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Quando le luci si spengono e scorrono i titoli di coda, resti lì muto, tra sensazioni contrastanti. Il film è brillante, lussuoso, anche genere divertente-leggero; ma poi ti accorgi che quello che di più profondo ti lascia è un senso molto vicino all’angoscia, allo sconforto. Perché quello che hai visto è vero, quello che hai visto è intorno a te. Sullo sfondo ineguagliabile della Grande Bellezza. Roma. La Roma struggente dove il nuovo film di Paolo Sorrentino, "La grande bellezza", è ambientato: la città che è una capitale nazionale, il luogo della Bellezza per eccellenza, ma insieme anche il contenitore dei molti orrori che ci stanno intorno, la povertà morale, la vacua pochezza, la stolida grossolanità, il kitsch, la superficialità, l’ipocrisia, e il bla bla bla, l’onnipresente bla bla bla. Più "Satyricon" che "Dolce vita", il film si svolge fluvialmente, a strati, evolvendo dal realismo alla metafora, alla citazione filosofica. E anche alla citazione cafonal (Dagospia è debitamente ringraziato in coda): cafonal, la nostra era antropologica. Quella che rimanda, dentro il pauroso specchio sorrentiniano, gli ultimi lampi del suo declino. Chiamatele feste, se volete. Protagonista del film è certo la Grande Bellezza, cioè Roma; ma protagonista è soprattutto l’altra Bellezza, quella della vita come emozione. Quella vita che da anni Jep Gambardella – voce e volto del film, un Toni Servillo semplicemente grandissimo - cerca di inseguire, ma invano. Autore remoto di un solo romanzo, giornalista di successo e re della vita notturna e mondana, è lui, l’impietoso Jep, il filo conduttore, complice e insieme disgustato testimone, che scorre e indugia tra una rinomata varia umanità, fatta in gran parte di falliti, mezze calzette, clientes, maneggioni, vuoti a perdere. Più che altro, una vera fauna umana, uno scenario che è anche un circo - il noto salotto buono, la vacuità festaiola, la pochezza della politica (e pure della Chiesa), la stolidità dell’apparire a tutti i costi, la corruzione sotto forma di successo, la miseria del sopravvivere - entro cui, con molti toni grotteschi, si consuma il vuoto, la dispersione, la decadenza del presente tempo nostro. A quanto pare senza scampo. Il film non lascia indicazioni di exit. Maria R. Calderoni |
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