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Iraq. Sunniti, sciiti e curdi preparano i loro eserciti
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Con l’aumentare delle violenze settarie (secondo i dati Onu, con oltre 700 morti, aprile è stato il mese più sanguinoso dal giugno 2008), in Iraq torna ad affacciarsi l’ipotesi di una divisione federale più netta del Paese in tre “macro-regioni” autonome: i curdi a nord, i sunniti a ovest e al centro, e gli sciiti a sud. Una realtà in parte prevista dalla Costituzione redatta nel 2005 sotto il controllo degli Stati Uniti (che contribuirono a una pericolosa divisione su base settaria del potere), ma che di fatto si è realizzata – non senza problemi – solo nel Kurdistan iracheno, che già poteva contare di una discreta autonomia durante il governo di Saddam Hussein. Secondo quando riferito al quotidiano arabo Asharq al Awsat dal deputato sunnita Ahmed al Alwani, dirigente della coalizione di opposizione al Iraqiya, i membri del suo partito avrebbero cominciato a raccogliere le firme per “dare vita a una regione autonoma” nella vasta regione occidentale di al Anbar. Già verso la fine del 2011 alcuni governatorati sunniti, tra i quali anche Anbar, avevano chiesto un referendum per ottenere uno status federale analogo a quello del Kurdistan iracheno. Tuttavia le richieste erano state respinte dal governo dello sciita Nuori al Maliki. Inoltre, come ricorda anche il quotidiano Asharq al Awsat, il progetto aveva incontrato diverse critiche anche da esponenti sunniti. Ma ora, assicura Alwani – che è uno dei maggiori fautori dell’autonomia sunnita –, “sia i capi tribù che gli ulema lo sostengono”, specialmente dopo i duri scontri delle scorse settimane tra i manifestanti sunniti e le forze di sicurezza governative. Da parte sua Maliki ha messo in guardia dal rischio di una guerra civile senza fine “nel caso in cui il Paese dovesse dividersi a livello tribale e religioso”. In particolare, nel corso di un’intervista al quotidiano arabo al Hayat, il premier ha stigmatizzato l’ipotesi avanzata dalle tribù sunnite di al Anbar di dare vita a un esercito locale. Un’idea che secondo Maliki è guidata dai “servizi segreti di alcuni Paesi”. Il riferimento è, probabilmente, all’Arabia Saudita, che sostiene i movimenti sunniti in Iraq per contrastare l’influenza del nemico iraniano (sciita) sulla politica irachena. Nei giorni scorsi anche l’ex consigliere per la sicurezza nazionale del premier, Muwafaq al Rabii, si era lamentato con la stampa dell’apparente stato di rassegnazione con il quale molti politici a Baghdad parlassero di una prossima divisione dell’Iraq. In realtà negli anni scorsi, specialmente durante le discussioni sulla nuova costituzione, erano state proprio le comunità sunnite a esprimere le proprie obiezioni su una divisione settaria dell’Iraq. Ipotesi che, per altro, era ben vista da Washington, forse nella speranza di poter controllare meglio un Paese “decentrato”. Uno dei motivi principali di questa opposizione è il fatto che i grandi giacimenti petroliferi iracheni si trovano soprattutto nel nord curdo e nel sud sciita, che per altro rappresenta l’unico sbocco al mare del Paese. Per questo motivo, per niente trascurabile, ancora oggi anche i più accaniti “federalisti” come Alwani non chiedono una secessione totale. “Come previsto dalla Costituzione, Anbar dovrebbe ricevere una parte del bilancio statale, come accade con il Kurdistan”, ha spiegato nei giorni scorsi il deputato. Il problema è che anche l’autonomia curda sta creando non pochi problemi a governo centrale di Baghdad, in particolare per due punti – previsti nella Costituzione – ancora rimasti in sospeso. Il primo riguarda l’implementazione dell’articolo 140 della Costituzione sui “territori contesi” intorno alla città di Kirkuk, ricchissimi di petrolio. Il secondo riguarda l’approvazione di una legge sugli idrocarburi che stabilisca una volta per tutte con chiarezza la distribuzione dei proventi del petrolio e la gestione dei contratti petroliferi, attualmente motivo di scontro tra Baghdad e Irbil, capitale del Kurdistan. Nei giorni scorsi i curdi sono tornati a schierare le proprie truppe di Peshmerga intorno a Kirkuk. Irbil ha giustificato la decisione in rapporto all’inasprirsi degli scontri tra sunniti e sciiti, ma da Baghdad hanno denunciato il tentativo di prendere il controllo delle zone petrolifere. Così, mentre i Peshmerga schierano i loro carri armati nel nord, le tribù sunnite dell’ovest (per altro al confine con la Siria) minacciano di creare un proprio esercito, scatenando le preoccupazioni di Baghdad e, soprattutto, delle milizie sciite del sud. “Dietro la creazione di un esercito sunnita ci sono gli elementi del passato regime di Saddam”, ha denunciato il leader sciita Moqtada al Sadr, che nonostante i periodici – e timidi – tentativi del governo di disarmare la sua milizia, continua a poter contare su un piccolo esercito nel sud del Paese. Un’eventuale “balcanizzazione” dell’Iraq rischia di essere tutt’altro che indolore. Pakistan. Elezioni “più sanguinose” della storia Quelle che dovrebbero essere le prime elezioni “democratiche” del Pakistan (per la prima volta dall’indipendenza un governo civile eletto riesce a finire i cinque anni di legislatura senza essere scalzato da un golpe) sono anche “le più sanguinose” della storia del Paese. Lo hanno ammesso a malincuore i vertici della sicurezza di Islamabad citati dal quotidiano The Dawn, che ha fatto un primo bilancio della raffica di attentati che ha colpito attivisti e candidati nel corso della campagna elettorale: oltre 40 attacchi che hanno causato più di 70 morti. Nel mirino soprattutto uffici elettorali, sedi di partito e raduni politici del Partito nazionalista Awami (Anp) e del Movimento Muttahida Qaumi (Mqm), considerati troppo “laici” e anti-islamici dai talibani pachistani del Tehreek-e-Taliban (Ttp). “La situazione odierna del Pakistan non si era mai verificata in passato”, ha dichiarato il ministro dell’Informazione Arif Nizami, definendo “una vera sfida” organizzare elezioni libere per l’11 maggio. Il giorno prima anche il capo della Commissione elettorale pachistana, Fakhruddin Ebrahim, aveva ammesso che senza un miglioramento della situazione della sicurezza sarà “difficile” garantire elezioni “libere e trasparenti”. La maggior parte degli attacchi sono stati condotti nella popolosa città portuale di Karachi e nelle province occidentali del Baluchistan e di Khyber Paktunkhwa. Proprio ieri a Karachi un commando armato ha ucciso il candidato dell’Anp Sadiq Zaman Khattak, mentre usciva dalla moschea insieme al figlio di 3 anni. Tra gli altri candidati uccisi, c’è il leader dell’Anp Ghulam Ahmed Bilour, assassinato il 16 aprile in un attacco contro un raduno politico a Peshawar, che ha causato altri 14 morti. E Fakhrul Islam, candidato per il Mqm e ucciso in un agguato lo scorso 11 aprile a Hyderabad, nel sud del Paese. Un’altra vittima “eccellente”, ma non collegata alle elezioni, si è registrata ieri a Islamabad, quando un commando armato ha ucciso il procuratore speciale della polizia pachistana (Fia) Chaudhry Zulfiqar Ali, impegnato nelle indagini sull’assassinio della ex premier Benazir Bhutto, morta in un attentato a dicembre del 2007 nel corso di un comizio a Rawalpindi, nel Punjab. Per quell’episodio, l’allora presidente pachistano Pervez Musharraf è accusato di non aver garantito alla Bhutto – sua avversaria politica – misure di sicurezza sufficienti. Il procuratore Zulfiqar era anche impegnato nelle indagini sull’attentato del novembre 2008 a Mumbai, in India, nel quale morirono 170 persone. In seguito ad alcune minacce di morte, dallo scorso anno il governo pachistano aveva aumentato le misure di sicurezza intorno a Zulfiqar. Il partito di Musharraf fuori dalle elezioni Il partito fondato dall’ex presidente pachistano Pervez Musharraf, agli arresti nella sua villa di Islamabad, boicotterà le elezioni dell’11 maggio. Lo ha annunciato un portavoce della Lega musulmana pan pachistana (Apml) in una conferenza stampa nella capitale. La scelta di non partecipare alle elezioni è stata motivata con l’esclusione perpetua di Musharraf dalle elezioni decisa da un tribunale lo scorso 30 aprile. L’ex generale golpista è accusato di essere coinvolto nell’omicidio dell’ex primo ministro Benazir Bhutto nel 2007 e del leader indipendentista del Beluchistan Akbar Bugti nel 2006. Inoltre è sotto inchiesta anche per sospensione illegale di giudici quando nel 2007 dichiarò lo Stato di Emergenza. Ferdinando Calda |
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