Palestina, Da Abbas la solita minestra riscaldata
 











Nell’autunno scorso aveva provocato molto clamore la richiesta di adesione presentata dall’Autorità nazionale palestinese all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ne ha poi decretato a maggioranza l’ingresso come stato non membro. Un’azione che, seppur molto limitata, rappresentava la prima iniziativa unilaterale del governo di Ramallah verso un’autodeterminazione altrimenti impossibile.
La cosa aveva suscitato la reazione stizzita delle autorità israeliane, che avevano immediatamente chiamato in loro soccorso gli alleati statunitensi, dando vita a una serie di misure volte a esercitare pressioni sull’Anp, trovatasi improvvisamente senza i proventi delle tasse e senza i finanziamenti Usa. Un’azione combinata che ha avuto l’effetto sperato, costringendo il presidente palestinese, Mahmud Abbas, a ritornare sui propri passi e ad abbandonare la strada del riconoscimento internazionale dello Stato di Palestina.
“Abbiamo intrapreso la strada
del negoziato, solo del negoziato, per arrivare alla pace con Israele. Insistiamo a diffondere la cultura della pace e della fratellanza per poter vivere in pace e in amicizia con i nostri vicini di Israele”, ha affermato domenica scorsa il leader di Ramallah, tornando così a rilanciare l’ipotesi dei colloqui di pace fra le parti, nonostante più volte in passato si sia rivelata solo un vico cieco in grado di favorire la colonizzazione delle terre palestinesi. Abbas non è nuovo a queste radicali inversioni di marcia, che nel corso degli anni hanno fiaccato la sua popolazione, ma di fatto permesso a lui di restare al proprio posto.
“In questo momento – ha aggiunto il presidente dell’Anp illustrando le opzioni a disposizione - ci sono importanti iniziative di Stati Uniti, Europa ed anche Italia per trovare uno sbocco, una soluzione, per la stabilità, con due Stati e con Gerusalemme Est capitale della Palestina, senza dividere la città. Esiste un’iniziativa di pace araba che incoraggia
Israele a fare passi concreti per arrivare alla pace. In cambio lo Stato d’Israele sarà riconosciuto da tutti i Paesi arabi ed islamici e non solo dai vicini”. Una rivelazione, quest’ultima, che sembra testimoniare la rinuncia degli Stati Arabi alla resistenza, senza però tenere conto dei possibili sviluppi della crisi siriana e della reazione della milizia sciita libanese Hizbollah.
La Lega araba potrebbe aver infatti preso tale decisione dando per acquisita la caduta del governo di Bashar al Assad, in realtà tutt’altro che prossima o scontata, e l’immobilità del Partito di Dio, che della resistenza ha fatto il proprio principio cardine. Un eventuale inizio del negoziato di pace con Israele metterebbe inoltre fine al processo di riconciliazione interpalestinese, un particolare del quale Abbas non sembra curarsi avendo annunciato, sempre domenica, l’inizio delle consultazioni per la creazione di un governo di unità nazionale. Governo nei confronti del quale, proprio Tel Aviv ha già
posto il veto, escludendo ogni possibilità di trattare con un esecutivo che comprenda anche esponenti di Hamas.
E lo stesso movimento radicale che governa la striscia di Gaza si è mostrato ieri scettico sulla nascita di questo governo di unità, lamentando per bocca del proprio portavoce, Sami Abu Zuhri, una mancanza di qualunque comunicazione concreta e diretta in tal senso da parte della presidenza dell’Anp.
Nulla di nuovo dunque da Ramallah, pronta nuovamente a spianare la strada ai bulldozer di Tel Aviv verso la colonizzazione della Palestina.