Da un porcellum all’altro, la democrazia muore
 











Che il "porcellum" sia un’aberrazione tutte le forze politiche lo ripetono da anni, salvo poi utilizzarlo a piacere quando gli conviene. La ragione di tale cinismo è presto detta: si tratta di un sistema ipermaggioritario, molto utile per chi, non possedendo una maggioranza assoluta, e molto spesso neppure una significativa maggioranza relativa, vuole fare cappotto conquistando gran parte della rappresentanza. Vi è poi una seconda ragione: non essendo previste preferenze, ma essendo i candidati eletti nelle liste sulla base dell’ordine di presentazione, chi controlla il partito decide in pratica chi deve essere eletto, defraudando l’elettore del suo diritto di scelta. A parole le maggiori forze politiche, dal Pdl al Pd, sconfessano ora questo sistema elettorale. La verità è che, semplicemente, non lo possono più giustificare, dal momento in cui la Corte costituzionale si è espressa con riserve sostanziali ed è imminente un suo pronunciamento definitivo.
Che fare allora? Ecco pronta la soluzione: un disegno di legge del governo che dovrebbe “mettere in sicurezza” la legge elettorale dal rischio di un ricorso anticipato alle urne, in presenza di un esplicito vizio di incostituzionalità. Ma si tratta dell’ennesima mistificazione. La proposta del governo, infatti, introduce alcune modifiche al "porcellum" per accogliere i principali rilievi della Corte costituzionale, ma ne mantiene i caratteri più antidemocratici, addirittura accentuandoli. A stare ai primi annunci della stampa, si fisserebbe una soglia oltre la quale scatterebbe il premio di coalizione. Si parla del 40%, ma - si noti- nel frattempo verrebbe alzata ancora di più la soglia minima prevista per le forze che non rientrano nelle grandi coalizioni. Dal 4% si passerebbe al 5% o addirittura al 6%, in modo da liberarsi da quanti non vogliono omologarsi ai partiti maggiori, sottraendogli seggi e rappresentanza. Non solo, sarebbero modificate anche le circoscrizioni
elettorali, rimpicciolendole, in modo tale da favorire, fra quanti superassero la fatidica soglia di accesso, le forze maggiori. Infine, il sistema sarebbe imposto anche al Senato, per evitare risultati difformi fra i due rami del Parlamento e garantire, quindi, alla coalizione maggioritaria la piena governabilità.
In buona sostanza, avremmo un bipolarismo coatto più accentuato di prima, in cui chi non si allinea alle forze maggiori viene escluso dalla rappresentanza, con una torsione maggioritaria ancora più forte, che sovradimensiona il peso di alcune forze politiche a scapito delle altre. Si tratterebbe di un esito infausto. L’ennesima porcheria consumata all’ombra del “governissimo”. A ben vedere una simile proposta costituisce il risultato più che logico di un quadro politico in cui all’omologazione dei principali schieramenti sul piano delle proposte e dei progetti fa riscontro una competizione rissosa per la conquista della maggioranza, elemento indispensabile per tenere
insieme formazioni contraddittorie, viziate da un forte personalismo e da evidenti tensioni interne. Non è detto che alla fine il modello proposto dal governo sarà quello accolto e, tuttavia, questa scelta ci dice molto dei propositi che animano le principali forze di governo. Di fronte alla crisi evidente del rapporto tra cittadini e rappresentanza politica la soluzione viene ricercata nella limitazione del pluralismo e nel rafforzamento abnorme di alcuni partiti a scapito degli altri.
Di fronte a questi segnali, una riflessione è d’obbligo, anche perché siamo al punto terminale di un’involuzione del sistema politico. Troppo spesso, sull’onda della crisi economica, la sfera politica è apparsa come una dimensione irrilevante. La stessa polemica sulla casta – al di là della veemenza con cui è stata scatenata - alla fine ha spostato l’attenzione sulla corruzione e con ciò ha messo in ombra il fenomeno forse più rilevante che è quello del mutamento complessivo del sistema politico
nella direzione di un’accelerata americanizzazione. Un processo non solo contrassegnato dall’erosione del sistema di tutela sociale, ma da una trasformazione dei profili politici delle principali forze, con una fortissima omologazione in senso liberista. Il tutto irrigidito in un forzoso bipolarismo, che emargina il dissenso e per questa via rende impotente l’opposizione. La gravità del fenomeno è tale che è necessario recuperare in fretta il nesso fra condizione sociale e democrazia. I due termini sono sempre stati complementari, ma molto spesso, anche a seguito della drammaticità della crisi economica, il secondo è stato messo in ombra. In questo senso è tempo di correggere l’impostazione della stessa battaglia di opposizione recuperando il tema del risanamento democratico delle istituzioni. In fin dei conti, le stesse ambiguità che attraversano le forze che si collocano alla sinistra del Pd nascono in misura rilevante dalla dissociazione fra contenuti sociali esibiti e scelte politico/istituzionali assunte. Gianluigi Pegolo