se ci sia stato un abuso.
Un portantino telefona prima delle 19 al 113, perché una donna sta partorendo nel bagno del secondo policlinico di Napoli. Gli agenti ottengono il via libera
ad intervenire dal pm Russo. Alle 19.20 arrivano a sirene spiegate e secondo i testimoni, tra cui il responsabile dell’Ivg Francesco Leone, bloccano le uscite, interrogano personale e degenti, poi si dirigono dalla paziente appena uscita dalla sala operatoria per il raschiamento. La donna è confusa dopo un pomeriggio di contrazioni indotte e l’effetto dell’anestesia. L’ispettrice non si «intenerisce», chiede informazioni riservate e anche superflue: nome del padre e motivi dell’aborto. Nella confusione ipotizzano le accuse per i sanitari: mancata rianimazione del feto, ma non è un reato solo un’iniziativa provocatoria di un gruppo di medici qualche giorno prima. Allora si parla di «feticidio» alla 21esima settimana. Chiedono il sequestro della cartella clinica e del feto. Non hanno un mandato né c’è flagranza, in quanto il crimine non si realizza in un normale intervento di aborto terapeutico. Chiamano il pm, che si assume la responsabilità. Scoppia un putiferio, scattano le proteste di donne e uomini, dal centrodestra tacciono, eccetto Giuliano Ferrara. Quanto basta per mettere sotto accusa l’operato di polizia e magistratura.
Ieri il Csm ha accolto la richiesta di una verifica avanzata da tutte e sei le consigliere, laiche e togate, subito dopo il blitz. Nicola Mancino, il vicepresidente, ha annunciato il via libera all’istruttoria affidata alla Prima commissione che si occupa «del comportamento dei magistrati». Già subito dopo i fatti le consigliere avevano rilevato come, in quanto accaduto, non si fosse tutelata una persona in un momento di «difficoltà e debolezza». Si era andati oltre i normali accertamenti visto che «la legge 194, disciplinando le condizioni e le modalità per l’interruzione, prevede una procedura che consente di verificare documentalmente l’osservanza delle condizioni di legge».
Fino ad oggi il procuratore generale Giandomenico Lepore ha difeso il pm su tutta la linea, perché per verificare una telefonata, che lo stesso ha definito
circostanziata, bisognava intervenire. Gli agenti hanno inviato la relazione su quei 35 minuti al policlinico: un’ispettrice donna avrebbe fatto sommarie domande alla signora che, affermano, si trovava in piedi nella sua stanza. Ma le contraddizioni non mancano. Primo il riscontro tra la telefonata e il reato contestato. Il portantino Ciro De Vivo nei suoi 4 minuti non ha mai pronunciato la parola aborto illegale, bensì riferiva di una signora che stava partorendo nel bagno, con i «ferri in mezzo alle cosce», particolare non provato. La relazione delle pattuglie si scontra con tutte le testimonianze delle ricoverate e dei sanitari che descrivono un atteggiamento spropositato rispetto al luogo e ai fatti contestati: sono state bloccate le entrate di un reparto ostetrico, mettendo in agitazione madri che stavano per partorire. Quanto alla donna, i testimoni concordano che si trovava nel suo letto (abbastanza plausibile appena 20 minuti dopo un raschiamento) dolorante e in stato confusionale. Ora spetterà al procuratore generale della Corte d’Appello, Vincenzo Galgano, fornire tutte le spiegazioni sulle decisioni di Russo, sia al ministro della giustizia Scotti che al Csm. Dopo le proteste corali, come ha detto lo stesso Mancino «si tratta di capire bene cos’è accaduto nell’ospedale, che peraltro è una struttura pubblica».de Il Manifesto