Anatomia della crisi politica italiana
 











L’Anatomia della crisi politica italiana del governo Napolitano/Letta/Berlusconi, che mi limito, qui, a riprendere tre tratti decisivi: la sconfitta politica, ma anche culturale, del centrosinistra; la vittoria delle destre, che risorgono vittoriose, per responsabilità del Pd (ma anche di larga parte del sindacato) dal baratro in cui erano precipitate; la fine ingloriosa della Seconda Repubblica (mentre la Terza Repubblica si propone come degenerazione della politica, tradendo ogni tratto innovativo a cui comunque spinge una dinamica sociale che annovera conflitti isolati, a volte disperati, ma che pretendono ascolto e risposta strategica). La sconfitta, anche culturale, per l’appunto, del centrosinistra si proietta, purtroppo, sulla stessa tenuta costituzionale. Avanza in maniera possente la tendenza presidenzialista, cara alle destre, ma anche a tanta parte del centrosinistra (compreso Renzi, nuovo"padrone" del Pd) e, soprattutto, ai potentati economici confindustriali.
Napolitano ha incarnato lo"stato di eccezione", il ruolo di "commissario"politico della Bce, con i suoi governi, che non potevano che essere rinchiusi nella gabbia mortale delle "larghe intese" in nome della presunta "salvezza nazionale". Ma questa tendenza (lo scriviamo per l’ennesima volta) non nasce oggi. Occorre un’analisi seria e di verità sull’ultimo ventennio (perlomeno), che ha costruito il maggioritario come antidoto del conflitto sociale e politico, come corazza impenetrabile delle istituzioni, affinchè le dinamiche sociali non condizionassero la politica, ridottasi, a sua volta, a mera amministrazione. La morte della politica come scienza della trasformazione e il suicidio dei partiti nasce anche dal maggioritario. E ciò rigurda anche noi che, pure, l’abbiamo avversato. Non abbiamo, invano, analizzato che il centrosinistra crollava sotto una cultura personalistica e feudale, spesso legata a potentati economici locali e nazionali (bancari e sotto
forme di cooperative divenute imprese capitalistiche? Questa frammentazione corporativa aggiunge argomenti forti a chi sostiene che il presidenzialismo (come dimostra Napolitano) diventa, nel disastro istituzionale, l’unico punto forte di presunta unità nazionale. E’ evidente che il Pd sta rinnovando qui,in una realtà pur così diversa, il percorso del Pasok greco. Può darsi che i risultati elettorali futuri non siano altrettanto disastrosi ma è simile l’idelogia liberista che lo rende succube volontario del "fiscal compact" e del pareggio di bilancio in Costituzione. E’questa la parabola che conduce al governo Letta.
Vendola, a sua volta, dovrebbe prendere atto del fallimento della sua strategia, invece di continuare a trastullarsi con astuzie tattiche tese solo a guadagnare un gruzzolo di voti sulle macerie elettorali del Pd (ammesso e non concesso che lo scherzo riesca, visto che, su questo piano, il fruitore finale sarà certamente Grillo). Vendola pone due discriminanti
(sinistra"di governo" e adesione al Partito Socialista Europeo) che sono solo uno sbarramento contro la costruzione di un soggetto politico antiliberista, anticapitalista (che comprenda le comuniste e i comunisti). Ma il tatticismo verrà riassorbito. La verità è che il maglio della crisi recessiva continuerà a picchiare forte contro lavoratori, diritti, alimentando nuove precarietà delle vite ed abbattendo Stato sociale e beni comuni. Si è aperta una crisi sociale, di modello, in Europa.
Il governo Napolitano/Letta invia un messaggio preciso: non vi fate illusioni. In una fase in cui l’ossessione rigorista delle autorità europee, incomincia a scontrarsi con contrazioni produttive perfino in Germania e nei Paesi Bassi, che spingono a parziali autocritiche lo stesso Fondo Monetario Internazionale, non si illudano sindacati militanti e masse popolari. L’austerità non è stata sconfitta nè dalla politica nè dal voto. Il possibile parziale allentamento dei vincoli (che è probabile dopo le
elezioni tedesche dell’Autunno) non servirà per redistribuzione delle risorse e produzione sociale, ma sarà devoluto ad investimenti di capitali e ad una nuova fase di accumulazione e profitti di settori industriali (considerando che il sistema produttivo tedesco ha interesse, come ha ben compreso Il Sole 24 ore,al rilancio di aziende esportatrici italiane). L’alternativa postliberista ed anticapitalista è tutta da costruire.Tocca anche a noi, a sinistra, alle costituenti anticapitaliste che stanno muovendo i primi passi. Del resto,se non ora,quando? Giovanni Russo Spena