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Sale il debito, cala lo spread
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Nei primi 8 mesi del’anno, il debito pubblico è salito di 70,6 miliardi fino a 2.060 miliardi di euro. Un rialzo inevitabile visto che il governo di Letta e Saccomanni non può e non vuole frenare l’aumento della spesa pubblica per non correre il rischio di colpire le proprie clientele economiche ed elettorali. Rispetto a luglio, in agosto c’è stata una leggera frenata ma che deve essere vista come l’effetto della differenza tra le disponibilità liquide del Tesoro (che sono diminuite) e il fabbisogno. Artifici contabili insomma che non cambiano la sostanza del problema. Un risultato negativo quello del debito che conferma una deriva inarrestabile che lo colloca sopra il 132% del Prodotto interno lordo. Una realtà di per sé eclatante ma che le varie gazzette del regime clerico-bancario-piddino si guardano bene dal sottolineare. La percentuale del debito sul Pil non viene infatti mai citata sui titoli di testa, come avveniva anni fa, quando il debito al 120% e il disavanzo al 4,2% provocarono nel novembre 2011 la caduta di Berlusconi e la nascita del governo della Goldman Sachs. Per non ostacolare il manovratore Letta, il dato in questione sembra essere divenuto un tabù. Eppure, tutti sanno che siamo sopra il 132% e che a fine anno toccheremo il 134%. Conseguenza diretta: tasse, tasse e ancora tasse. Oggi, a fronte di un disavanzo del 3,2%, lo spread tra i Btp e i Bund tedeschi decennali è a 235 punti, Ben diverso era il trattamento che venne inflitto all’Italia quando cadde il Cavaliere a fronte di un eclatante 570 punti. Una anomalia incredibile che la dice lunga sulle dinamiche e sulle logiche che governano la finanza internazionale speculativa. Una anomalia che non può essere spiegata con il fatto che oggi i titoli pubblici italiani in possesso di investitori residenti all’estero (italiani e stranieri) sono il 35% contro il 55% di due anni e che il fondo europeo permanente salva Stati (Esm) può intervenire a comprare titoli a lungo termine per calmierare le quotazioni. Speculare contro l’Italia non è più conveniente non tanto perché le vendite mirate di titoli come i Btp decennali non sono in grado di provocare sconquassi come quelli di un vicino passato, con crollo delle quotazioni, rialzo dei tassi di interesse e problemi alle finanze pubbliche, quanto con il fatto che il messaggio che si doveva mandare è già stato mandato allora. L’Italia, se vuole essere lasciata in pace, deve privatizzare. E in primis, deve separare le reti telefonica e di distribuzione del gas dalle società capintesta. Telecom ed Eni. Come era già successo con Enel e Terna nel campo elettrico. E il governo nel secondo caso ha già provveduto. Nel primo si provvederà, Telefonica permettendo. E’ la solita deriva di un Paese allo sfascio, il nostro, privo di una classe politica che sappia difendere l’interesse nazionale e ben disposto a svendere la nostra sovranità.Marco Angelotti |
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