Bullismo: quando la violenza diventa routine
 











“Chi è nell’errore, scrisse Johann Wolfgang von Goethe, compensa con la violenza ciò che gli manca in verità e forza”.
Per sua fortuna, il geniale drammaturgo e poeta tedesco di Francoforte sul Meno, ha lasciato questa terra quasi due secoli fa, altrimenti sarebbe stato costretto ad aggiungere al suo profondo pensiero anche le parole abisso e degrado.
La violenza, purtroppo, è diventata ordinaria, quotidiana e da patologica, ci si consenta l’azzardo, pare quasi essere diventata fisiologica ed insita nel regolare dipanarsi di tante esistenze quotidiane.
Si è violenti per indole, per caso fortuito, per le circostanze o addirittura per mero sfizio.
È come se per gli zombie che affollano le moderne necropoli spacciate per città, fosse quasi un anelito di vita se non addirittura un contatto, seppur traumatico, con il resto della comunità.
Un modo animalesco di testimoniare la propria presenza nel mondo, di affermare il proprio essere,
contornandolo di lividi e sangue.
Le cronache quotidiane brulicano di episodi inquietanti a tutte le latitudini, geografiche e sociali.
Le sociologie spicciole da talk show e le solite, consunte chiavi di lettura incardinate sulle difficoltà familiari o economiche degli aguzzini di turno, servono ad inquadrare ormai solo una quantità risibile di casi.
Basta scorrere appena poche storie per rendersi conto che la “maggioranza picchiatrice”, ha soldi nel portafogli, cellulari costosi in tasca e una bella casa in cui andare a godersi, magari dopo aver allegramente gozzovigliato, le proprie malefatte.
Primatisti in questa macabra classifica della regressione, sono giovani e giovanissimi. Un dato, quest’ultimo, che dovrebbe far riflettere seriamente sul ruolo di famiglia e scuola e sulla loro effettiva valenza nel processo formativo ed educativo.
Sarebbe errato scadere nel semplicismo e nel catastrofismo ma peggio ancora è ascoltare il solito “Sembrava un bravo ragazzo”, “Non
ha mai dato segni di intemperanze” o il classico ed immancabile “È stato sempre disponibile con tutti e ben voluto dai suoi amici e conoscenti”.
La scuola che dovrebbe essere una palestra di apprendimento e di formazione per la vita e per il lavoro, nasconde sempre più spesso, nel suo tessuto connettivo di relazioni tra coetanei, una cultura di violenza poco presa in considerazione dagli adulti.
Le sfide più grandi che i ragazzi e le ragazze sono chiamati ad affrontare, più che le interrogazioni o gli esami, sono i processi di inserimento nel gruppo dei coetanei e l’intreccio di relazioni con gli adulti-insegnanti.
Ogni scuola è un microcosmo connotato da una sua peculiare sub-cultura di convivenza.
Il bisogno di “sentirsi parte”, di essere accolti e valorizzati, spesso viene pagato a caro prezzo da chi, per la prima volta, tenta di varcarne la soglia.
Il gruppo dominante, come accade anche in altri ambiti, impone le sue leggi e i suoi oboli da pagare per accordare il
“diritto di cittadinanza”.
Chi non è disposto ad accettarne richieste, “regole” e prassi, diventa bersaglio di persecuzione sistematica e di violenza, psicologica e fisica.
Il laboratori sull’anti-socialità e le campagne degli uffici scolastici regionali, evidenziano quotidianamente la diffusione del bullismo in tutte le scuole di ogni ordine e grado e l’emersione, negli ultimi anni, anche di nuove forme, come il cyberbullying.
Da un interessante studio sul bullismo presentato qualche tempo fa da Dario Bacchini, professore di psicologia dello sviluppo della Sun di Napoli, sono emersi dati molto preoccupanti.
Dei 4.760 bambini e ragazzi delle scuole regionali delle classi IV elementare, II media, II superiore e V superiore ascoltati, il 19 per cento dei maschi dice di essere stato almeno una o due volte vittima di atti violenti, così come il 23 per cento delle ragazze.
Le modalità sono diverse: nella sfera maschile il bullismo si manifesta con la violenza fisica (calci e
pugni), mentre in quella femminile si punisce chi non si “allinea” con l’esclusione dal gruppo.
Il 30%, infine, dichiara di essere già stato coinvolto in atti di cyberbullismo.
L’atto di bullismo è un sistematico abuso di potere, spesso coperto dal telone dell’omertà e della minimizzazione.
I bulli, infatti, come ha spiegato Bacchini, hanno fiancheggiatori, vogliono sottomettere le vittime e quasi sempre ci sono delle modalità di intervento specifiche per maschi e femmine.
Le segnalazioni sono tantissime ma ve ne sono alcune che meritano maggiore attenzione, non fosse altro che per il coinvolgimento di “attori” protagonisti e non i quali, per logica e copione, dovrebbero rivestire, invece, ben altri ruoli.
Uno dei casi più inquietanti in assoluto, è quello verificatosi qualche mese fa nel popoloso comune casertano di Aversa, segnalatoci da una nostra lettrice, mamma di un ragazzino pestato a sangue da un maxi “branco” (circa quindici persone) per non aver corrisposto gli
amorosi sensi di una sua compagna di classe.
“E’ tanto lo sconcerto che provo di fronte all’episodio di violenza adolescenziale di cui è stato vittima mio figlio, un ragazzino di sedici anni aggredito e barbaramente picchiato da circa quindici ragazzi”, scrive Anna, insegnante esperta e stimata.
“Sono stata fortunata - si legge ancora nella sua dolorosa missiva - a poter riabbracciare ancora mio figlio Luca, nonostante abbia riportato una seria compromissione visiva ad un occhio per un pugno killer. Lui è vivo ma la nostra rimane comunque una tragedia. Io e mio marito ci sentiamo soli tra visite oculistiche continue per appigliarci ad una speranza che non c’è più e consulenze psicologiche e legali”.
“Mio figlio - si sfoga la mamma aversana - vuole delle risposte, non riesce ad accettare di aver subito tanta violenza gratuita. Gli aggressori continuano ad insultarlo come se il male che gli hanno fatto non bastasse.
Io gli dico che la giustizia farà il suo corso ma dentro ho
seri dubbi in proposito. Nessuna punizione potrà mai ricucire la ferita fisica e psicologica di Luca ma la cosa che più mi lascia attonita, tuttavia, è che il gruppo di bulli è difeso non solo dalle famiglie che, a quanto pare, non sono in grado di coltivare ed inculcargli il senso di responsabilità ma anche da legali che, per mestiere, stanno abilmente istruendo i ragazzi, orientandone le affermazioni”.
Vi è un aspetto in questa triste vicenda che più degli altri dovrebbe sollecitare l’intervento degli Osservatori e delle istituzioni che studiano e monitorano tale deprecabile fenomeno, sottolineato in questo lacerante passaggio: “Fa male anche il comportamento della Scuola (il noto Liceo Scientifico Statale Enrico Fermi di Aversa) che pur sapendo (in quanto sono state presentate le denunce), ha lasciato andar via la vittima, mentre gli aggressori continuano a frequentare il loro istituto, i loro compagni di classe e non e i loro docenti e a ridere e scherzare e, a quanto pare, a
vantarsi di quanto fatto”.
Da insegnante e da mamma, Anna pone una riflessione ed un interrogativo che non possono lasciare indifferenti: “Se non siamo in grado di portare i nostri ragazzi ad una presa di coscienza e responsabilità di quanto fanno e siamo sempre pronti a giustificare Caino e ad abbandonare Abele, allora non spaventiamoci di fronte a tali episodi perché abbiamo fallito tutti (genitori, insegnanti, compagni di scuola, istituzioni e autorità) nel nostro compito educativo e, cosa ancor più grave, essendo anche complici omertosi”.
Infine un accorato appello ai genitori degli aggressori di Luca: “Se tutto ciò fosse accaduto ai vostri figli, non avreste forse invocato verità e giustizia? Vorrei tanto pensare di aver agito nel modo giusto, cercando di non deludere mio figlio. Non me lo perdonerei mai”. Ernesto Ferrante