Datagate, Apple da i numeri: 5.000 richieste dal governo in meno di sei mesi
 











Apple: quattro-cinquemila; Microsoft: sei-settemila; Facebook: diciannovemila. Sono i numeri delle richieste di accesso a dati di utenti inoltrate in meno di sei mesi ai tre colossi informatici dalla National Security Agency (Nsa) statunitense all’interno del programma di sorveglianza elettronica PRISM. I numeri del Datagate cominciano a venire fuori e sono decisamente piu consistenti di quelli che ci si aspettava. Soprattutto per un’attivita di vero e proprio spionaggio della popolazione all’insaputa, fino alle rivelazioni ai media dell’informatico Edward Snowden, dei cittadini e dello stesso Congresso degli Stati Uniti.
Una vicenda decisamente imbarazzante per il presidente Obama e inquietante per molti altri versi. Apple insiste nel negare di aver concesso accesso diretto ai propri database alla Nsa ed e stata l’ultima a dichiarare qualche numero, decisamente piu basso dei suoi concorrenti. I dati consegnati, dice Cupertino, riguardano
9-10.000 apparecchi (I-phone, tablet, computer.).
Cifre imprecise che rivelano il grosso imbarazzo per chi ha in mano i dati sensibili di centinaia di milioni di persone che potrebbero perdere fiducia nei loro confronti. Google e Twitter sono state di fati le prime ad allarmarsi a riguardo criticando le dichiarazioni di Apple Microsoft e Facebook. Secondo Mountain View non aver specificato che genere di richieste sono state inoltrate dalla Nsa avrebbero prestato il fianco a dannose speculazioni. Difficile comunque rimanere lucidi e convinti di fronte alle rassicurazioni di Apple. Cupertino insiste sul fatto di non conservare tutti i dati degli utenti, che le conversazioni tramite iMessage o FaceTime sono criptate e neanche Apple stessa vi ha accesso. I dati sull’uso delle mappe o di Siri non sono inoltre registrati e un ufficio legale della compagnia ha valutato di volta in volta le richieste e rifiutato quelle sorrette da motivazioni deboli. Bastera questo a scrollare di dosso
dall’opinione pubblica la sensazione di essere sempre sotto controllo?
Non e solo la Cia ad avere le orecchie grandi, come ha rivelato in questi giorni l’ex collaboratore dell’agenizia di Inttelligence statunitense Edward Snowden, ma in queste ore il Datagate si sta allargando anche agli uffici di Londra. Ad un giorno dall’inizio del G8 in Irlanda del Nord, questa mattina il quotidiano The Guardian ha infatti rivelato che il governo di Londra ordino di tenere sotto controllo computer e telefonate dei politici stranieri che presero parte al summit del G20 di aprile 2009 nella capitale britannica, e poi in quello dei ministri delle Finanze dei venti Paesi a settembre dello stesso anno Secondo prove citate dal sito del quotidiano, i controlli furono effettuati dal Gchq britannico, ovvero il Quartier generale governativo per le comunicazioni, agenzia governativa che si occupa della sicurezza in ambito di comunicazioni, sorella della Nsa americana. L’inchiesta entra nei particolari del
controllo, rivelando che furono messi sotto "ascolto" computer e cellulari, mentre gran parte dei partecipanti ai summit venivano invitati a lavorare in internet point comp0letamente monitorati. Tra gli spiati eccellenti di quegli incontri, anche l’allora presidente russo, Dmitri Medvedev. Non e la prima volta che si sente parlare di speciali controlli durante i summit mondiali, ma e invece il primo caso in cui giornalisti riescono a mettere le mani su prove e documenti certi. Il quotidiano britannico rivela che, in quell’occasione, fu attivata una task force di 45 analisti che, per l’intera durata dei summit, controllarono tutte le telefonate in entrata e in uscita di quasi tutti i partecipanti, con particolare attenzione al ministro dell’economia turco e al presidente russo Medvedev. I documenti rivelano inoltre che l’operazione fu approvata dai piu alti livelli governativi dell’allora primo ministro britannico, Gordon Brown.