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Tra paura delle rivolte di piazza e ricette liberiste |
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Anche la tecnocrazia teme la crescente povertà, la disoccupazione di massa e la collegata rabbia sociale che sta montando in molti Paesi dell’Unione europea. Le rivolte di piazza in Grecia hanno lasciato il segno e non lascia dormire sogni tranquilli la paura che folle inferocite possano ancora una volta dare l’assalto ai Palazzi del potere come è successo ad Atene, Patrasso e Salonicco. La tecnocrazia è letteralmente terrorizzata da tutto quanto annuncia di verificarsi in tempi stretti in conseguenza delle misure ultra-liberiste imposte dalla Commissione europea e dalla Banca centrale di Francoforte. Misure che, in applicazione dei principi del cosiddetto Libero Mercato hanno dato il via allo smantellamento dello Stato sociale e di tutti i meccanismi di tutela delle categorie più deboli. Il successo elettorale di nuove forze politiche che coerentemente o confusamente esprimono questo disagio e questa ostilità nei confronti del credo liberista sta spingendo gli uomini dei Palazzi economico finanziari e politici a riconsiderare decenni di politica economica all’insegna del “laissez faire”. La delegittimazione del potere legale, quello politico, è davanti agli occhi di tutti. Una casta politica autoreferenziale che sta perdendo ogni credibilità dinanzi agli occhi dei cittadini e che al tempo stesso si rende conto che andare dietro i desiderata della finanza e della grande industria non è soltanto devastante sul piano socio-economico ma è anche controproducente per la propria sopravvivenza. Ad ammettere l’esistenza di questa consapevolezza e a farsene interprete è stato, non a caso Mario Draghi, presidente della Bce e per tre anni, prima di arrivare alla Banca d’Italia, vicepresidente per l’Europa della Goldman Sachs. La banca che più di ogni altra identifica il capitalismo di rapina. La banca d’affari che agli occhi del cittadino medio degli Stati Uniti impersonifica la più schifosa speculazione degli squali di Wall Street. La banca che, a differenza della Lehman Brothers, è stata salvata da Bush e da Obama con un prestito di ben 10 miliardi di dollari, a cavallo del 2008-2009, che le ha permesso di ritornare l’anno dopo in attivo e proseguire con le proprie scorrerie. La banca che in Italia ha svolto e continua a svolgere un ruolo nefasto avendo speculato al ribasso contro il valore di mercato dei nostri Btp decennali e partecipando attivamente alle privatizzazioni delle aziende pubbliche italiane tipo ENI e Telecom. Una banca infine per la quale hanno svolto consulenze ben retribuite persone apparentemente divise dalla politica come Rimano Prodi, Mario Monti, Gianni Letta (lo zio) e il non compianto Tommaso Padoa Schioppa, quello dei “bamboccioni”. Draghi, parlando alla Luiss, dove gli è stata conferita (ahinoi) l’ennesima laurea honoris causa, ha sostenuto (sai che scoperta!) che una crescita duratura rappresenta una condizione essenziale per ridurre la disoccupazione, in particolare quella giovanile. In alcuni paesi europei, tipo l’Italia, ha ammesso, questa ha raggiunto livelli che incrinano la fiducia in dignitose prospettive di vita e che rischiano di innescare forme di protesta estreme e distruttive. Se questa è la presa d’atto di una situazione tragica le ricette suggerite dall’ex Goldman Sachs sono le solite. Infatti a suo avviso, se la crescita è oggi più debole in alcuni Paese, questo dipende non solo dal credito scarso ma perché “non si sono volute affrontare fragilità strutturali, di cui oggi, dopo la crisi, si sente tutto il peso”. Riforme che avrebbero potuto adeguare la competitività di strutture economiche “obsolete” alle sfide di una globalizzazione incalzante. In altre parole la riforma del lavoro che deve essere sempre più precario e flessibile per permettere di affrontare la concorrenza di Paesi come la Cina caratterizzati da salari da fame e dall’assenza di diritti e di tutele. Così Draghi non ha trovato di meglio che mettere sotto accusa le politiche economiche di quei Paesi membri dell’Eurozona che hanno superato i limiti introdotti dal Patto di Stabilità e Crescita e che in tal modo avrebbero minato la loro stessa credibilità quali partner di un’Unione monetaria. La crescita economica, ha accusato Draghi, era debole anche prima della crisi, nonostante una crescita spesso tumultuosa della spesa pubblica che, voleva dire Draghi, non è riuscita ad operare un effetto volano di tipo keynesiano. La stessa introduzione dell’euro per alcuni Paesi, con deficit commerciali e di bilanci, è stata un alibi per nascondere i rischi che si erano accumulati negli anni. E questi Paesi, con e le risorse dei privati di Paesi in attivo che avevano comprato titoli pubblici, non hanno fatto investimenti per accrescere la competitività ma le hanno utilizzate per finanziare spese improduttive, o bolle immobiliari. No ci possono essere più creditori permanenti e debitori permanenti, ha insistito Draghi. La crisi finanziaria mondiale, innescata anche dai suoi amici della Goldman Sachs, ha reso chiara l’esistenza di questa dicotomia. Ma per Draghi, la crisi innescata dal Libero Mercato ha per soluzione sempre e comunque dosi massicce di Libero Mercato. Riforme strutturali ora e sempre per aumentare la competitività. E se il lavoro sarà più flessibile e precario, ci vuole meno burocrazia ed investimenti sulla formazione, scuola e università, dei giovani. Certo, ha ammesso, da quasi 20 anni, è in atto una tendenza alla concentrazione dei redditi della famiglie in Europa che penalizza i più deboli. Ma i cittadini comuni si potranno consolare perché quella che Draghi, senza precisare come si possa realizzare, indica come “una più equa partecipazione ai frutti della produzione della ricchezza nazionale”, potrà contribuire a diffondere la cultura del risparmio e della compartecipazione. Con quali risorse si possa fare questo, a fronte di stipendi e di pensioni da fame, lo sa soltanto Draghi. Ma l’ex Goldman Sachs ha insistito, non conoscendo vergogna, e con i toni di Menenio Agrippa rivolto alla plebe, ha sostenuto che il sentirsi parte integrante della Nazione e cointeressati alle sue sorti economiche aumenta la coesione sociale e incentiva comportamenti economici individuali che conducono al successo economico della collettività. Il seguito alle prossime rivolte di piazza e all’assalto probabile alla sede della Bce a Francoforte.Andrea Angelini |
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