Tutti gli intrecci dei Benetton
 











Centoventi milioni su 265: il “creditore” Aeroporti di Roma rappresenterebbe, per Alitalia, quasi la metà del totale dei debiti che la compagnia accusa e che la stanno stringendo alle corde, ponendola, in questi giorni, nell’emergenza finanziaria che i soci non sanno ancora come fronteggiare. L’anomalia estrema della situazione è data dal fatto che Aeroporti di Roma fa parte al gruppo Benetton che è anche, con l’8,85% del capitale, il secondo azionista italiano di Alitalia dopo il gruppo Riva, ormai commissariato, e prima di Banca Intesa. Il che lo pone in conflitto d’interessi: come “padroni” di Fiumicino, i Benetton hanno infatti interesse a incalzare il loro debitore Alitalia facendogli pagare subito fino all’ultimo euro (e Alitalia contesta in parte l’entità di questi debiti!); come azionisti di Alitalia devono chiedere a se stessi, nelle vesti di padroni di Fiumicino, un allungamento dei tempi di pagamento. E’ chiaro da quale parte prevalga l’interesse…
Ma c’è di più, o di peggio. Oggi il sistema industriale di quell’ottimo e ben gestito scalo internazionale che è Fiumicino deve molto alla presenza della flotta Alitalia e alle relazioni commerciali che essa ha con Air France. Una crescita del ruolo di Air France nella compagnia italiana – tradotto: se i francesi comprano – consolida questo stato di cose, uno scontro con i francesi rischia al contrario di pregiudicare la frequenza dei voli Alitalia da e per Fiumicino. Quindi i Benetton, sempre nelle loro vesti di padroni dello scalo romano, hanno tutto l’interesse a tenersi buoni i francesi, mentre, in teoria, come soci Alitalia, avrebbero interesse a cercare anche alternative – ammesso che ne esistano – di maggior vantaggio per la compagnia tricolore, dall’alleanza con Ethiad a un altro periodo di gestione “stand alone”.
Ma è questa, in fondo, la tara della “cordata” di investitori nazionali messa insieme cinque anni fa per Alitalia. Scorrendola, si prova un certo
effetto. Banca Intesa è un perno, e al suo interno il capo dell’area “corporate” che costruì la cordata con l’allora amministratore delegato Corrado Passera, Gaetano Miccichè – dopo l’uscita di Enrico Cucchiani – riprenderà potere; ma certo l’istituto è uscito da un tourbillon senza precedenti nella storia del credito in Italia, con un capo azienda allontanato dopo 22 mesi e senza manifeste ragioni di indegnità; i Riva, col loro 10,62%, sono commissariati; la Fonsai, col 4,43%, non è più dei Ligresti e certo l’Unipol, che la controlla oggi, non ha la stesse ragioni che ebbe l’ingegnere di Paternò per entrarvi e restarci; i costruttori Angelucci e Toto (ex padrone di Airone) non sono di certo tra i soci di maggior forza (hanno il 5,3% ciascuno) e determinazione. Restano l’Immsi di Roberto Colaninno, con il 7,08%; e l’Equinox di Salvatore Mancuso, col 4,4%, sicuramente i due soci con il maggior “mordente” imprenditoriale – che non a caso sono presidente e vicepresidente e dopo una lunga fase di buona armonia stanno attraversando un momento di dissenso. E poi ci sono vari altri soci con quote sotto il 3, dai quali è irrealistico attendersi un rilancio o un impegno particolari. Ecco perché oggi, in fondo, Alitalia è quasi figlia di N.N. O peggio, perché avere un socio importante e forte come Benetton in aperto conflitto d’interessi non è igienico. Sergio Luciano-affaritaliani