Paraguay in festa, vince il vescovo dei poveri
 







di Maurizio Matteuzzi




Fernando Lugo a valanga. Fra il prete, la donna e il generale nelle elezioni di domenica ha vinto il prete. Anzi il vescovo, perché monsignor Lugo non è più vescovo di San Pedro ma formalmente è ancora un vescovo. La sua domanda di dimissioni al Vaticano per darsi alla politica fu respinta e sul finire del 2006 da Roma arrivò invece la sospensione a divinis. Ora che è stato eletto presidente della Repubblica, il suo destino ecclesiastico è «nelle mani del papa», ha detto monsignor Ignacio Gogorza, il capo della Conferenza episcopale paraguayana.
Ma il cinquantasettenne vescovo della Teologia della liberazione avrà altro a cui pensare, più importante di Ratzinger, a partire dal 15 agosto quando riceverà la fascia tricolore dalle mani dell’impopolarissimo presidente uscente, il colorado Nicanor Duarte Frutos, e s’insedierà nel palazzo del Maresciallo López, la sede presidenziale metà a Versailles e metà a Westminster sulla riva del fiume Paraguay.
Dunque
l’impensabile è divenuto realtà.
Domenica 20 aprile la Alianza patriótica para el cambio, con Lugo come candidato alla presidenza e Federico Franco - leader del Partido liberal radical auténtico - come vice, ha stravinto. Troppo anche per l’efficiente macchina da brogli dei colorados che si è inceppata prima di tutto per la voglia di cambio dell’elettorato e poi per il lavoro attento di 500 osservatori internazionali e infine per la presenza di centinaia di giornalisti stranieri che hanno reso impossibile ciò che in passato era routine.
L’incertezza è durata poco, domenica. Alle 4 del pomeriggio si sono chiusi i seggi, dopo pochi minuti tutti i sondaggi a boca de urna, come si chiamano qui gli exit polls, davano Lugo in testa, seguito a 4-5 punti dal Blanca Ovelar, l’ex-maestra rurale e ministro dell’istruzione imposta da Duarte Frutos, e molto più indietro Lino Oviedo, l’ex-generale golpista. Dopo un’ora o poco più i primi risultati ufficiali effettivi confermavano e anzi
ampliavano il trend. L’altissima (per qui) partecipazione al voto, 65% dei 2.8 milioni di elettori, si confermava un fattore in favore di Lugo. La sede del movimento Tekojoja, dove Lugo aveva il suo quartier generale, non si poteva trattenere nonostante gli inviti alla prudenza, quella dei colorados cominciava a svuotarsi, mentre nelle strade della sonnacchiosa Asunción si scatenava un chiassoso inferno che sarebbe durato tutta la notte e il rumore dei petardi si faceva assordante. Alle 7 e mezzo del pomeriggio Lugo si presentava alla sua prima conferenza stampa da «presidente virtuale», un’ora dopo Oviedo riconosceva la sua vittoria e si diceva pronto «a collaborare», alle 8.45 toccava a Blanca Ovelar ammettere «l’irreversibilità» dei risultati e alle 9.45 al vero sconfitto Nicanor Duarte, che elogiava la «festa della democrazia». Il risultato finale dava a Lugo 700 mila voti e il 40.8%, a Blanca 530 mila voti e il 30.7%, a Oviedo 379 mila voti e il 21.9%.
Come diceva poi Lugo nel
primo intervento da presidente non più solo virtuale, di fronte alla folla riunita davanti al Panteon nazionale: «voi siete i colpevoli dell’allegria della maggior parte del popolo paraguayano». Ma se il «colpevole» dell’allegria è stato il popolo elettore, il colpevole della bruciante sconfitta colorada è stato il presidente Duarte Fruto.
È lui, più volte indicato per nome e cognome durante la campagna elettorale da Lugo e dai principali media paraguayani (non certo sospettabili di simpatie di sinistra) come il capo della «cricca mafiosa» padrona del paese, che passerà alla storia come il primo presidente colorado a perdere un’elezione, il primo presidente colorado a perdere un’egemonia che durava incontrastata e incontrastabile dal 1947. A parte tutto il resto, si era alienato l’appoggio di mezzo partito imponendo con delle primarie che in assenza di controlli esterni avevano fatto gridare alla frode, la sua candidata Blanca Ovelar dichiarata vincitrice per un pelo su quello che
sembrava il favorito indiscusso (e l’uomo dell’ambasciata Usa), l’ex vice-presidente di Duarte Frutos, Luis Castiglioni. Che da allora si è messo in sciopero e domenica a seggi ancora aperti ha dichiarato alla tv che a partire da subito si sarebbe rimesso in corsa per la leadership alla testa della sua corrente, Vanguardia colorada, contro la «cricca mafiosa». La sera Duarte Frutos gli ha dato del «traditore».
Blanca Ovelar, dignitosa nella sconfitta, non sarà così la prima donna a diventare presidente del Paraguay e ha fallito l’intento di andare ad aggiungersi all’onda rosa che in Cile e Argentina ha portato Michelle Bachelet e Cristina Fernandez alla presidenza della repubblica.
Il compito di Lugo non si presenta facile. Le aspettative che ha saputo suscitare, se gli hanno garantito il trionfo, lo caricano di una responsabilità enorme. Lui era il candidato «dei poveri e degli esclusi», dei movimenti sociali, dei campesinos senza terra, degli indigeni senza niente. Oltre tutto
la sua coalizione è molto variegata e frastagliata e va dalla destra moderata - il Plra del vicepresidente, grosso modo il corrispettivo dell’Unione civica radicale rispetto al peronismo in Argentina - ai socialdemocratici, fino all’estrema sinistra che grazie all’onda sollevata da Lugo mette piede in parlamento. I liberali, l’avversario centenario e storico dei colorados, hanno avuto l’intelligenza politica di cogliere la novità-Lugo e rinunciare a una propria candidatura presidenziale, ma di certo come il partito più strutturato della coalizione di governo, cercheranno di condizionarlo il più possibile. Ma sanno che ancora una volta non avrebbero vinto se non ci fosse stato Fernando Lugo. E anche Lugo lo sa.de Il Manifesto