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Il seguente dubbio amletico continua a turbare i sonni dei dirigenti democrat: “Le ‘colombe’ (boh…, ndr) del Pdl riusciranno a separare il destino della destra italiana da quello di Berlusconi?”. In altri termini, data per scontata l’esecutività della sentenza che mette fuori dalla politica l’ex cavaliere (attenti però a Napolitano…), i suoi luogotenenti vorranno tenere in vita il governo, oppure si stanno apprestando a scegliere il momento più opportuno (come molti indizi fanno pensare) per staccare la spina e combattere la madre di tutte le battaglie nel nome del caimano? A questa angoscia da politicanti si riduce tutto, nelle misere stanze della politica italiana. Così, il duo Epifani-Letta starebbe confezionando un ‘piano-b’, destinato a scattare nel caso che sia la seconda ipotesi a prevalere nel centrodestra. Sarà allora lo stesso Letta a giocare d’anticipo e a mettere fine alle “larghe intese”. Se questo dovesse diventare lo scenario prossimo venturo ne deriverebbero conseguenze notevoli per la sempiterna querelle intestina al Pd: l’imminenza del voto (alla metà di novembre) farebbe slittare il congresso e le primarie vedrebbero come competitors Letta e Renzi e il destino della premiership si separerebbe (con grave disappunto del sindaco di Firenze) da quello della guida del partito. A quel punto si tratterebbe di mettere mano alla legge elettorale, sempre blindata nel suo impianto maggioritario (perché ai benefici del bipolarismo, più o meno coatto, i democrat non rinunciano), tentando un accordo col M5S. Letta - continua a dirlo – non si farà logorare, anche se il giocattolo che sta guidando gli piace tanto e vorrebbe rimanere in sella per l’intera legislatura. A fare cosa è argomento oscuro, ma del tutto secondario perché, come si sa, le decisioni fondamentali che riguardano la sorte del paese sono subappaltate all’Ue e a Draghi. Il tema di cosa concretamente fa un governo che riesce a mettere a fattor comune due schieramenti che a parole si proclamano antagonisti non è certo un quiz senza soluzione, come abbiamo visto, poiché le culture di fondo, le strategie, gli obiettivi perseguiti non sono per nulla incompatibili. Il punto è proprio questo: Berlusconi o no, le due politiche, vale a dire l’essere reale dei due schieramenti, non è confliggente sulle questioni di fondo. Potranno sì litigare su quale sia la dimensione dell’esenzione dell’Imu o su quando fare scattare l’aumento dell’Iva. Non litigheranno invece sul fiscal compact, sul pareggio di bilancio, sulle politiche di austerity, sulla flessibilità del lavoro, sulle privatizzazioni, sull’annichilimento del welfare, sul primato dispotico del capitale sul lavoro, sulla messa alla gogna dei sindacati che non si rassegnano, sulla redistribuzione del reddito. Pensate, persino quegli ottimi trangugiatori di compromessi che sono i “Giovani turchi” (la cosiddetta sinistra del Pd) hanno detto che i ministri democratici assomigliano troppo agli asettici “tecnici” del governo Monti. Ma sono battute che lasciano il tempo che trovano. Se si andrà alle elezioni, discriminare i due schieramenti maggiori sulla base dei contenuti sarà impresa ardua. Questo offrirebbe ad una sinistra di alternativa ottime chance, se solo si sapesse lavorare, per una volta unitariamente, non solo alla costruzione dell’ennesimo, raccogliticcio cartello elettorale, ma ad un programma concreto, che rompa con tutti i luoghi comuni e con tutte le false teorie economiche che le classi dominanti spacciano sul mercato truccato della politica. Dino Greco |
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