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Debiti dello Stato. Tanti annunci e pochi fatti
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Il bicchiere dello sblocco dei pagamenti della Pubblica Amministrazione è decisamente mezzo vuoto. Dopo il ministro dell’Economia montiano Grilli anche il suo successore lettiano Saccomanni ha scelto la via degli annunci luccicanti, più di forma che di sostanza. Il codazzo monopartitico di supporto governativo e i gazzettieri di riferimento plaudono e spargono petali di rose; chi invece, come l’associazione artigiani e piccola impresa Cgia di Mestre ha a che fare quotidianamente con le imprese, mostra scetticismo e ritiene non sufficiente l’erogazione, relativamente all’anno in corso, di appena 15,7 miliardi di euro per pagare i fornitori. Il ragionamento è semplice: ipotizzando che nel frattempo non si accumulino altri debiti, procedendo di questo passo, l’ultimo creditore, secondo la stima del sodalizio mestrino che dimensiona il debito accumulato dalla Pa in 120 miliardi, riceverà quanto dovuto alla fine del 2018. Se, invece, ci si riferisce alla quantificazione della Banca d’Italia che attesta il debito della Pa in 91 miliardi (un ammontare ritenuto abbondantemente sottostimato da più parti perché riferito al 31-12-2011, ovvero più di un anno e mezzo fa), l’ultimo fornitore verrà saldato entro il primo semestre del 2017. Nel computo di Bankitalia, inoltre, non sono comprese le aziende con meno di 20 addetti che rappresentano il 98% del totale delle imprese italiane e quelle operanti nei settori della sanità e dei servizi sociali che, storicamente, sono quelli dove si sono registrati i ritardi di pagamento più eclatanti. Per la Cgia, è necessario accelerare il pagamento di debiti scaduti per i quali le imprese hanno da tempo pagato i fornitori, gli stipendi, l’Irpef e i contributi previdenziali dei propri dipendenti, nonché luce, acqua e gas ogni due mesi. La situazione dei fallimenti per mancati pagamenti, è drammatica. Dall’inizio della crisi alla fine del 2012 hanno dovuto chiudere i battenti per questo motivo oltre 15mila imprese. I risultati a cui è giunta l’associazione degli artigiani e della piccola impresa, hanno origine da uno studio di Intrum Justitia da cui si evince che il 25% delle imprese fallite in Europa chiude a causa dei ritardi dei pagamenti. Tenendo presente che l’Italia è maglia nera in Europa per quanto concerne la mancata regolarità dei pagamenti tra la Pubblica amministrazione e le imprese nonché nelle transazioni commerciali tra le imprese, si stima che tra il 2008 ed il 2010 questa incidenza abbia raggiunto la soglia del 30%, per salire al 31% nel biennio 2011-2012. Qualche miglioramento c’è stato per effetto della nuova legge nazionale entrata in vigore dal primo gennaio di quest’anno che ha recepito la Direttiva europea contro i ritardi dei pagamenti ma non è sufficiente ad invertire la rotta. “Se in questo ambito, ha fatto notare il segretario Giuseppe Bortolussi, le Pubbliche amministrazioni di Grecia e di Cipro continuano ad essere più efficienti della nostra, vuol dire che il lavoro da fare è ancora molto”. Entrando nei dettagli, a fronte di oltre 52.500 fallimenti registratisi in Italia nel quinquennio preso in esame, circa 15.100 chiusure aziendali sarebbero addebitabili ai ritardi nei pagamenti. Naturalmente non va sottovalutata l’incidenza del calo del fatturato dovuto alla contrazione degli ordinativi e il deciso aumento registrato in questi ultimi anni dalle imposte e dai contributi, oltre alla forte contrazione nell’erogazione del credito che ha caratterizzato l’azione degli istituti di credito nei confronti soprattutto delle piccole imprese. ern.ferr.
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