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Letta spera che Bruxelles riconosca gli sforzi italiani |
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Enrico Letta spera di presentarsi al Consiglio Europeo di oggi a Bruxelles, incassando la chiusura della procedura di infrazione. Il disavanzo è sceso sotto il 3% rispetto al Prodotto interno lordo. E pazienza se il debito pubblico, grazie al suo predecessore Mario Monti è salito di sette punti fino al 127% e a fine anno arriverà al 130%. Il disavanzo è la pietra angolare per stabilire che un Paese ha messo sotto controllo la dinamica dei conti pubblici. E l’Italia, come altri Paesi, si è impegnata a raggiungere in un paio d’anni il pareggio. Finora purtroppo, la politica economica dei governi italiani è stata improntata all’insegna della austerità che ha peggiorato la situazione di recessione nella quale tutti ci troviamo immersi. Imprese che chiudono a migliaia a causa anche della stretta creditizia. Una disoccupazione di massa, e una povertà crescente che riguarda milioni e milioni di cittadini che possono contare su retribuzioni e pensioni da fame che impediscono di condurre una vita appena dignitosa. E in tutto questo disastro, emerge la situazione florida delle banche che sono gonfie di liquidità, i 260 miliardi ricevuti in prestito dalla Bce, che continuano testardamente a non fare credito alle imprese e alle famiglie. E quei soldi versati da Draghi proprio a questo sarebbero dovuti servire. A fare ripartire gli investimenti e i consumi privati operando sul rilancio della domanda interna. E l’Italia risente pesantemente di questa dicotomia tra impegni presi e la loro mancata realizzazione. Siamo l’unica delle quattro grandi economie dell’Unione europea che non riesce a crescere, anzi ad andare indietro. E la Germania continua ad imputarci di stare mettendo in pericolo la stessa sopravvivenza del sistema della moneta unica. Una nostra bancarotta, vista l’entità dell’economia nazionale, avrebbe conseguenze incalcolabili per la stessa tenuta dell’Unione europea. E il governo in carica si trova già a dover fare i conti con le sue varie anime. Da quella dei berluscones che vorrebbero cancellare totalmente l’Imu, dopo averla approvata ai tempi di Monti, a quella di sinistra del PD per la quale invece la priorità è la disoccupazione ed il reperimento di soldi per finanziare la cassa integrazione. La lotta, in altre parole, sembra risolversi tra chi vuole tutelare il ceto medio proprietario di una casa e che tendenzialmente tiene il cuore a destra. E chi al contrario vorrebbe aiutare disoccupati, pensionati e lavoratori dipendenti, che presumibilmente sono più orientati a sinistra. In realtà poi queste distinzioni e queste identificazioni non esistono più, allo stesso modo che non esistono più le categorie politiche di destra e di sinistra. Letta è cosciente di questi problemi e sa bene che anche la sua sopravvivenza politica si lega al come riuscirà a risolvere questa divaricazione interna ad una coalizione i cui partiti sono fatti per non intendersi. Ma al tempo stesso Letta si rende conto, e lo ha più volte ripetuto, che non ci si può appiattire sulla linea dell’austerità proposta e imposta dalla Germania e dalla Bce. Il rigore dei conti potrà risanare il bilancio, la differenza tra uscite ed entrate, pur non potendo incidere sul debito che continua a esplodere, ma sta comportando, specie in Italia, un peggioramento dell’economia reale. Da qui la considerazione, espressa ieri in Senato, che l’Unione europea non deve rappresentare una gabbia ma al contrario un aiuto per la crescita di tutti. L’Europa, ha sostenuto, rappresenta la bussola dell’azione di questo governo che è convinto che la risoluzione dei problemi sia possibile in modo più efficace con soluzione europee. Questo potrà aversi solo a condizione che l’Europa ampli le politiche nazionali e non si riduca in una gabbia di vincoli e procedure che finiscono per limitare l’azione di cittadini, famiglie, imprese. In ogni caso, ha ammesso, la chiusura della procedura per disavanzo eccessivo da parte della Commissione europea sarebbe un segnale importantissimo. Anzi, ha insistito, sarebbe una premessa irrinunciabile che segnerebbe una nuova traccia per l’Italia e per l’Europa. Si potrebbe infatti ricercare nel quadro di finanza pubblica europea, e non al di fuori o contro di essa, spazi per una politica dedicata fino in fondo alla crescita e per nuovi posti di lavoro. Al contrario, se ciò non accadesse, verrebbero lanciati dubbi sulla azione di risanamento, l’Italia tornerebbe sul banco degli accusati e sarebbero vanificati i grandissimi sacrifici dei cittadini. E poi la chiusura della procedura consentirebbe al nostro Paese di beneficiare di tassi più bassi, a causa anche del ribasso dello spread, e quindi di più risorse per aiutare la ripresa. Letta resta comunque un europeista e un federalista. Ci vuole un’Europa centralista. Non si può proseguire come nel passato e come è stato fatto finora, con la politica dei piccoli passi. O si accelera verso gli Stati Uniti d’Europa, ha avvertito, oppure l’Europa imploderà e a farla implodere saranno i cittadini con il voto nelle elezioni per il Parlamento europeo. Si potrebbe replicare che l’Europa sta implodendo proprio perché si sono volute mettere insieme realtà troppo diverse le une dalle altre ed imporgli lo stesso tipo di politiche economiche. Letta si è detto preoccupato. Se da qui alle prossime elezioni per il Parlamento europeo (8 giugno 2014) non succede nulla, ha avvertito, le tendenze antieuropeiste avranno numeri e forza tali che renderanno molto più difficile proseguire nel percorso europeo. Ma Letta forse si dovrebbe domandare se il montante euro-scetticismo o meglio la euro-ostilità della maggioranza dei cittadini non dipendano dalla presa d’atto che i benefici portati dall’Unione sono stati inferiori ai danni che ne sono derivati e che sono sotto gli occhi di tutti. Andrea Angelini |
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