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Il Faro libanese per l’informazione nel mondo |
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Un faro. Perché è notte sull’informazione globale e globalizzata. Al Manar significa appunto Faro, è la televisione di Hizbollah. Il canale tv della resistenza sciita libanese. Trasmette dai primi anni ’90 e oggi ha un sito internet che risulta essere il più seguito in Libano, fruibile in quattro lingue (arabo, inglese, francese e spagnolo). Di questi tempi, che sono tempi di guerra, è seguito nel mondo arabo al pari di Al Jazeera e Al Arabiya ed è tra il quinto e il decimo posto nella classifica di gradimento dei canali arabi. È una televisione che non parla solo di politica ma si dedica anche allo sport, alla cultura e all’intrattenimento. Dopo anni di esperienza oggi Al Manar si mette anche a disposizione di chi vuole imparare e organizza corsi di formazione sui media. In tutto il mondo conta 15 inviati, ha 400 dipendenti interni e due sedi. Nel 2006, durante la guerra dei 33 giorni, ci racconta il direttore di Al Manar Abdullah Kassir, la sede della tv venne bombardata da Israele, che contravvenne alle convenzioni internazionali secondo le quali non si può considerare un obiettivo legittimo un organo di stampa. Il mondo non si preoccupò di questa violazione, dopotutto Hizbollah veniva definito un gruppo terroristico e la sua televisione era quindi un “canale terrorista”. Oggi Al Manar è oscurato in molti Paesi, a causa delle pressioni di Washington e Tel Aviv, ci dice Kassir. “Il diritto dell’informazione in Occidente finisce dove iniziano gli interessi di Israele” afferma il direttore. In questo momento il ruolo di Al Manar è molto importante, perché racconta senza filtri e da una posizione non allineata a quella occidentale il conflitto in Siria, e lo fa mostrando quel che l’Occidente non vuole vedere. “Non bisogna essere di parte, il nostro valore aggiunto è la credibilità” afferma il direttore. Questo non toglie che Al Manar sia schierata molto nettamente in un panorama che oramai vede il mondo dividersi in due fronti: quello a guida Usa e quello del Paesi contrari alle politiche occidentali nel Vicino Oriente. “Che nessuno ci prenda in giro: CNN, BBC, la vostra Rai sono di parte, seguono un programma politico ben preciso”. Dal canto suo la tv del Partito di Dio usa nello schierarsi il criterio di appoggiare la causa palestinese. “Gli Usa vogliono derubare le ricchezze del vicino oriente e noi lottiamo contro tutto questo”, afferma ancora Kassir. Ma per tutto questo c’è un prezzo da pagare, il prezzo che chi fa informazione controcorrente conosce bene: oscuramento e isolamento. E nel 2006, come detto prima, addirittura le bombe per mettere a tacere una voce scomoda. “Il prezzo che abbiamo pagato è dovuto alla nostra posizione chiara. Noi siamo fieri del fatto che nonostante le pressioni e le bombe del 2006 non abbiamo mai smesso di fare il nostro lavoro. E sia chiaro, non smetteremo mai!”. Nei progetti di Al Manar infatti c’è una maggiore presenza in tutto il mondo, specie grazie a internet. Si pensa di creare una web tv per trasmettere in diverse lingue e a breve la tv (ci sono trattative in corso) dovrebbe andare su Eutelsat. C’è la volontà di riuscire ad arrivare in tutta Europa, ma nonostante Al Manar faccia parte del gruppo delle tv arabe e molti suoi programmi abbiano ricevuto anche riconoscimenti e premi internazionali, non c’è stata ancora nessuna risposta alla domanda presentata. Un dato attribuito da Kassir all’influenza di Usa e Israele. Parliamo di una tv nella quale il 40% dei corrispondenti sono donne, la cui percentuale arriva al 90% nella conduzione dei programmi che trattano di politica. Un dato che dà da pensare riguardo a certi stereotipi tutti occidentali. Sono giornalisti-militanti quelli Al Manar. La scelta dei corrispondenti, ci dice Kassir, non avviene alla leggera: “Qui non entrano i ‘figli di amici’ (e il pensiero corre alla quantità di cognomi illustri che riempiono le redazioni dei giornali e delle tv blasonate in Italia, ndr) il reclutamento è molto trasparente: bisogna avere la laurea in giornalismo o una esperienza documentata. Ma soprattutto, la caratteristica fondamentale è credere nella causa, almeno alle linee generali”. E la causa è quella della Resistenza libanese, del diritto a vivere liberi dalle ingerenze straniere, in particolare quelle israeliane. “I nostri non sono solo dei corrispondenti, per loro questo lavoro è una missione”. Nel 2006, ci racconta, uno dei corrispondenti si trovava nel sud e durante una ritirata rifiutò di andar via nonostante tutti i colleghi delle altre tv fossero scappati e nonostante la stessa Al Manar lo avesse invitato a rientrare a Beirut. Volle continuare a documentare la guerra e proseguì al fianco delle milizie, correndo gli stessi rischi dei combattenti. È la motivazione il valore aggiunto dei giornalisti di Al Manar, ci dice il direttore. Ne sappiamo qualcosa… Alessai Lai (da BEIRUT)
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