L’Italia sprofonda nella recessione, cresce il divario tra ricchi e poveri


 











L’economia italiana è in caduta libera, trascinata verso il basso dalla crisi e da politiche di austerità che, anziché migliorare la situazione, la stanno aggravando. I numeri forniti oggi dall’Istat disegnano un quadro drammatico. Nel primo trimestre 2013 il Pil italiano - corretto per gli effetti del calendario e destagionalizzato - è infatti diminuito dello 0,5% rispetto al trimestre precedente e del 2,3% a confronto con il primo trimestre del 2012. Un dato tanto più negativo se si considera che è solo l’ultimo di una lunga serie, iniziata nella seconda metà del 2011. Quello registrato dall’Istat è infatti il settimo calo consecutivo del nostro Pil, la peggiore striscia negativa, sottolinea l’Istituto di statistica, «dall’inizio delle serie storiche comparabili, nel primo trimestre del 1990». Il calo congiunturale è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nei comparti dell’industria e dei servizi e di un aumento nel settore dell’agricoltura. A gravare sull’economia è la perdurante debolezza della domanda interna, in particolare dei consumi, duramente colpiti dalle manovre di bilancio varate per mettere in sicurezza le finanze pubbliche e dalla crescita della disoccupazione e della cassa integrazione. In un contesto del genere, è una magra consolazione sapere che anche la Francia da oggi è ufficialmente in recessione, avendo messo a segno nel primo trimestre dell’anno una contrazione del Pil dello 0,2% congiunturale, la medesima flessione misurata anche nell’ultimo trimestre del 2012. Se è chiaro infatti che c’è un problema europeo (nel primo trimestre 2013 il Pil dell’Eurozona - Ue a 17 - è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente, mentre nell’Ue a 27 il calo è stato dello 0,1%), è tuttavia altrettanto evidente che l’Italia sta soffrendo più di altri paesi l’avvitarsi della crisi, come dimostra anche il crollo della produzione industriale registrato a marzo: meno 5,2% rispetto allo stesso mese del 2012, il peggior dato tra le grandi economie continentali. Servirebbe un cambio di direzione rispetto alle politiche di rigore fin qui seguite, come sottolinea anche l’economista Jean-Paul Fitoussi al quotidiano “La Repubblica”: «L’unica strada - spiega Fitoussi - è investire per la crescita e alzare i redditi». La stessa Germania, il paese più intransigente nel pretendere (dagli altri) il controllo dei conti pubblici, sta pagando il prezzo della sua rigidità monetarista, avendo subito a marzo un calo della produzione industriale dell’1,5% rispetto allo stesso mese del 2012. Anche il lieve progresso del loro Pil (+0,1%) nel primo trimestre del 2013 è un dato sotto le attese. D’altra parte, il 70% dell’export tedesco è in Europa. E se i paesi dell’Eurozona sono strozzati dalle politiche di rigore, la Germania, le proprie merci, a chi le vende? Intanto arriva la conferma che a pagare il prezzo della recessione e di politiche sbagliate sono i cittadini più poveri. Secondo il rapporto Ocse, presentato oggi a Parigi, dal 2007 al 2010 le ineguaglianze di reddito sono cresciute più che nei 12 anni precedenti, tanto da determinare il progressivo impoverimento della classe media. Nei 34 paesi più industrializzati riuniti nell’Ocse, il 10% della popolazione più ricca ha un reddito 9,5 volte più alto di quello del 10% della popolazione più povera, contro le 9 volte del 2007. Se poi andiamo a vedere paese per paese scopriamo che in Italia il gap tra ricchi e poveri nel 2010 era di 10,2 volte contro le 8,7 del 2007. In particolare, il coefficiente che misura le disuguaglianze è passato da 0,488 a 0,503, uno dei livelli più elevati dell’Ocse (il sesto). Se il reddito disponibile in Italia è calato in media dell’1%, per le classi più povere il calo è stato del 6,2% all’anno. Questi dati, secondo il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria, mostrano la necessità «di proteggere la parte più vulnerabile della popolazione, specie se i governi perseguono la necessità di tenere sotto controllo la spesa pubblica». «Occorre definire - prosegue Gurria - politiche per aumentare la crescita e l’occupazione, al fine di assicurare più equità, efficienza e inclusione. All’interno di queste politiche è essenziale una riforma dei sistemi fiscali per assicurare che tutti paghino una quota equa e ricevano e beneficino degli aiuti di cui hanno bisogno».  Roberto Farneti