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Uomo Novecento, Igor Stravinsky, uomo che gioca con i linguaggi come un pittore con la sua tavolozza di colori, che può essere politonale nel balletto “le Sacre du Printemps”, assumere vesti bizantine ne “Les Noces”, trascrivere ricreando temi di Pergolesi per dare vita sonora ad un Pulcinella, prestare a Sofocle la sua voce più autenticamente mitica nell’opera oratorio Aesdipus/rex, trasformare con la bacchetta del mago danzacce popolari della Russia più profonda in una geniale composizione che è anche un piccolo cofanetto di delizie, letto, recitato, cantato com’è questa “Histoire du soldat” che il Teatro dell’Opera di Roma ha proposto nella Sala del Conservatorio di Santa Cecilia, affidando alla poli vocalità di Peppe Barra il ruolo del soldatino e quello del diavolone in tutte le sue morfizzazioni. Quanta strada sotto i sandali di Igor a partire da quell’esplosione selvaggia di colori di Pétruska, quanto di imprevedibilmente antico ed eterno in questo racconto che gioca con miti come quello di Faust, che abolisce le frontiere temporali e basta un nulla perché il povero ragazzo di ritorno dal fronte si accorga di aver perduto tre anni della sua vita e di essere così cambiato che la stessa madre non lo riconosce e la fanciulla amata è ormai una tenera matrona con bimbi alle costole. Un soldato itinerante come la vicenda di cui è protagonista, attinta a due racconti “Il soldato disertore e il diavolo” e “Un soldato e la principessa”, parte di un ciclo di storie popolari di origine turca del secolo precedente, transitate assieme alle truppe raccolte dallo zar Nicola I (1825-1855) per la guerra contro l’Impero del 1827-1829, e venute ad infoltire la tradizione orale russa e poi trascritte da Aleksandr Afanasiev. Itinerante come quel teatrino ambulante che doveva viaggiare la Svizzera in tutti i suoi villaggi a rappresentare “l’Histoire” con le marionette e dare la possibilità di sopravvivere allo scrittore Charles-Ferdinand Ramuz, al direttore d’orchestra Ernest Ansermet, a René Auberjonois, pittore locale che avrebbe assunto le vesti di scenografo e costumista e naturalmente allo stesso Stravinsky, esuli tutti in territorio elvetico in quel 1918 che si leccava le ferite della Rivoluzione russa del 1917 e della Grande Guerra. E allora, strumenti ridotti al minimo, violino e contrabbasso, clarinetto e fagotto, cornetta a pistoni e il trombone e un percussionista: sette strumenti in tutto. Ma l’imprevisto è in agguato: la terribile epidemia di “spagnola”, febbre influenzale infausta che decimò l’Europa. L’”Histoire” debuttò poi a Losanna il 28 settembre 1918, in un vero teatro, con ballerini, mimi, e attori in carne ed ossa, entusiasticamente riuniti a raccontare di Joseph finalmente in via per tornare a casa dalla guerra con il suo zaino pieno di un medaglione portafortuna, di uno specchio, della foto della sua ragazza ed soprattutto del suo amatissimo violino, che varrà pure pochi soldi ma che lo delizia nel suo andare. Mentre lo suona gli si avvicina un anziano signore con un retino per farfalle, in realtà Satana sotto mentite spoglie, che gli propone di barattare il violino con un misterioso libro che contiene indicibili ricchezze, uno di quei libri magici dove il tempo ha perso il suo senso e il futuro è già scritto. Ma si può fare una proposta simile ad uno che non sa leggere? Satana assicura di potergli insegnare in tre giorni tutti i segreti della scrittura mentre lui gli darà lezioni per far vibrare l’archetto. Ma in realtà sono tre anni della sua vita che sono scivolati via e il ritorno a casa è demoralizzante, tutti lo sanno morto. La situazione si complica perché nemmeno le ricchezze cui può attingere fanno felice il povero Joseph che si sbarazza di tutto e approda alla fine alla soglia del palazzo del re, la cui figlia è molto malata e tenuta sotto controllo da un violinista. Inutile dire che è il nostro satanasso e che il soldato, dopo molti magheggi, riesce a recuperare il suo strumento, a lanciarsi in un tango, un valzer, un ragtime che guariscono d’un subito la ragazza, presto anche sua sposa. Ma non aspettiamoci il regolamentare happy end. Alla fine a danzare soddisfatto sarà proprio il diavolo. In questa partitura, che si è completamente svincolata dai colorismi retaggio in Stravinsky della sua educazione musicale attinta da Rimskij-Korsakov, c’è una summa della cultura musicale, dal corale bachiano, alla marcia, al valzer, al tango argentino, al jazz e c’è la sua genialità nel saperli dosare in interludi, in momenti che sottolineano le diverse parti, nei balletti, nella esibizione dei mimi, ed altro ancora. Il successo di questa edizione del Teatro dell’Opera si può attribuire in buona parte alla presenza di Beppe Barra che interpreta davvero tutti i personaggi caratterizzandoli con la duttilità dei suoi mezzi vocali. Così come alla esibizione dei sette musicisti, Vincenzo Bolognese, violino, Davide Simoncini, Tromba, Amgelo De Angelis, clarinetto, Eliseo Smordoni, Fagotto, Marco Piazzai, trombone, Rocco Luigi Bitondo, percussioni e Massimo Ceccarelli, contrabbasso, retti egregiamente dal direttore Carlo Donadio. Franzina Ancona |
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