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Quando internet ostacola gli affari
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L’avanzata incontrastata della tecnologia, benché avversata da irriducibili misoneisti, è orientata – così ci si dice – al superamento di barriere spaziali e temporali, all’abbattimento di anacronistiche e remunerative rendite di posizione, alla facilitazione nell’accesso alle informazioni, insomma a semplificare la vita. Dalla tecnologia, dunque, soprattutto nella sua versione informatica applicata alla comunicazione, non possono che derivare benefici cognitivi e vantaggi economici. Chi scrive, consumata personalità low-tech le cui uniche concessioni alla civiltà del bit sono il bancomat e la posta elettronica, è convinto che all’adesione e all’uso compulsivo degli strumenti dell’hi-tech calati nella composita realtà sociale non risponda un diretto miglioramento del livello di vita, ma una ostentazione di status ed un appiattimento, perfino culturale, di specificità e percorsi individuali. Muovendo da queste scomode premesse, in compagnia di una cara amica archivista e paleografia, anch’ella low-tech, si concede saltuariamente il piacere di visitare – previo appuntamento – alcuni studi bibliografici alla ricerca di testi selezionati su preziosi cataloghi cartacei o alla scoperta di tesori “in ottavo” ormai fuori commercio, magari in prima edizione, tra gli scaffali e le scale a chiocciola. Non di abitudine elitista si tratta, ma di composta reazione alla sconfortante desolazione e banalità della produzione libraria contemporanea, tanto saggistica quanto narrativa, che invade con oscene pile gli ingressi di megalibrerie dell’editoria omologante. Stavolta l’occhio attento ed esperto della mia amica archivista è caduto su alcuni “libri blu”, ovvero volumi del “Libro d’Oro della Nobiltà Italiana”. Ciascun testo racchiude inesauribili informazioni di natura genealogica, storica, politica, geografica che, opportunamente lette ed interpretate, offrono sorprendenti strumenti di conoscenza soprattutto in chiave di ricerca storica ed iconografica. Negli studi bibliografici ogni libro è censito, catalogato e prezzato. O almeno dovrebbe esserlo. I citati “libri blu”, invece, forse a causa dell’inesistente interesse e richiesta da parte del mercato (non sono in commercio, ma sono esclusivo appannaggio delle famiglie annoverate nell’apposito elenco della nobiltà italiana), giacevano da anni, polverosi, senza prezzo e privi di catalogazione informatica, in un basso scaffale poco illuminato. Il responsabile dello studio, non avendo idea delle relative quotazioni, si era detto disposto a venderlo per circa venti euro: una richiesta che certamente avrebbe soddisfatto anche la parte acquirente, la quale per un analogo volume due anni prima ne aveva spesi venticinque. L’accordo stava per essere concluso. Ma, poi, uno scrupolo, un lecito desiderio di conoscere i prezzi “di mercato” inducevano in buona fede il responsabile a consultare un noto sito internet che avrebbe meglio chiarito i termini della trattativa. Il risultato della ricerca restituiva prezzi oscillanti tra gli 80 e i 150 euro praticati da altri studi bibliografici italiani. Il responsabile, benché imbarazzato, si dichiarò allora disposto a cedere il volume a 70 euro, ricevendo, però, dalla parte potenziale acquirente un cortese declino dell’offerta. Un affare che le parti stavano, con reciproca e piena soddisfazione, concludendo a venti euro è saltato “grazie” all’adesione fideistica alla bontà di valutazioni on-line con ogni evidenza artefatte, che non rappresentano il punto di incontro tra domanda ed offerta, ma solo gli interessi delle parti venditrici, così configurando una ipotesi di cartello per tenere artificialmente i prezzi al di sopra del naturale equilibrio di mercato. Risultato: il volume non sarà consultato da chi avrebbe voluto studiarne informazioni altrimenti irreperibili, con ogni probabilità continuerà a coprirsi di polvere per molti anni ancora in un seducente studio bibliografico a pochi chilometri da Roma e, cosa più grave, sarà prezzato, censito e “messo in internet” a 70/80 euro per adeguarsi agli standard di mercato e alla dittatura della rete. Stefano De Rosa |
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