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Letta? Contro il “parto prematuro”
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Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, “sollecitato” ad aprile scorso dall’Ue e dagli Usa, è stato costretto a rimanere in campo, richiamando le forze politiche italiane a una maggiore coesione e a uno sforzo comune per salvare la baracca. Falliti tutti i miseri giochi di voto della “colonia” per eleggere ora Marini ora Prodi, a qualcuno (la “madrepatria Usa”) i nervi sono saltati davvero. E’ stato imposto, dunque, il bis, da Napolitano commentato come “E’ un segno di rinnovata fiducia che raccolgo comprendendone il senso”. Ha aggiunto “So che in tutto ciò si è riflesso qualcosa che mi tocca ancora più profondamente: e cioè la fiducia e l’affetto che ho visto in questi anni crescere verso di me e verso l’istituzione che rappresentavo tra grandi masse di cittadini, di italiani, uomini e donne di ogni età e di ogni regione, a cominciare da quanti ho incontrato nelle strade, nelle piazze, nei più diversi ambiti sociali e culturali, per rivivere insieme il farsi della nostra unità nazionale”. In realtà, era l’ultima possibilità, molto “caldeggiata”, altro che fiducia e affetto! Poi ha ammonito i “ragazzacci” e ha dato l’ultimatum, come si fa a dei bambini capricciosi che non ascoltano i genitori. Ha, infatti, intimato “Ma ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al Paese […] Le forze rappresentate in parlamento, senza alcuna eccezione, debbono comunque dare ora, nella fase cruciale che l’Italia e l’Europa attraversano, il loro apporto alle decisioni da prendere per il rinnovamento del Paese”. Il nuovo premier, Enrico Letta, dopo una fase iniziale di grande entusiasmo, fiutando i nasi arricciati dei suoi elettori (non quelli dei quadri del partito) delusi dalla convergenza esecutiva con l’odiato Berlusconi, ha riposto i piedi per terra mirando a una conclusione (della propria esperienza) in 18 mesi, utile per le riforme istituzionali e per la ripresa economica dell’Italia. Alla fine di maggio scorso, il presidente del Consiglio chiariva “Oggi non può cominciare un percorso dai tempi indefiniti, sarebbe la cosa peggiore che possiamo fare. Entro 18 mesi il percorso di riforme deve terminare, la riforma costituzionale deve essere approvata e la qualità della democrazia rinvigorita. Penso che questo possa avvenire”. Avendo iniziato l’esperienza governativa (dello storico “esecutivo partecipato”) il 28 aprile scorso e considerando i 18 mesi di marcia trionfale, l’Italia, intorno alla fine di ottobre del prossimo anno, avrà ben ingranato e i cittadini saranno soddisfatti delle riforme istituzionali nonché di quella fondamentale: la fatidica “legge elettorale”. Si tratta di un doppio parto in tutti sensi, considerata la durata di 9 mesi più altri 9 mesi; gestazione doppia per queste due grandi direttrici da seguire per risollevare l’Italia. A onor del vero, passati i primi mesi, gli obiettivi da seguire sono sostanzialmente raddoppiati pur mantenendosi nell’arco temporale promesso da Letta. Il 4 luglio scorso, infatti, dopo il vertice di maggioranza, il presidente del Consiglio ha indicato i 4 punti: le risorse per l’Imu e l’Iva, la Legge di stabilità, la preparazione al semestre europeo in cui è di turno l’Italia (il secondo del 2014, dopo i primi 6 mesi spettanti alla Grecia…) e le riforme costituzionali. La “quota 18” è stata ribadita da Letta, con evidente convinzione e orgoglio, nella puntata di Ballarò del 9 luglio scorso, in un’intervista in diretta con il conduttore Floris. Nella stessa intervista, stante la concomitanza della notizia freschissima dell’udienza del Cavaliere in Cassazione per il 30 prossimo venturo, il conduttore si è adoperato nel far entrare a tutti i costi il nome di Berlusconi nelle dichiarazioni dell’ospite. Un tentativo malriuscito che ha provocato anche la stizza del presidente, visto il suo richiamo a effettuare un colloquio in cui si potesse fare a meno del Cavaliere e della sua ombra, considerate anche (come ricordato proprio da Letta) quali siano le attuali priorità degli italiani. Il nipote di Gianni Letta, infatti, un po’ stizzito ha affermato “Non esiste solo Berlusconi, parliamo dei problemi dell’Italia!”. Incredibile! Chi l’avrebbe immaginato solo poco tempo fa! E’ pur vero che il Pd e i suoi ministri si sono trincerati dietro una specie di silenzio stampa, di dichiarazioni di circostanza, molto lontane da quelle intrise di veleno che pronunciavano fino agli inizi di aprile. La consegna è quella di mantenere una certa neutralità (!) pur di non far crollare la baracca e irritare, nell’ordine: i cittadini italiani che attendono prove concrete, Napolitano, l’Ue, gli Usa. Le bocche cucite dei piddini, dinanzi a bocconi ghiotti, come i guai giudiziari di Berlusconi di queste ultime settimane, sono patetiche ma si sa che sono sforzi immani che gli stessi stanno producendo (soffrendone in prima persona) pur di aiutare il Paese tramortito. Un esempio lampante, in tal senso, è stata la decisione di accettare la pausa (di riflessione) dei lavori parlamentari chiesta dal Pdl, circostanza che ha provocato polemiche e divisioni nel Pd. I pidiellini, dal canto loro, schiumano di rabbia, compatti, per la situazione del loro leader ma sono costretti a prendere decisioni forti quanto basta: iniziative di velata protesta senza incutere troppo timore di lasciare l’esecutivo. La corda è un po’ al limite, in effetti: chi ha nutrito una qualche pia illusione su tale strano esecutivo, per giungere a una nuova legge elettorale e a forme efficaci di rilancio dell’occupazione, rischia di dover tornare presto con i piedi per terra. L’anno e mezzo “sabbatico” rischia di non concludersi e di essere un buon ricordo per tutti i sognatori (integerrimi) della ricetta Napolitano/Letta /Berlusconi. I 18 mesi potrebbero divenire, d’improvviso, 18 settimane. A quel punto, tuttavia, le istituzioni politiche e bancarie che stanno monitorando il salvataggio della barca, potrebbero porre dei paletti. La velocità della magistratura ha forse spiazzato un po’ anche Letta e i ministri piddini: nonostante l’odio che provano per quel giaguaro ancora immacolato, avrebbero preferito trascorrere i 18 mesi con più serenità e collaborazione (quasi acritica) anche degli avversari. La situazione un po’ ingarbugliata mette tutto in difficoltà. “Povero” Letta: costretto a mordersi le labbra sul Cavaliere, a esprimere fiducia e a mostrare un pizzico d’orgoglio nel far capire che l’Italia non è Berlusconi-dipendente. Sarà davvero convinto di quello che pensa e dice? E’ stato costretto, successivamente, ad avvertire il Pdl di non esagerare nel paventare misure drastiche perché lui non rimarrebbe “ad ogni costo”. In tal modo ha provato a calmare i bollori dei “falchi” e i dubbi delle “colombe”, entrambi del centrosinistra. Floris, nell’intervista ce l’ha messa tutta per scatenare incomprensioni e per far capire agli ascoltatori che l’intera l’attenzione mediatica e politica deve essere concentrata, ancora (1994) e soltanto, sul giaguaro di Arcore. Peccato, perché qualche ascoltatore, stufo proprio di questa “distrazione” dai problemi seri, rinunciando alla tessera di partito o all’ideologia, ha deciso, almeno nell’immediato così negativo, di appoggiare qualsiasi iniziativa valida, da qualunque colore e casacca provenga. Il cittadino, complice anche lo sforzo di Grillo, s’era svegliato. Ora può riaddormentarsi: l’ultimo treno è partito nonostante una corsa per raggiungerlo. Nel frattempo ha ripreso colore Di Pietro, forte del suo pensiero così attento alle vicende berlusconiane. La consegna del silenzio e dell’inciucio, mascherato forzatamente come intesa collaborativa, valgono, tuttavia, soltanto per coloro che hanno ricevuto il mandato dal 75% degli italiani. Il resto degli elettori, pari al 25%, ha margine di manovra, di pensiero e di parola: ne faccia un uso abnorme. Marco Managò |
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