Napolitano risponde a Berlusconi. fatale una crisi adesso
 











Presidente Napolitano

"Di qualsiasi sentenza definitiva, e del conseguente obbligo di applicarla, non può che prendersi atto. Ciò vale dunque nel caso oggi al centro dell’attenzione pubblica come in ogni altro". E’ quanto si legge nella nota del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. "In quanto ad attese alimentate nei miei confronti, va chiarito che nessuna domanda mi è stata indirizzata cui dovessi dare risposta". Lo afferma Napolitano, che sottolinea come "negli ultimi anni, nel considerare" sollecitazioni alla grazia "si è sempre ritenuta essenziale la presentazione di una domanda". ’’In questo momento è legittimo che si manifestino riserve e dissensi rispetto alle conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione’’ ma ’’non deve mai violarsi il limite del riconoscimento del principio della divisione dei poteri’’. "Intervengo oggi - benché ancora manchino alcuni adempimenti conseguenti alla decisione della Cassazione - in quanto sono stato, da parecchi giorni, chiamato in causa, come Presidente della Repubblica, e in modo spesso pressante e animoso".
’’Fatale sarebbe una crisi del governo faticosamente formatosi da poco più di 100 giorni; il ricadere del paese nell’instabilità e nell’incertezza ci impedirebbe di cogliere e consolidare le possibilità di ripresa economica’’. Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "Ho perciò apprezzato vivamente la riaffermazione - da parte di tutte le forze di maggioranza - del sostegno al governo Letta e al suo programma, al di là di polemiche politiche a volte sterili e dannose, e di divergenze specifiche peraltro superabili". Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano punta il dito contro il fatto che le tensioni politiche dopo la sentenza della Cassazione diventino ’’la tendenza ad agitare, in contrapposizione a quella sentenza, ipotesi arbitrarie e impraticabili di scioglimento delle Camere’’.
’’Una dichiarazione opportuna viste le pressioni che si sono create anche
indebitamente. In generale, rispettosa di tutti i ruoli: da quello della divisione dei poteri, alla presa d’atto delle sentenze definitive a quelle che sono prerogative del Capo dello Stato’’. Così il segretario Pd Guglielmo Epifani commenta la nota di Napolitano
’’Dal momento che ogni mia dichiarazione non è servita finora a fermare le voci su una possibile candidatura, devo ribadire ancora una volta, e nel modo più categorico, che non ho mai preso in considerazione l’ipotesi di impegnarmi in politica’’. Lo afferma il presidente di Fininvest e Mondadori, Marina Berlusconi. ’’Mi auguro - conclude Marina Berlusconi in una nota - che di questa ulteriore smentita prendano atto anche quanti continuano ad attribuirmi un’intenzione che non ho mai avuto e che non ho’’.
"Se Napolitano dovesse concedere la grazia a Berlusconi o qualunque altro atto di clemenza che sottragga il noto pregiudicato alle sue responsabilità penali, verrebbe posto in essere un atto eversivo dell’ordinamento che
comporterebbe l’immediata ed ineludibile responsabilità per attentato alla Costituzione". Lo scrive su Facebook il senatore del M5S Mario Giarrusso.                                                                                                                                   

Dichiarazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
"La preoccupazione fondamentale, comune alla stragrande maggioranza degli italiani, è lo sviluppo di un’azione di governo che, con l’attivo e qualificato sostegno del Parlamento, guidi il paese sulla via di un deciso rilancio dell’economia e dell’occupazione". E’ quanto si legge in una dichiarazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
"In questo senso - ha continuato il Capo dello Stato - hanno operato le Camere fino ai giorni scorsi, definendo importanti provvedimenti; ed essenziale è procedere con decisione lungo la strada intrapresa, anche sul terreno delle riforme istituzionali e della rapida ( nei suoi aspetti più urgenti ) revisione della legge elettorale. Solo così si può accrescere la fiducia nell’Italia e nella sua capacità di progresso. Fatale sarebbe invece una crisi del governo faticosamente formatosi da poco più di 100 giorni; il ricadere del paese nell’instabilità e nell’incertezza ci
impedirebbe di cogliere e consolidare le possibilità di ripresa economica finalmente delineatesi, peraltro in un contesto nazionale ed europeo tuttora critico e complesso. Ho perciò apprezzato vivamente la riaffermazione - da parte di tutte le forze di maggioranza - del sostegno al governo Letta e al suo programma, al di là di polemiche politiche a volte sterili e dannose, e di divergenze specifiche peraltro superabili. Non mi nascondo, naturalmente, i rischi che possono nascere dalle tensioni politiche insorte a seguito della sentenza definitiva di condanna pronunciata dalla Corte di Cassazione nei confronti di Silvio Berlusconi. Mi riferisco, in particolare, alla tendenza ad agitare, in contrapposizione a quella sentenza, ipotesi arbitrarie e impraticabili di scioglimento delle Camere. Di qualsiasi sentenza definitiva, e del conseguente obbligo di applicarla, non può che prendersi atto. Ciò vale dunque nel caso oggi al centro dell’attenzione pubblica come in ogni altro. In questo momento è legittimo che si manifestino riserve e dissensi rispetto alle conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione nella scia delle valutazioni già prevalse nei due precedenti gradi di giudizio; ed è comprensibile che emergano - soprattutto nell’area del PdL - turbamento e preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità che ha guidato il governo ( fatto peraltro già accaduto in un non lontano passato ) e che è per di più rimasto leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza. Ma nell’esercizio della libertà di opinione e del diritto di critica, non deve mai violarsi il limite del riconoscimento del principio della divisione dei poteri e della funzione essenziale di controllo della legalità che spetta alla magistratura nella sua indipendenza. Né è accettabile che vengano ventilate forme di ritorsione ai danni del funzionamento delle istituzioni democratiche. Intervengo oggi --- benché ancora manchino alcuni adempimenti conseguenti alla decisione della Cassazione --- in quanto sono stato, da parecchi giorni, chiamato in causa, come Presidente della Repubblica, e in modo spesso pressante e animoso, per risposte o "soluzioni" che dovrei e potrei dare a garanzia di un normale svolgimento, nel prossimo futuro, della dialettica democratica e della competizione politica. A proposito della sentenza passata in giudicato, va innanzi tutto ribadito che la normativa vigente esclude che Silvio Berlusconi debba espiare in carcere la pena detentiva irrogatagli e sancisce precise alternative, che possono essere modulate tenendo conto delle esigenze del caso concreto. In quanto ad attese alimentate nei miei confronti, va chiarito che nessuna domanda mi è stata indirizzata cui dovessi dare risposta. L’articolo 681 del Codice di Procedura Penale, volto a regolare i provvedimenti di clemenza che ai sensi della Costituzione il Presidente della Repubblica può concedere, indica le modalità di presentazione della relativa domanda. La grazia o la commutazione della pena può essere concessa dal Presidente della Repubblica anche in assenza di domanda. Ma nell’esercizio di quel potere, di cui la Corte costituzionale con sentenza del 2006 gli ha confermato l’esclusiva titolarità, il Capo dello Stato non può prescindere da specifiche norme di legge, né dalla giurisprudenza e dalle consuetudini costituzionali nonché dalla prassi seguita in precedenza. E negli ultimi anni, nel considerare, accogliere o lasciar cadere sollecitazioni per provvedimenti di grazia, si è sempre ritenuta essenziale la presentazione di una domanda quale prevista dal già citato articolo del C.p.p.. Ad ogni domanda in tal senso, tocca al Presidente della Repubblica far corrispondere un esame obbiettivo e rigoroso --- sulla base dell’istruttoria condotta dal Ministro della Giustizia --- per verificare se emergano valutazioni e sussistano condizioni che senza toccare la sostanza e la legittimità della sentenza passata in giudicato, possono motivare un eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale.
Essenziale è che si possa procedere in un clima di comune consapevolezza degli imperativi della giustizia e delle esigenze complessive del Paese. E mentre toccherà a Silvio Berlusconi e al suo partito decidere circa l’ulteriore svolgimento - nei modi che risulteranno legittimamente possibili - della funzione di guida finora a lui attribuita, preminente per tutti dovrà essere la considerazione della prospettiva di cui l’Italia ha bisogno. Una prospettiva di serenità e di coesione, per poter affrontare problemi di fondo dello Stato e della società, compresi quelli di riforma della giustizia da tempo all’ordine del giorno. Tutte le forze politiche dovrebbero concorrere allo sviluppo di una competizione per l’alternanza nella guida del paese che superi le distorsioni da tempo riconosciute di uno scontro distruttivo, e faciliti quell’ascolto reciproco e quelle possibilità di convergenza che
l’interesse generale del paese richiede. Ogni gesto di rispetto dei doveri da osservare in uno Stato di diritto, ogni realistica presa d’atto di esigenze più che mature di distensione e di rinnovamento nei rapporti politici, sarà importante per superare l’attuale difficile momento".
Entro domani le prime valutazioni del Colle, ormai ha messo a punto le sue valutazioni, dopo lunghe giornate di riflessioni, incontri, telefonate, e al massimo fra due giorni Giorgio Napolitano scioglierà la "riserva" e spiegherà come la pensa sul braccio di ferro ingaggiato da Berlusconi per rivendicare un salvacondotto nonostante la sentenza della Cassazione. E sarà una dichiarazione ufficiale quella in cui, fra oggi e domani, il capo dello Stato metterà in fila gli aspetti e le possibilità formali di sua competenza sul caso, rispondendo così alla richiesta avanzata dal Pdl di un intervento per salvare l’ex premier.
Manca un unico tassello per completare il quadro che il presidente della
Repubblica ha ormai quasi definito sul suo tavolo: un incontro a quattrocchi con Gianni Letta, l’uomo di collegamento fra il Colle e il Cavaliere, che con tutta probabilità varcherà domani i cancelli della tenuta di Castelporziano, dove Napolitano sta trascorrendo il periodo di vacanze estive.
È possibile perciò che proprio dopo questo incontro decisivo, che fa seguito a quelli con Brunetta-Schifani e con i vertici del Pd, arrivi la tanto attesa nota del Colle. Il capo dello Stato, stretto fra il pressing del Pdl e il no del Pd, anche dopo aver sentito gli uffici giuridici del Quirinale che gli hanno preparato un dossier, ha deciso dunque di rompere il silenzio e di farlo con una dichiarazione: pubblicamente, per sottrarsi al balletto di indiscrezioni, ipotesi, trame, alle mille voci sulle intenzioni del presidente della Repubblica che scuotono i partiti e mettono in affanno il governo. Una prima valutazione, magari non risolutiva, in cui il Colle farà il punto sotto il profilo
formale, senza accogliere i diktat del Pdl ma magari rinviando alcuni aspetti a ulteriori approfondimenti. Con la necessità politica di tenere il governo al riparo dalle ritorsioni.
Sentiero stretto, col centrodestra che invece minaccia rappresaglie sull’esecutivo in caso di decadenza di Berlusconi (e anche questo aspetto il capo dello Stato vuol chiarire con Gianni Letta), ma al Colle le soluzioni fin qui prospettate per non far uscire di scena l’ex premier apparirebbero non praticabili. A cominciare dall’arma più forte e definitiva, quella della grazia, che il capo dello Stato può concedere solo in casi ben precisi. E adesso non è certo quello del Cavaliere, come probabilmente il Quirinale stesso s’incaricherà di chiarire nelle sue valutazioni.
Tante e troppe, poi, le delicate questioni ancora aperte per non far apparire un intervento pro-Berlusconi come una vera e propria ingerenza di Napolitano sulla magistratura e anche sul Parlamento. Non sono ancora note nemmeno le
motivazioni della Cassazione (con la polemica in corso sul presidente Esposito), resta ancora da ricalcolare la pena accessoria dell’interdizione davanti alla corte d’Appello di Milano, deve riunirsi ai primi di settembre
la giunta per le elezioni del Senato sull’incandidabilità. Ecco perché, con una situazione "processuale" del Cavaliere non definita e tanto complicata, per il Quirinale metterci la mani appare un’operazione impossibile e fuori dalle regole.
In un contesto giuridico tanto "aperto" e in movimento, al Colle non resterebbe che restituire al mittente le richieste di salvare subito il Cavaliere. L’agibilità politica? Non sarebbe nei poteri di Napolitano. Umberto Rosso -repubblica