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Martino va in prima linea
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di Alberto DArgenzio
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Gioca alla guerra Antonio Martino, parla da ministro in pectore di un governo Berlusconi-ter e così facendo disegna scenari e immagina spiegamenti di forze, toglie soldati alle missioni di pace e ne mette in quelle di guerra: «Se fossi ministro della Difesa ridurrei drasticamente o cancellerei del tutto la nostra presenza in Libano, e invierei truppe in Afghanistan e in Iraq, dove sono necessarie», dice in un’intervista all’agenzia Reuters. Di più , per Martino gli «uomini in Libano sono perfettamente inutili e oltretutto a rischio, perché se le ostilità dovessero riesplodere si ritroverebbero tra due fuochi». Ergo, afferma l’ex ministro delle difesa, «faremmo meglio a impiegarli dove serve», cioè in Afghanistan. «Se la Nato ce lo chiederà, e lo farà, noi dovremmo inviare più truppe, con meno restrizioni (i caveat, ndr), un migliore equipaggiamento e con la disponibilità ad impiegarle anche in altre aree rispetto a Kabul ed Herat». L’Italia, secondo Martino, dovrebbe acconsentire ad utilizzare i soldati «anche in azioni di combattimento contro i talebani». Dulcis in fundo, il ritorno di fiamma per l’Iraq. «Smettiamola con questa idea dell’Italia con le mani legate dietro la schiena. La alleanze non sono a senso unico e per governare serve anche la spina dorsale». E’ un’inversione di rotta rispetto alla politica estera italiana che spacca il centrodestra e provoca una mezza crisi diplomatica con il paese dei cedri fino a richiedere in serata una precisazione diretta da Silvio Berlusconi. Nel pomeriggio Massimo D’Alema e Romano Prodi sono a Bruxelles per il vertice di primavera della Ue. La reazione più dura è del ministro degli esteri: «Dal centrodestra vengono affermazioni sconcertanti, dettate dall’odio politico e fuori dal tempo. E’ ridicolo che Martino voglia tornare in Iraq quando anche gli Usa se ne vogliono andare». Dalla Farnesina, intanto, ricordano che anche l’opposizione votò la missione in Libano e giudicano uscite come questa pericolose per la posizione italiana in Medio Oriente e per le truppe sul terreno. Il presidente del parlamento libanese, Nabih Berri, ha immediatamente convocato l’ambasciatore italiano a Beirut per avere spiegazioni. «Se questo è il modo in cui una classe dirigente che vuole governare l’Italia intende trattare la politica estera è estremamente preoccupante», conclude D’Alema. Altrettanto furioso Romano Prodi: «Sono affermazioni gravissime, incomprensibili e drammatiche. Tutti - continua il premier uscente - sanno le ragioni per cui siamo voluti uscire dall’Iraq, tanto più che anche l’assoluta maggioranza del popolo americano non condivide questa guerra». Il primo a rispondere alle reazioni preoccupate di D’Alema e Prodi è l’ex ministro degli Esteri Gianfranco Fini. «Andarsene dal Libano sarebbe sbagliato», afferma il leader di An, che però riconosce l’esistenza di un problema legato al ruolo e al mandato dei soldati italiani nel paese. E a chi gli chiede di un ritorno in Iraq, Fini replica: «Non ci viene chiesto nemmeno dai nostri alleati e non sarebbe utile. C’è invece il problema delle regole d’ingaggio delle nostre truppe nell’ambito della missione afgana: è tutt’altra questione rispetto all’ipotesi di impegnare nuovamente militari italiani in Iraq, un paese che continua ad essere difficile nonostante qualche segnale concreto e positivo». Al di là dei desideri di Martino, l’Iraq pare fuori discussione anche per il Pdl. In serata infatti lo stesso Berlusconi si è precipitato a correggere almeno in parte il tiro del suo ex ministro: «Noi abbiamo votato a favore della missione in Libano per fare interposizione tra le forze in campo - ricorda il Cavaliere - ma abbiamo sempre detto da allora di non essere d’accordo con le regole di ingaggio. Se dovessimo andare al governo cambieremo queste regole». Berlusconi ha anche precisato che al momento quella di Martino è una «posizione personale», mentre in caso di vittoria del Pdl in Iraq non saranno inviate nuove truppe ma solo «istruttori militari». La questione afgana invece non è affatto da sottovalutare: da mesi la Nato chiede all’Italia e alla Spagna un coinvolgimento maggiore, soprattutto in zone di combattimento. Il governo Prodi non ha mai voluto cedere alle richieste insistenti del segretario generale Jaap de Hoop Scheffer ma anche di Usa, Olanda e Canada. Il cambio a Palazzo Chigi potrebbe quindi riportare i soldati italiani in prima linea in un fronte che oltretutto si fa ogni giorno più incandescente. Le sparate di Martino sono servite a D’Alema anche per precisare un punto a lui caro - e che lo divide dal Pdl - ovvero l’opportunità di dialogare con Hamas. Per il ministro è un’opportunità, tanto che definisce «sconsiderato» il dibattito che la sua proposta ha generato in Italia, con reazioni bollate come «sconnesse, strumentali e tali da danneggiare l’immagine del paese». La politica estera ha fatto il suo ingresso in campagna elettorale.de Il Manifesto |
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