Bruxelles promuove l’Italia di Monti e Letta
 











La Commissione europea ha chiuso la procedura di infrazione aperta da Bruxelles contro l’Italia per essere rimasta nel 2012 sopra il tetto del 3% nel rapporto tra disavanzo pubblico e Prodotto interno lordo. Lo ha comunicato il commissario europeo all’Industria, Antonio Tajani, offrendo un’ulteriore occasione di bonaccia finanziaria per i nostri titoli di Stato.
La decisione era comunque attesa tanto che in apertura dei mercati il differenziale di rendimento tra i nostri Btp decennali e i Bund tedeschi aveva segnato 260 punti, un livello abbastanza tranquillizzante che lascia presagire l’assenza di speculazioni al ribasso che verrebbero peraltro vanificate dall’intervento del fondo permanente europeo salva Stati. La chiusura della procedura avviata contro l’Italia dovrebbe riflettere la capacità del governo italiano, prima Monti e poi Letta, di tenere sotto controllo la dinamica della spesa pubblica. Tanto che le previsioni dell’Ocse parlando di
un disavanzo che questo anno resterà in una fascia tra il 2,9% e il 3% e che nel 2014 scenderà al 2,3.
Un miglioramento che non deve rallegrare più di tanto perché l’altra faccia della medaglia è rappresentata dall’acuirsi della recessione e da una povertà che interessa sempre più larghe schiere di cittadini, oberati come sono da nuove tasse (Imu) e dall’aumento di quelle esistenti come l’Iva. Senza poi parlare del fatto che il debito pubblico a fine anno, stima l’Ocse, toccherà il 130% e l’anno prossimo il 134,3%, aumentando in tal modo gli impegni finanziari del Tesoro sul lungo termine e incidendo sullo spread tra Btp e Bund. Quello che i “mercati” finanziari considerano il più valido indicatore della considerazione goduta presso gli investitori (e gli speculatori).
La Commissione che ha raccomandato l’abrogazione della procedura per deficit eccessivo per l’Italia e per altri quattro Paesi: Lettonia, Ungheria, Lituania e Romania, ha pure concesso più tempo a Francia, Spagna,
Polonia e Slovenia (due anni) e Olanda e Portogallo (un anno) per intervenire sul disavanzo che è ben oltre il 3%. Enrico Letta, ovviamente soddisfatto, ha attribuito il merito di questa svolta allo sforzo di tutti gli italiani, che devono sentirsi “orgogliosi di questo risultato”. Certo, è tutta una questione di punti di vista, ma poi Letta ha insistito nel suo ragionamento, sostenendo che il suo esecutivo raccoglie il frutto del lavoro dei precedenti governi, in particolare di quello presieduto da Mario Monti, al quale ha indirizzato il suo personale ringraziamento (!). L’attuale esecutivo vuole mantenersi infatti su tale linea e il suo impegno è quello di rispettare gli obblighi assunti in sede europea e di applicare il programma sul quale il Parlamento ha votato la fiducia.
Bruxelles, da parte sua, ha ricordato che per l’Italia la procedura venne aperta nel 2009, quando il disavanzo toccò il picco al 5,5% sul Pil. Ma poi, da allora, hanno riconosciuto i tecnocrati comunitari, il
disavanzo è stato costantemente abbassato ed ora si trova al 3%. La Commissione ha apprezzato il programma di stabilità per il periodo 2013-17, che il governo italiano ha adottato il 10 aprile e che le Camere hanno approvato. Esso comporta un ulteriore impegno per un calo del disavanzo al 2,9% entro dicembre e al 1,8% l’anno prossimo. Risultati che sono persino migliori delle stime della stessa Commissione che parlano rispettivamente di un 2,9% e di un 2,5%. Sul gongolante il commento del presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso (foto), che oltre ad interventi sulla spesa pubblica, ha auspicato “riforme strutturali” per aumentare la competitività.
Vale a dire, il lavoro sempre più precario e più flessibile per aiutare le imprese. Barroso ha ammonito l’Italia sui pericoli rappresentati dal livello di un debito pubblico che, secondo le stime di Bruxelles, migliori di quelle di Parigi, nel 2014 toccherà il 132,2%. Quindi, ha insistito, con toni professorali, c’è ancora
tanto da fare. In tutto questo balletto di cifre e di previsioni che spesso e volentieri danno l’idea di essere il più classico gioco dei bussolotti, l’unica cosa vera e reale è la povertà degli italiani, effetto di una austerità che ha messo in ginocchio milioni di famiglie.
Una austerità che è stata bocciata senza appello persino da un organismo solitamente molto poco o per niente disposto ad avallare politiche economiche all’insegna della spesa facile. Se infatti anche la Corte dei Conti si è sentita in dovere di bocciare la politica dell’austerità, come anti-economica, perché nel periodo 2009-2013 ha comportato una mancata crescita nominale del Pil per 230 miliardi, questo significa che abbiamo veramente toccato il fondo. Ci vogliono misure per la crescita, ha insistito il presidente della Corte nella sua relazione.
Una realtà che era già ben chiara ai cittadini e sulla quale vi è stata negli ultimi mesi una salutare convergenza della politica, che fa bene sperare in una
svolta che chiuda definitivamente gli infausti 15 mesi del governo della Goldman Sachs.
Ocse. Futuro grigio per l’ItaliaLa recessione in Italia continuerà per tutto il 2013. Se il deficit resterà sotto il 3% nel 2013 e nel 2014, la crescita andrà invece male, e peggio ancora la disoccupazione, stimata all’11,9% nel 2013 per arrivare al 12,5% nel 2014. È quanto emerge dall’Economic outlook dell’Ocse presentato ieri mattina a Parigi. Per uscire dalla crisi, raccomanda l’Ocse, l’Italia deve “consolidare le riforme positive per la crescita” ed “evitare riduzioni premature delle tasse”. Riguardo il pil, anche qui non c’è da sorridere. A solo un mese dal suo ultimo rapporto sull’economia italiana, l’istituto ha stimato di nuovo ribasso la crescita del nostro Paese, passando da -1,5% a -1,8% per il 2013, e da +0,5% a +0,4% per il 2014. Aumenta il debito pubblico, dato ormai al 134,3% nel 2014. E per finire l’Ocse sottolinea anche la debolezza del sistema bancario italiano  che, mentre
fa i conti con il crescente peso delle sofferenze, non supporta investimenti e consumi. Andrea Angelini
Ocse. Futuro grigio per l’Italia
La recessione in Italia continuerà per tutto il 2013. Se il deficit resterà sotto il 3% nel 2013 e nel 2014, la crescita andrà invece male, e peggio ancora la disoccupazione, stimata all’11,9% nel 2013 per arrivare al 12,5% nel 2014. È quanto emerge dall’Economic outlook dell’Ocse presentato ieri mattina a Parigi. Per uscire dalla crisi, raccomanda l’Ocse, l’Italia deve “consolidare le riforme positive per la crescita” ed “evitare riduzioni premature delle tasse”. Riguardo il pil, anche qui non c’è da sorridere. A solo un mese dal suo ultimo rapporto sull’economia italiana, l’istituto ha stimato di nuovo ribasso la crescita del nostro Paese, passando da -1,5% a -1,8% per il 2013, e da +0,5% a +0,4% per il 2014. Aumenta il debito pubblico, dato ormai al 134,3% nel 2014. E per finire l’Ocse sottolinea anche la debolezza del sistema bancario
italiano  che, mentre fa i conti con il crescente peso delle sofferenze, non supporta investimenti e consumi.
Fisco 1. Squinzi: bizantinismi a danno degli imprenditori
Dice “sì” alla lotta all’evasione fiscale e all’economia sommersa, il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi (foto), secondo il quale, però, in Italia non c’e’ un fisco “amico” del contribuente. Nel dibattito con Raffaele Bonanni ieri pomeriggio ad Assisi al congresso Femca, Squinzi ha ribadito che “è interesse prima di tutto delle imprese che operano in modo trasparente che lo Stato colpisca chi invece lo fa in zone oscure, come i paradisi fiscali”. Ma secondo Squinzi, in Italia “c’è un sistema fiscale di un bizantinismo totale, sul quale andrebbe fatta chiarezza per evitare quelle prevaricazioni che hanno colpito tanti imprenditori”.
Fisco 2. Saccomanni: per meno tasse
meno spese e lotta all’evasione
“La riduzione delle imposte è possibile se viene accompagnata da una riduzione delle spese e
dalla lotta all’evasione fiscale”, ha affermato il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, parlando alla stampa a margine della ministeriale Ocse.
“C’è il problema di continuare nel processo di consolidamento fiscale - ha sottolineato il ministro dell’Economia - l’esigenza di portare avanti la riduzione delle imposte, soprattutto sul lavoro, sulle imprese e sui giovani, tagliando quelle spese che sono meno necessarie”.