|
|
Basta con la bufala dell’Imu
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Quel che fa più impressione, ma suscita anche una certa dose di rabbia, è l’enorme spreco di tempo e di intelligenze. Enrico Letta, Fabrizio Saccomanni e Ignazio Visco sono - ciascuno a suo modo - uomini sagaci, navigati, certo non digiuni di economia politica. Vederli ancora impegnati a spremersi le meningi per trovare una via d’uscita sulla questione dell’Imu è uno spettacolo piuttosto sconfortante. Tanto più dopo che il premier e il ministro del Tesoro hanno annunciato che l’economia italiana si appresta, entro l’anno, a rialzarsi da una recessione che la tiene in ginocchio ormai da parecchi anni. DIFFICILE SOPPESARE quanto siano affidabili i segnali positivi da cui Letta e Saccomanni traggono buoni auspici per il futuro prossimo. Al 30 giugno le statistiche hanno certificato una caduta del Pil ininterrotta negli ultimi otto trimestri, mentre qualche indicazione di ripresa sta ora venendo sul doppio fronte della produzione industriale e della domanda interna. Sono piccoli indizi ma dicono che qualcosa, in effetti, si sta muovendo. Se ne può volenterosamente dedurre che forse il paese abbia toccato il fondo della crisi e possa da qui in poi cominciare una risalita. Ma se è proprio così - e conviene sperarlo caldamente - a maggior ragione oggi la missione cruciale di governo e autorità monetaria dovrebbe essere quella di concentrarsi su misure in grado di incoraggiare e irrobustire la maturazione della così tanto attesa svolta economica. Non c’è nemmeno da dubitare che a Palazzo Chigi e in Via Nazionale si ignori quali siano i nodi prioritari da sciogliere per aiutare il ritorno della crescita. Sul terreno fiscale si tratta di impegnare ogni pur minima risorsa disponibile per alleggerire il peso delle tasse sul lavoro e sulle imprese, al duplice scopo di ridare ossigeno alla domanda interna e alla ripresa degli investimenti. Sul terreno monetario si tratta di indurre le banche a un bilanciamento dei loro impieghi che, fra acquisti di titoli del Tesoro e crediti al sistema produttivo, sia un poco più favorevole a quest’ultimo. Operazioni certo non facili, ma sulle quali sarebbe giusto attendersi il massimo di impegno da parte di chi governa debito e moneta. E invece no: a più di cento giorni dalla nascita del governo Letta, ancora tutto è bloccato dalla bomba politica e contabile dell’Imu. Il buon Saccomanni ha cercato di disinnescare l’ordigno mostrando, conti alla mano, limiti e sostanziale irrazionalità di un’abolizione dell’Imu. Ma il fatto è che Silvio Berlusconi ha fatto di questa ipotesi la carta vincente della sua campagna elettorale e ora la condizione vitale del suo sostegno al "governo di necessità". Al novello Ghino di Tacco non interessa che in tutti i Paesi civili sia in vigore un prelievo fiscale sulle case, non importa che questo tributo tenda a riequilibrare in senso patrimoniale un sistema fin troppo sbilanciato a danno dei redditi da lavoro, tanto meno si cura della perdita di gettito e del conseguente buco nei conti. Ancorché certificato ora come delinquente fiscale dalla Cassazione, Berlusconi esige che questa tassa sia tolta di mezzo perché lui così ha promesso. E dunque, come minacciano i suoi bravi: o via l’Imu o via il governo. DINANZI A SIMILI RICATTI, che impongono di compiere una scelta economica sbagliata pur di tutelare un puntiglio politico di parte, ce n’è abbastanza perché a Palazzo Chigi si ritrovi il coraggio di recuperare una gerarchia più seria delle cose da fare. Il dossier Saccomanni con i suoi conti accurati ha spianato la strada. Per esempio: già oggi è prevista una franchigia di 200 euro, la si porti a 400 e non se ne parli più. Almeno fino a quando - opera di equità questa sì indispensabile - saranno stati aggiornati i valori catastali. Chi guida il Paese avrà così più tempo e più risorse per aiutare imprese e lavoratori ad agganciare la sperata ripresa. I berlusconiani faranno saltare il banco? Data la posta in gioco, val la pena di vedere se lo faranno. Massimo Riva
|
|