La spending review obbligatoria per le famiglie italiane
 











Sono stati cinque anni – quelli dal 2007 al 2012 – in cui le famiglie italiane sono state, complessivamente, un mese e mezzo senza spendere. Confindustria analizza la crisi e le sue conseguenze sugli stili di vita. Tasse e posti di lavoro persi hanno peggiorato fortemente i bilanci familiari. Si compra meno in quantità, ma anche la qualità paga pegno. Una spesa media annua ridotta nel 2012 a 26.100 euro, con un taglio di 3.660 euro rispetto al 2007, quasi un mese e mezzo di consumi svaniti: Confindustria analizza così la ‘spending review delle famiglie italiane’. Cinghia stretta su quantità e qualità, sacrificate ora anche le spese primarie meno toccate nella prima parte della crisi.
Il centro studi di Confindustria è chiaro: “Il perdurare della crisi economica e la seconda recessione che ha colpito l’Italia dal secondo semestre 2011 hanno generato effetti gravi e profondi sulle possibilità di spesa delle famiglie”. Gli italiani sono stati
costretti a una pesante revisione delle spese che per Confindustria è principalmente dai i posti di lavoro persi (quasi 700mila occupati in meno tra il 2007 e il 2012) e l’aumento di tasse dirette e indirette, che hanno “peggiorato i bilanci familiari e ridotto il reddito disponibile reale dell’11% tra 2007 e 2012 nello steso quinquennio”. A questo si aggiunga poi il calo della fiducia dei consumatori che ha toccato “i minimi storici”. In termini reali, nel complesso, la spesa per consumi finali è arretrata del 6,6%.
Chi ha stretto di più la cinghia, secondo il rapporto di Confindustria, sono le coppie senza figli con un capofamiglia tra i 35 ed i 64 anni. E soffrono relativamente di più le famiglie che vivono nelle regioni meridionali. La stretta economica ha costretto le famiglie a cambiare le proprie abitudini di spesa. I consumi superflui sono stati i primi a essere tagliati, ed è corsa ai discount a discapito di supermercati e negozi tradizionali; c’è più attenzione a sconti e
promozioni, e uno “scivolamento progressivo lungo la scala di prezzo dai prodotti di marca, a quelli commerciali, verso quelli meno marcati”. Si compra meno in quantità, ma si sacrifica anche la qualità.
Le famiglie comprano anche meno pane e cereali (-14,8% tra 2007 e 2011 – anno a cui fanno riferimento i dati Istat alla base dell’approfondimento del Csc – per un risparmio di 141 euro l’anno), e hanno ridotto anche le spese per visite mediche (-25,3%, 110 euro risparmiati). In tavola meno pesce (-13,2%), frutta (-8,3%), olio (-11,8%), acqua minerale (-15,1%), vino (-14,4%). Ma più birra (+4,2%). Scende la spesa in abbigliamento (-23,1% per 309 euro), ma anche in mobili, pentole, biancheria. E quella nei trasporti (-17,1%) soprattutto per i minori acquisti di auto (-19,2%). Si comprano meno giornali e riviste (-30,6%), meno frequenti ma non poi tanto i pasti fuori casa (-8,2%), e crollano i piccoli lussi della famiglia media: 60 euro in meno l’anno per argenteria, orologeria e
bigiotteria, in calo del 65,6%. Le abitudini di spesa cambiano in base alla tipologia di famiglia. In controtendenza, unico caso di spesa in aumento, anche se solo del 2,5%, è quello dei nuclei composti da una sola persona over 65 anni, probabilmente per la necessità di non poter rinunciare a servizi domestici (+95 euro l’anno), acquisti di carne (+86 euro), spese telefoniche (+103 euro). Negli ultimi due anni, indica il Centro studi, sono “peggiorati gli indicatori di grave disagio economico e di deprivazione materiale delle famiglie”: è salito dal 16% del 2010 al 24,8% nel 2012, quasi un quarto, il numero di persone che vivono in “nuclei familiari deprivati”, dal 6,9% al 14,3% quelli in famiglie “gravemente deprivate”.