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La fucina della recessione |
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A iniziare a diffondere le voci allarmistiche sul pericolo dell’inflazione che “... di questo passo ci porterà al disastro totale, con una inflazione a due cifre che farà scappare tutti lasciandoci in rovina ...” sono stati da una parte il noto economista conservatore Allan Meltzer, dall’altra la potente “Organization for Economic Cooperation and Development” (O.E.C.D.). Questa organizzazione, che ha sede a Parigi, fornisce dati macroeconomici ai suoi aderenti, ovvero ad oggi tutti i principali Paesi industrializzati del mondo più il Messico il Cile e la Turchia. In più, benché non formalmente aderenti all’OECD, contatti per lo scambio dei dati di macroeconomia sono già in essere anche con gli altri paesi giganti della economia globale, cioà la Cina l’india e il Brasile. Ovviamente, anche se l’adesione riguarda i singoli Stati, anche gli Organismi Comunitari della Comunità Europea ricevono e scambiano tali dati con l’OECD. Lo strumento chiave su cui si basano le indicazioni macroeconomiche dell’OECD è il “Composite Leading Indicator (C.L.I.)”, un indicatore macroeconomico che mette insieme e bilancia, con calcoli complicati, una variegata serie di dati e indicatori economici per arrivare a tracciare un grafico sulla base del quale gli economisti dei vari Paesi possono vedere (a modo loro) come in una palla di vetro dove sta andando sotto il profilo economico il proprio paese o la propria organizzazione. Qui viene il bello (anzi viene da piangere!) perché a leggere le previsioni formulate nel settembre 2009 (cioè solo tre anni fa!) dall’OECD si legge nel suo principale documento previsionale quanto segue: “L’OECD Composite Leading Indicator del Settembre 2009 dà un forte segnale di crescita per l’Italia, la Francia, la Gran Bretagna e la Cina, mentre tentativi segnali di espansione sono emersi dal Canada e dalla Germania”. Sembra di sognare, invece è esattamente ciò che l”Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica, quella organizzazione cioè che ha “guidato” in qualche modo lo sviluppo della globalizzazione fin dagli anni 60, prevedeva nell’autunno del 2009: l’Italia in testa ai Paesi in crescita, seguita da Francia e Gran Bretagna, con Canada e Germania a “sbuffare” per non farsi staccare. Gli Stati Uniti non vengono nemmeno menzionati perché erano ancora immersi nella voragine della recessione partita nel 2008 proprio dagli Usa. Ma è proprio a questo punto che gli “scienziati” dell’OECD, proprio a questo preposti, si accorgono del “pericolo”: questi evidenti segnali di forte crescita, se non controllati, potrebbero presto trasformarsi in livelli di inflazione che nuocerebbero gravemente alle economie dei Paesi meno previdenti (loro lo dicono seriamente, ma spero che si noti il mio tono sarcastico nel riferirlo). È così che nel 2010 l’OECD comincia ad alzare segnali di allarme sul pericolo che la “disordinata” crescita possa trasformarsi rapidamente in una spirale inflazionistica. Pressioni sui responsabili economici delle principali economie vengono subito attuati dai vertici di questa istituzione: “Non c’è tempo da perdere, l’inflazione va fermata subito. Più si aspetta e più l’inflazione diventa virulenta, e quindi difficile da sconfiggere”. Sono andati persino da Bernanke, numero uno della Federal Reserve americana, a cercare di convincerlo ad alzare un poco i tassi per prevenire il flagello inflazionistico. Benché a dar man forte a questi uccellacci del malaugurio fossero intervenuti in forze tutti i maggiorenti del partito repubblicano americano, Bernanke è andato avanti per la sua strada, e ha fatto benissimo! Non è stato così invece per i colleghi europei. Monsieur Trichet, che a quel tempo era ancora presidente della Banca Centrale Europea, e che quelle “sirene” ce le aveva proprio in casa (a Parigi), non ha resistito a quel celestiale (idiota) richiamo e, dato che la completa ripresa economica era ormai vicina, ha subito agito, prima che fosse tardi! Ha così deciso per un doppio aumento dei tassi per ben due volte nel giro di soli quattro mesi nella prima metà del 2011. E ha così aperto una trappola mortale sotto i piedi di tutta l’Europa, perché da quel momento in poi si sono susseguiti in concatenazione gli attacchi speculativi al debito sovrano dei Paesi più esposti, tra i quali quelli aderenti alla moneta euro erano anche privi di difesa, dato che in plancia di comando c’era proprio lui: Monsieur Trichet. Con Draghi le cose sono andate un po’ meglio dato che, appena arrivato, ha subito rimesso le cose a posto per quanto riguarda quelle due riduzioni dei tassi, e recentemente ha ulteriormente ridotto il tasso di sconto di un altro quarto di punto, portandolo a 0,50% , cioè al record storico. Ma queste manovre erano ormai tardive, dato che la recessione (non l’inflazione!) si è immediatamente abbattuta sull’Europa, colpendo contemporaneamente Italia, Francia e Spagna in modo gravissimo. Ed è quindi diventata cronica. Ora occorrono ormai misure ben più importanti che la semplice riduzione di mezzo punto del tasso di sconto per rimettere le cose a posto. Basti pensare che gli USA hanno già da più di tre anni il tasso di sconto allo zero % e in più stanno facendo opportune politiche di sostegno all’economia mediante massicci acquisti di obbligazioni da parte della Fed, e solo recentemente, dopo 4 lunghi anni, qualche lieve accenno di vera ripresa economica comincia a vedersi. L’Europa, che già aveva l’handicap di non poter attuare con la stessa libertà la politica monetaria di Bernanke cosa fa invece? Impone a tutti il “vincolo di bilancio”, cioè proprio l’unica regola che, manovrata ad arte nel Congresso americano dai “nemici del debito” repubblicani, ha rischiato più volte di lasciare il governo americano senza soldi per far fronte ai propri impegni. Cosa che se fosse avvenuta avrebbe rigettato immediatamente il Paese in grave recessione. Qualcuno sarebbe portato a pensare che, dopo la figuraccia fatta con le previsioni sull’inflazione, nemmeno lontanamente verificatasi, l’OECD avrebbe rinunciato, o almeno fortemente moderato i suoi consigli sulle manovre da fare per evitare i disastri, invece continua imperterrita a dire che bisogna insistere con le politiche “virtuose”, non bisogna mollare le redini proprio adesso. Naturalmente, per ammorbidire la pillola, dice anche che bisogna fare contemporaneamente politiche di sostegno all’occupazione. Ma queste sono chiacchiere. Tutti sanno che nessuna politica di sostegno all’occupazione è possibile finché c’è la recessione, e le politiche dell’OECD, e di tutti quelli che stanno da quella parte, creano recessione, non lavoro. Roberto Marchesi (Dallas - Texas) |
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