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Cancellieri: "Non lascio, sono a posto con la mia coscienza. Spiegherò perché."
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Scommettiamo? La cosiddetta "bufera" su Annamaria Cancellieri finirà in una bolla di sapone. Il ministro riferirà martedì alle 16 in Senato, ma la contraerea, potente e anch’essa rigorosamente bipartisan, è già in piena azione. Il Pd, come sempre, è diviso, ma prevale la solidarietà con il ministro, perché, da un lato, nessuno ha voglia di creare intralci al governo e, dall’altro, l’intesa di lunga data fra Berlusconi e Ligresti garantisce buona copertura. Da Napolitano e Letta nessun problema. Anzi... "Sono serenissima e tranquilla, pronta a rispondere a qualunque domanda. Il mio è stato un intervento umanitario, mosso da un detenuto che poteva morire. Se fosse morta cosa sarebbe accaduto?" ha detto il ministro della giustizia, intervistata dal Tg1, in riferimento al suo intervento riguardo alle condizioni di salute in carcere di Giulia Ligresti. "Non siamo tutti uguali davanti alla legge? Certo! Non ci sono detenuti di serie A e serie B. Dobbiamo lottare per migliorare il sistema carcerario, ma queste cose non aiutano" ha aggiunto. E poi, ancora: "Lo rifarei, certo che lo rifarei", ha replicato ai giornalisti che le chiedevano se si fosse pentita della telefonata con la compagna di Salvatore Ligresti. "Io ho la responsabilità delle carceri e sono intervenuta con il Dap dicendo attenzione che Giulia Ligresti potrebbe compiere gesti inconsulti. State attenti". ’Se poi dovessi essere un peso io me ne andrei’’ - ha aggiunto -, io non ho problemi né a spiegare né a non minimizzare. Se Giulia Ligresti si fosse uccisa io non sarei stata responsabile? Io ho la responsabilità dei detenuti, ho fatto oltre cento interventi per persone che ho incontrato nel corso delle mie visite in carcere o i cui i familiari si sono rivolti a me anche solo tramite una e-mail". Letta, da parte sua, ha già fatto capire come andrà a finire: "Il governo ha voluto che il chiarimento in Parlamento avvenisse immediatamente perché non devono esserci zone d’ombra. Siamo sicuri che il ministro fugherà ogni dubbio". Mentre il Pd compie l’ennesimo esercizio cerchiobottista del ’ma anche’: "Noi siamo i primi a non accettare facili strumentalizzazioni della vicenda ma, allo stesso modo, non ne consentiamo una sua minimizzazioni": così si è espresso Danilo Leva, responsabile Giustizia dei democrat. Anche il presidente della Regione Lombardia e segretario della Lega nord Roberto Maroni dice la sua: "Cancellieri , deve venire in Parlamento a riferire e se non è convincente dimettersi. Ma io non esprimo giudizi a priori. Prima voglio sentire le ragioni della sua difesa, dopodiché valuteremo". Durissimo, sulla sponda opposta, Grillo, che piazza la botta più forte in direzione del Colle e, in seconda battuta, del presidente del Consiglio: "Nessun monito da parte di Napolitano" e "non un fiato da Capitan Findus, Letta". "La Idem a causa dell’ICI non pagata ha dato le dimissioni in dieci giorni. La Cancellieri - si legge nel in un suo post - forse non le darà mai. Il motivo è semplice. La Cancellieri fa parte di quel mondo composto da politici, banchieri, istituzioni, finanzieri, inestricabile come una foresta pietrificata. Nessun monito da parte di Napolitano per questo scandalo per l’ingerenza di un ministro su una detenzione, avvenuta grazie a rapporti di lunga data con Ligresti. Non un fiato da Capitan Findus Letta. Hanno paura di essere travolti e credono che il silenzio li salverà, ma sono già condannati". Da Craxi al cavaliere, la family al potere «A’megghiu parola è chidda ca ‘un si dici». Altra tempra rispetto ai figli il capostipite della Family don Salvatore Ligresti che, chiuso per 112 giorni a San Vittore nell’estate 1992, spiegava al compagno di cella che gli preparava gli spaghetti il vecchio proverbio siculo imparato da giovane a Paternò, provincia di Catania. La figlia Giulia Maria, condannata in settembre a 2 anni e otto mesi per falso in bilancio e aggiotaggio, ha sopportato la cella per poco più di un mese, prima che in agosto la Family mettesse nei guai il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri. Con la richiesta di intercedere per il trasferimento della signora ai domiciliari. Di ciò «ca ‘un si dici» don Salvatore aveva una gerla cospicua, tra le più fornite dell’epoca di Tangentopoli. Tanto che, ottenuta la liberazione dopo lo scandalo craxiano per l’appalto della Metropolitana milanese, fu arrestato di nuovo nel 1993 per l’affare Eni-Sai avendo distribuito mazzette per 17 miliardi di lire, gran parte dei quali destinati a Bettino Craxi, condannato poi in Cassazione a 5 anni e sei mesi nel1996. The family Giulia Maria, aspetto esile, sofferente di anoressia secondo quanto comunicato ai magistrati e al ministro Cancellieri, non ha proprio il carattere roccioso dei siculi che hanno fatto il bello e il cattivo tempo per mezzo secolo a Milano: da Michelangelo Virgillito a Raffaele Ursini, da Michele Sindona al papà don Salvatore e a Enrico Cuccia. Ma l’eloquio rivelato dalle intercettazioni mostra un’indole battagliera, come quella della sorella cavallerizza Jonella. Meno nota alle cronache la cifra caratteriale del fratello Paolo, latitante da mesi. Fatto sta che, sfangata Mani pulite, non potendo più ricoprire cariche ufficiali per le condanne subite, don Salvatore divide i posti di comando delgruppo tra la figliolanza. Ma continua a comandare lui e torna a comportarsi come un intoccabile. Enrico Cuccia, che lo coccolò per anni perché convincesse l’amico Craxi (anche lui vantava antenati siculi) alla privatizzazione di Mediobanca, non c’è più. Ma l’Italia ha la memoria corta e il capitalismo di relazione, che molti ottimisti vogliono oggi verso la fine per consunzione, perdona facilmente gli impulsi delinquenziali dei suoi accoliti. Soprattutto se sono quelli di don Salvatore soprannominato «Mister 5 per cento» perché fino agli ultimi eventi che hanno colpito la dinastia si trovava a controllare partecipazioni in Mediobanca, Pirelli, Gemina, Rcs, Generali. Il cuore del capitalismo familistico delle scatole cinesi e dei conflitti d’interesse. E in più era intimo di Berlusconi, fin dai tempi in cui Silvio era un palazzinaro arrembante che con lui partecipò all’acquisto della televisione Gbr, curato dall’attuale ex ministro berlusconiano Paolo Romani, da recare in dono all’amante di Craxi Anja Pieroni. Progenie famelica L’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel è indagato perché avrebbe apposto una firma (dice solo «per visione») al “papello” recatogli da Jonella Ligresti con le condizioni per approvare il passaggio del gruppo Fonsai a Unipol. Richieste fantasmagoriche. Quarantacinque milioni per il 30 per cento di Premafin, emolumenti personali a Salvatore e alla progenie: 700 mila euro a testa per 5 anni, per un totale di 14 milioni; buonuscita per la carica a Jonella; buonuscita a Giulia, più consulenza in Compagnie Monegasque; buonuscita a Paolo fuggiasco. Contratto «all’ing.», cioè don Salvatore, con Hines, la società del costruttore Manfredi Catella. Poi i benefit accessori: uso gratuito degli uffici di Milano, con segreterie, autisti, foresterie di Milano e Roma, auto attualmente utilizzate: Mercedes, Bmw e Audi. E per le vacanze? Uso gratuito degli appartamenti al Tanka Village, e uso della cascina di Milano. Pare che nel “papello” non figurassero i jet Falcon sui quali le sorelle viaggiavano, ma non insieme neanche per lo stesso viaggio. Ma se un banchiere come Nagel avesse accettato queste condizioni, sarebbe da rinchiudere, pur non essendo certamente ignaro dell’avidità della figliolanza, che si è rivelata famelica non meno del capostipite e che per anni lo ha aiutato nel saccheggio a spese degli azionisti, con la complicità di banchieri, industriali, politici e autorità di controllo. Difficile dire quanto ha depredato la Famiglia dalle società controllate, come se prelevasse da un Bancomat. Per i cavalli di Jonella, per la sua laurea honoris causa all’Università diTorino, sponsor il professor Sergio Bortolani, direttore della Scuola di Management ed Economia e nientemeno che consigliere della Banca d’Italia. Giulia, che in prigione rifiutava di mangiare, faceva la stilista a spese della Fondiaria-Sai ed è la bella dipapà, tanto che «Novella 2000», testata della Rizzoli di cui i Ligrestos erano azionisti, la ha impalmata reginetta di bellezza tra le top manager, sulla base del giudizio di una giuria di 20 banchieri e giornalisti economici (i nomi, please). La progenie della ministra Anna Maria Cancellieri è una donna simpatica e forse anche una brava funzionaria dello Stato. Ma non si può fare a meno di chiedersi: come può un prefetto diventato persino ministro intrattenere rapporti così intimi con un pluricondannato e con la sua famiglia? Dice di essere tanto amica della compagna di don Salvatore, che le ha chiesto l’intervento per Giulia. Ma l’ammissione è quantomeno riduttiva. Correva infatti il 1987, quando nella Milano craxiana “da bere” la giovane viceprefetto Anna Maria Peluso, che faceva le pierre in Prefettura, mostrava intimità con Antonino Ligresti, fratello di don Salvatore e proprietario di cliniche. Il giornalista Federico Bianchessi ha raccontato come la giovane signora fosse presente nella clinica Città di Milano a una sua intervista con il povoritente clinicaro. Ciò che fa ritenere forse successiva l’amicizia con la compagna di don Salvatore, Gabriella Fragni. La quale, peraltro, inconsapevole forse della gravità di quella telefonata partita dal ministero di Grazia e Giustizia subito dopo l’arresto della Family meno uno, insulta persino l’amica ministro. «Ieri ho avuto una telefonata che poi ti dirò», racconta alla figlia. «Gli ho detto: ma non ti vergogni di farti vedere adesso? Ma che tu sei lì perché ti ci ha messo questa persona». Quale persona? La Ligresti Family in disarmo, sei mesi fa era ancora in grado di fare ministri, come ai tempi di Craxi e di Berlusconi? O l’aiuto ricevuto da Anna Maria è di altra natura? Certo, la carriera di Piergiorgio Peluso, figlio dell’ex viceprefetto Anna Maria Peluso diventata ministro, è folgorante e i suoi redditi da favola. Un bravo manager? No, «un idiota», secondo Giulia Maria, intercettata al telefono con un amico. Se Piergiorgio è davvero un idiota non si capisce la sua carriera fulminea se non con l’appartenenza al cerchio di potere della mamma, un cerchio dove conta soprattutto il «capitale relazionale» in una società ormai divisa in network di potere, dove la competenza è un surplus. Ma Giulia è una donna avvelenata e sull’affermazione secondo cui Piergiorgio in Fonsai « in un anno ha distrutto tutto» va necessariamente presa con le molle. Quarantacinque anni, dopo la laurea alla Bocconi Piergiorgio lavoròin Mediobanca, poi in Credit Suisse e in Capitalia ai tempi di Cesare Geronzi, dove trattava i rapporti con il gruppo Ligresti. E’ lì che approdanel 2011.Indicato da Mediobanca o dai Ligresti stessi? Fatto sta che appena arrivato sulla tolda di direttore generale non può fare a meno di rilevare che la Fonsai ha gravi problemi di solvibilità. Resta poco più di un anno e se ne va con una buonuscita di 3,6 milioni o di 5, secondo quanto dice al telefono Giulia Maria, calcolando forse anche 14 mesi di stipendio. Un bel gruzzolo che lo accompagna subito nella carica di direttore finanziario di Telecom. Oligarchie di potere Chi ha detto che oggi è difficile trovare lavoro? Forse sì per i comuni mortali, ma non per chi fa parte di una oligarchia che si è di fatto eletta in classe separata rispetto alla cosiddetta società civile. Don Totò ha avuto bisogno di tutti e tutti hanno avuto bisogno di lui: politici, imprenditori, prefetti, banchieri: chi può dire di non aver avuto facato da lui? A parte il noto clan ex fascista dei La Russa, il cui capostipite Antonino gli presentò Enrico Cuccia che poi lo favorì (ricambiato) per una vita, per avere un piccolo test basta scorrere il citofonodel suo palazzo romano di via Tre Madonne, dove ha abitato o abita un plotone impareggiabile di potenti: dal vicepremier Angelino Alfano al presidente dei deputati berlusconiani Renato Brunetta; da ItaloBocchino, ex vice di Fini, all’amministratore delegato della Consap Mauro Masi, fino a Marco Cardia (figlio dell’ex presidente Consob) e a Chiara e Benedetta Geronzi. L’immobile è bello, ma non invidiamo gli inquilini. Sembra il palazzo diDevil’s advocate, dove l’avvocato Milton-Al Pacino conduceva all’inferno i suoi adepti. Alberto Statera, la Repubblica, 2 novembre 2013 Il cancellierato In un paese normale il ministro della Giustizia non parla con i parenti di un’amica arrestata per gravi reati, rassicurandoli con frasi del tipo: “Qualsiasi cosa io possa fare, conta su di me”. Né tantomeno chiama i vicedirettori del Dipartimento Amministrazione penitenziaria per raccomandare le sorti dell’amica detenuta. Ma, se lo fa e viene scoperto da un’intercettazione telefonica (sulle utenze dei familiari della carcerata), si dimette un minuto dopo. E, se non lo fa, viene dimissionato su due piedi, un istante dopo la notizia, dal suo presidente del Consiglio. Siccome però siamo in Italia, il premier tace, il Quirinale pure. Come se fosse tutto normale. Una telefonata allunga la vita, diceva un famoso spot: qui invece accorcia la galera, o almeno ci prova. Nel paese del sovraffollamento carcerario permanente, Anna Maria Cancellieri, prefetto della Repubblica in pensione, dunque “donna delle istituzioni” che molti in aprile volevano addirittura capo dello Stato, ha pensato bene di risolverlo facendo scarcerare un detenuto su 67 mila: uno a caso, una sua amica. Poi ha dichiarato bel bella ai magistrati torinesi che la interrogavano come testimone su quelle telefonate: “Si è trattato di un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione. Essendo io una buona amica della Fragni (Gabriella Fragni, compagna di Salvatore Ligresti, padre dell’arrestata Giulia, ndr) da parecchi anni, ho ritenuto, in concomitanza degli arresti, di farle una telefonata di solidarietà sotto l’aspetto umano”. E ha raccontato una bugia sotto giuramento, perché il suo non è stato solo “un intervento umanitario”, tantomeno “doveroso”, né una “telefonata di solidarietà”. È stata un’interferenza bella e buona nel normale iter della detenzione dell’amica di famiglia. Anche perché, dopo quella telefonata, ne sono seguite altre ai vicedirettori del Dap, Francesco Cascini e Luigi Pagano. Che, a quanto ci risulta, hanno – essi sì, doverosamente – respinto le pressioni, spiegando all’incauta Guardasigilli che la detenzione di un arrestato compete in esclusiva ai giudici, non ai politici. Anche su questo punto la Cancellieri ha raccontato una bugia ai pm: “Ho sensibilizzato i due vicecapi del Dap perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati”. Salvo poi dover ammettere che li aveva sensibilizzati su un unico carcerato: l’amica Giulia. La figlia di don Salvatore Ligresti soffriva di anoressia e rifiutava il cibo in cella, ma non è la sola malata fra i 67 mila ospiti delle patrie galere. Per questi casi esistono le leggi e i regolamenti, oltre al personale penitenziario specializzato che di solito, nonostante l’eterna emergenza, segue con professionalità le situazioni a rischio. Così come effettivamente stava avvenendo, anche da parte dei magistrati torinesi. Senza bisogno delle raccomandazioni del ministro. La Procura aveva subito disposto un accertamento medico e in seguito aveva dato parere favorevole alla scarcerazione, respinta però in un primo tempo dal gip, che aveva scarcerato la donna soltanto dopo il patteggiamento. L’iter giudiziario, dunque, non è stato influenzato dalle pressioni della ministra: ma non perché la ministra non le abbia tentate, bensì perché i vicecapi del Dap le hanno stoppate. Eppure la Cancellieri avrebbe dovuto astenersi anche dal pronunciare il nome “Ligresti”, specie dopo la retata che portò in carcere l’intera dinastia, visti i rapporti non solo familiari, ma anche d’affari che suo figlio Piergiorgio Peluso intrattiene con don Salvatore e il suo gruppo decotto. Peluso è stato prima responsabile del Corporate & Investment banking di Unicredit, trattando l’esposizione debitoria del gruppo Ligresti verso la banca; poi divenne direttore generale di Fondiaria Sai (gruppo Ligresti) dal 2011 al 2012; e quando passò a Telecom, dopo un solo anno di lavoro, incassò da Ligresti una buonuscita di 3,6 milioni di euro. Un conflitto d’interessi bifamiliare che avrebbe dovuto sconsigliare al ministro di occuparsi della Dynasty siculo-milanese. Non è stato così, e ora la ministra (della Giustizia!) deve pagare per le conseguenze dei suoi atti. Se restasse al suo posto, confermerebbe ancora una volta il principio malato della giustizia ad personam per i ricchi e i potenti, già purtroppo consolidato da vent’anni di casi Berlusconi, e anche dallo scandalo Mancino-Napolitano. Ma a quel punto tutti e 67 mila i detenuti potrebbero a buon diritto farla chiamare da un parente qualunque perché s’interessi dei loro 67 mila casi personali: 67 mila “conta su di me”. Se una telefonata accorcia la galera, che almeno valga per tutti. Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano |
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