Le sorprese delle elezioni iraniane
 











Si è conclusa con due colpi di scena la procedura di registrazione dei candidati alle elezioni presidenziali in Iran del 14 giugno prossimo. Sabato scorso, l’ultimo dei cinque giorni disponibili, hanno presentato la propria candidatura due pezzi grossi – e discussi – della politica iraniana: l’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani , potente e pragmatico veterano del duro agone politico iraniano, e il più giovane Esfandiar Rahim Mashaei, braccio destro (e consuocero) del presidente Mahmoud Ahmadinejad, da tempo nel mirino dei vertici religiosi e ultraconservatori per le sue tendenze nazionaliste e “laiche”. Altro pezzo grosso a presentarsi all’ultimo è stato l’attuale capo negoziatore sul nucleare Said Jalili, considerato molto vicino alla Guida Suprema Ali Khamenei che dal 2007 lo ha nominato segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale.
Nonostante le indiscrezioni dei giorni scorsi, queste notevoli candidature sono state in
dubbio fino all’ultimo momento. “Non parteciperò alle elezioni senza il benestare della Guida Suprema”, aveva dichiarato all’inizio della scorsa settimana Rafsanjani, citato dall’emittente Press Tv.
Alla fine il via libera è arrivato, nonostante il precedente appoggio di Rafsanjani alle manifestazioni anti-governative dell’estate del 2009 – secondo alcuni indirizzato proprio a minare il potere di Khamenei e prenderne il posto – abbia ridotto la sua influenza politica all’interno del sistema di potere, che lo ha progressivamente emarginato.
Nonostante le sue posizioni pragmatiche e tendenzialmente conservatrici, Rafsanjani è appoggiato anche dall’ex presidente riformista Mohammad Khatami, tanto che la stampa nostrana lo presenta come il candidato “moderato-riformista”. Voci a Teheran sostengono piuttosto che la sua candidatura serva soprattutto a Khamenei per contenere il temuto consigliere di Ahmadinejad.
Nemico giurato delle gerarchie clericali, che ne criticano le teorie
religiose “deviate” e i costanti riferimenti nazionalisti alle radici persiane dell’Iran, il 53enne Mashaei è stato accompagnato a presentare la propria candidatura da Ahmadinejad in persona. Non potendosi candidare per la terza volta – e notevolmente indebolito dai costanti attacchi del fronte conservatore – il presidente ha così ufficializzato il passaggio di testimone al proprio “delfino”. Il quale, nonostante le polemiche sulle sue posizioni religiose e sulla sua rapida scalata al potere (che gli sono costate accuse di corruzione e di “deviazionismo” anche da parte della magistratura conservatrice), continua ad avere un discreto seguito e una importante influenza nella politica iraniana.
Resta da vedere se la candidatura di Mashaei verrà accettata dal Consiglio dei Guardiani, un organo composto da 6 teologi (nominati dalla Guida Suprema) e 6 giudici (approvati dal Parlamento), che dovranno verificare che gli oltre 500 candidati che si sono registrati rispettino i requisiti
previsti dalla Costituzione. In particolare “capacità direttive testimoniate da precedenti esperienze, [...] lealtà convinta nei confronti dei principi della Repubblica Islamica dell’Iran e della religione ufficiale del Paese”. L’annuncio ufficiale dei candidati è attesto per il 23 maggio.
I “principalisti”
La candidatura del capo negoziatore sul nucleare Said Jalili, da oltre un decennio a fianco della Guida Suprema Ali Khamenei, si va ad aggiungere a quella di una coalizione a tre filo-Khamenei della quale fanno parte il sindaco di Teheran Mohammad Baqer Qalibaf, il consigliere per la politica etera della Guida Ali Akbar Velayati e l’ex presidente del parlamento (e consuocero dell’ayatollah) Gholam Ali Hadad-Adel. Tutti di un certo peso, i primi due. Secondo la stampa iraniana, una volta approvate le candidature, due di loro faranno un passo indietro a vantaggio del candidato che ha più possibilità di essere eletto.
Tra gli “ultra-conservatori” si segnala anche una
coalizione a 5, di cui fa parte l’ex ministro degli Esteri Manoucher Mottaki, appoggiato dai potenti fratelli Larijani (uno presidente del Parlamento, l’altro capo della magistratura) e in passato protagonista di un aspro scontro con il presidente Ahmadinejad.
I filo-Ahmadinejad
Colpito da una durissima campagna ostile portata avanti negli ultimi anni dal fronte conservatore, dalla magistratura e dalle gerarchi clericali, il presidente Ahmadinejad è dato ormai per spacciato e la sua influenza politica è piuttosto ridotta. La candidatura di Mashaei era in dubbio a causa dell’aperta ostilità di molti vertici nei suoi confronti e lui stesso aveva inizialmente respinto le offerte di una candidatura. Tra i filo-Ahmadinejad, si registra anche la candidatura dell’ex consigliere presidenziale Ali Akbar Javanfekr, ex direttore dell’agenzia di informazione Irna, condannato alla fine del 2011 a un anno di galera per un articolo sullo chador considerato “contrario ai valori islamici”.
“Lo
Squalo” Rafsanjani e i “riformisti”
Presidente dell’Iran per due mandati dall’1989 al 1997, il 78enne Rafsanjani è stato a lungo un influente – e spregiudicato – protagonista della complessa lotta per il potere in Iran, tanto da guadagnarsi il soprannome di “Squalo”. Per un periodo era anche stato definito il “Gorbaciov iraniano” a causa delle sue iniziative per far uscire il Paese dall’isolamento internazionale e di apertura all’economia di mercato. Gode di un discreto seguito tra le gerarchie clericali e, nell’estate del 2009, venne indicato come la vera “eminenza grigia” dietro al movimento dell’Onda Verde. Una mossa indirizzata contro Ahmadinejad ma, si dice, soprattutto contro lo stesso ayatollah Ali Khamenei, del quale Rafsanjani sembrava voler prendere il posto. Ferdinando Calda