Siria, offensiva diplomatica del Papa Al G20 tensione Usa-Russia
 











E’ un’iniziativa a tutto campo, quella messa in piedi dalla Santa Sede, e forse senza precedenti. Un impegno politico-diplomatico che il papa sta portando avanti in prima persona e ad altissimo livello. Ha inviato una lettera a Putin, in quanto "padrone di casa" del G20 di San Pietroburgo, dove per due giorni saranno riuniti i leader mondiali, per chiedere di trovare una soluzione pacifica attraverso il negoziato abbandonando ogni «vana pretesa» di una soluzione militare. Evitare il massacro, scrive il papa, è un «dovere morale» dei governi. «Purtroppo - scrive Bergoglio - duole constatare che troppi interessi di parte hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano, impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro a cui stiamo assistendo». I leader del G20, invoca Francesco, «non rimangano inerti di fronte ai drammi che vive già da troppo tempo la cara popolazione siriana e che rischiano di portare nuove sofferenze a una regione tanto provata e bisognosa di pace. A tutti loro, e a ciascuno di loro, rivolgo un sentito appello perché aiutino a trovare vie per superare le diverse contrapposizioni e abbandonino ogni vana pretesa di una soluzione militare». Perché «è un dovere morale di tutti i governi del mondo favorire ogni iniziativa volta a promuovere l’assistenza umanitaria a coloro che soffrono a causa del conflitto dentro e fuori dal Paese».
Proprio oggi in Vaticano erano convocati tutti i diplomatici accreditati presso la Santa Sede per spiegare loro la posizione della diplomazia vaticana sul conflitto in Siria. Ma l’intervento del papa cade in un G20 dove Russia e Usa arrivano con posizioni diametralmente opposte, tanto che non è per nulla sicuro che si svolgerà il bilaterale tra Putin e Obama. Tra i due il clima è gelido e non si vedono schiarite. Mosca, anzi, oggi mette in guardia dal rischio atomico: un eventuale attacco militare degli Stati Uniti alla Siria potrebbe avere delle «conseguenze
catastrofiche» se dovesse essere colpito un «reattore nucleare» posto nei pressi di Damasco. E di questo sarà messa al corrente l’Aiea (l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) nella riunione prevista a Vienna il prossimo 9 settembre perché reagisca «rapidamente». Ma il papa ritiene che sia ancora possibile trovare un compromesso.
In realtà, il grosso della battaglia “diplomatica” Obama la sta conducendo in casa propria. La commissione Esteri del Senato Usa ha, infatti, approvato la risoluzione che autorizza l’attacco militare contro la Siria, ma il voto non è un successone per il presidente. Solo 10 sono stati i voti a favore su 18 (7 contrari e un astenuto): e dire che Obama ha più volte detto che «saremo più forti se la nazione è unita». L’obiettivo pare, fin qui, mancato. La Casa Bianca fa buon viso a c attivo gioco e corregge un po’ il tiro: «Crediamo che l’America sia più forte quando il presidente e il Congresso lavorano insieme». Per questo l’amministrazione ha
chiesto al Senato di «muoversi velocemente» e di lavorare con entrambi gli schieramenti «a favore della sicurezza nazionale».
A impensierire Obama c’è il fatto che tra i contrari ci sono due democratici (più un terzo che si è astenuto) e ben cinque repubblicani, sebbene tra questi ultimi non ci sia il potente senatore McCain, che ieri aveva detto che avrebbe votato no e poi ha cambiato idea. Ed è questa “strana” alleanza tra ultraconservatori e sinistra democratica che potrebbe portare guai a Obama quando il voto arriverà nell’assemblea. E’ vero che per il via libera a un intervento militare contro Assad, il presidente americano ha già incassato il sì delle due figure chiave della Camera dei Rappresentanti: quello dello speaker repubblicano, John Boehner, e quello dalla leader della minoranza democratica Nancy Pelosi. Però la strada sembra ancora in salita. Da una parte ci sono i conservatori ultraliberali, che vorrebbero un impegno più deciso contro la Siria e stanno ridefinendo la
visione della politica estera del Gop; dall’altra c’è l’ala più a sinistra dei democratici, da sempre contrari a qualsiasi intervento militare. Si tratta della stessa "strana alleanza" che aveva duramente attaccato l’inquilino della Casa Bianca dopo lo scandalo della National Security Agency svelato al mondo da Snowden.
Se questa alleanza non dichiarata si spingerà fino a formare una coalizione in grado di affondare la risoluzione (che vorrebbe dire trasformare Obama in un’anatra zoppa) si vedrà. Di sicuro c’è che alla Camera è già iniziata una campagna per fermare la risoluzione: secondo l’analisi della Cnn 26 deputati sono a favore, 64 non hanno espresso una posizione, 258 non hanno ancora deciso e 85 sono contrari. Per passare alla Camera, la risoluzione dovrà raggiungere 218 voti. Obama, comunque, ha ancora un po’ di tempo. Anche alla Camera, la risoluzione dovrà seguire tutta la trafila: prima il voto in commissione Esteri, poi quello dell’assemblea. Ro.Ve.