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I “ribelli” divisi. Dentro e fuori la Siria |
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I piani occidentali per la Siria sono falliti. O almeno non si sono verificati nei tempi e nei modi che la nuova “coalizione dei volenterosi” che smaniava di mettere le mani su Damasco si aspettava. La destabilizzazione siriana non ha raggiunto i risultati rapidi ottenuti con il governo libico, liquidato in pochi mesi di “rivolte” etero dirette e col fondamentale apporto delle bombe Nato. Le ragioni sono molteplici: la posizione della Siria nello scacchiere vicino-orientale, con la vicinanza del Libano e l’appoggio di Hizbollah, la fermezza di Russia e Cina, la frammentazione del fonte dell’opposizione estera, molto lontana da quella interna e attraversata da tensioni attribuibili ai progetti di ognuno sulla divisione della futura torta e sulla spartizione degli attuali finanziamenti occidentali. La riunione di Istanbul della Coalizione di Doha, espressione delle opposizioni estere ad Assad, avrebbe dovuto durare solo da giovedì a sabato e, fra l’altro, eleggere un nuovo presidente, ratificare la nomina di un “governo” provvisorio, definire una posizione comune in vista del vertice Ginevra II sponsorizzato da Usa e Russia e allargare il fronte ad altre forze d’opposizione. Non ha fatto niente di tutto questo, e proprio l’ultimo punto in particolare sta delineando una divisione che si era già intuita da qualche tempo, con una linea dominante, espressa dai Fratelli Musulmani e dal Qatar, e quella che invece fa riferimento agli Usa e all’Arabia Saudita, che vorrebbe vedere maggiormente rappresentata nella Coalizione la componente non islamica e “liberale” dell’opposizione, come il movimento del moderato Michel Kilo. Ma gli uomini della Fratellanza (col segretario generale della Coalizione Mustafa al Sabbagh), appoggiati dalla Turchia di Erdogan e dal Qatar, che tanti soldi ha profuso e impegna nel finanziamento delle bande ribelli, non intendono perdere potere all’interno del gruppo. Così le riunioni si prolungano ogni giorno alle prime ore dell’alba, come ieri, quando l’esito dell’ennesima discussione è stato il respingimento della proposta di portare da 62 a circa 90 i membri della direzione (è stato concesso un allargamento a soli 70 membri), per fare posto agli uomini più “presentabili”, quelli in quota Usa/Arabia Saudita, al prossimo summit di Ginevra. Beghe tutte politiche che danno l’idea degli interessi che stanno dietro alla formazione della Coalizione: chi avrà più potere all’interno di essa potrà avanzare maggiori diritti nella futura (almeno nei loro progetti) spartizione della Siria post-Assad. Questo mentre altri combattono sul terreno e non gradiscono che vengano fatti i conti senza di loro: alcuni dei principali gruppi di ribelli, riuniti sotto la sigla di Movimento rivoluzionario, hanno infatti duramente attaccato la Coalizione di Doha accusandola di “fallimento”. I firmatari della nota condannano il tentativo di allargare la Coalizione definendolo come un modo per “aggiungere persone e gruppi che non hanno un impatto reale sulla rivoluzione” e chiedono che “non meno del 50% dei seggi della Coalizione e del suo ufficio politico” siano riservati agli uomini della “rivoluzione”, che dovranno partecipare attivamente ai “processi decisionali”. Le liti dello schieramento anti-Assad, insomma, escono dalle sale dell’hotel di Istanbul per estendersi ai gruppi sul terreno. E si allargano anche al Paese ospite della Coalizione, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. La questione siriana sta infatti causando un durissimo scontro tra il premier e leader dell’Akp, partito vicino alla Fratellanza musulmana e primo sostenitore della ribellione anti-Assad, e il leader dell’opposizione, il socialdemocratico del Chp Kemal Kiliçdaroglu. Erdogan ha in pratica accusato il partito di Kiliçdaroglu, di essere coinvolto nell’attentato di Reyhanli, la città al confine con la Siria colpita da due autobombe che l’11 maggio hanno fatto 52 morti. Ma l’organizzazione di hacker turca RedHack ha pubblicato documenti confidenziali dell’intelligence che accusano il Fronte an Nusra, affiliato ad Al Qaida in Siria, i “ribelli” salafiti. Kiliçdaroglu ha quindi replicato accusando Erdogan di essere un “leader terrorista”, di addestrare terroristi jihadisti al confine con la Siria per poi mandarli a combattere contro Assad e ne ha chiesto le dimissioni. Dalla sua Kiliçdaroglu ha il 70,8% della popolazione turca, che non approva la politica anti-siriana di Erdogan, ma il premier ha già in precedenza dato prova di non avere remore a mettere a tacere gli oppositori ricorrendo a una magistratura compiacente. Intanto ieri la Russia ha ribadito la sua delusione per la revoca dell’embargo Ue alla fornitura di armi ai “ribelli” siriani e lanciato un sibillino avvertimento tramite il ministro della Difesa Serghei Shoigu, che in visita a Helsinki ha affermato che “Ogni decisione ha due facce e se una parte rimuove restrizioni, allora l’altra già può ritenersi non obbligata ad adempiere ad impegni presi in precedenza”. Mosca, insomma, in risposta alla decisione Ue, potrebbe ampliare la gamma delle forniture militari a Damasco, e se “prima si parlava solo dei sistema anti-missile S-300. La decisione ora potrebbe essere la più inattesa e arrivare fino alla consegna di missili Iskander” ha commentato a Interfax l’analista e ex generale Leonid Sazhin. Alessia Lai
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