-Il neosindaco? Non ci fa paura. Lo invitiamo a venire nel campo ma senza ruspe e polizia-
 







di Stefano Milani




campi nomadi

«Ma è vero che è un fascista? E’ vero che ce l’ha con gli stranieri? Me lo ha detto un mio amico italiano». Mirceu è tra l’allarmato e il curioso. Vuole saperne di più sul nuovo sindaco di Roma. Per lui, rumeno di 27 anni, giunto nella Capitale nel 1998 in piena giunta di centrosinistra, questa della destra al governo del Campidoglio è una vera novità. «Io sono arrivato da Timisoara quando qui c’era Rutelli. Speravo ritornasse, mi sembrava uno bravo, uno disposto al dialogo». Ed invece ora c’è Alemanno uno che alla parola dialogo preferisce il pugno di ferro, specialmente se si parla della «questione nomade». Appena indossata la fascia tricolore il neosindaco di An ha subito ribadito le sue promesse fatte durante la campagna elettorale: smantellare 85 campi nomadi abusivi ed espellere 20.000 clandestini. «Ma io mica sono clandestino, sono rumeno», dice con orgoglio Mirceau. Ma questo non lo fa stare per nulla tranquillo. In dieci anni ha cambiato oltre quaranta campi sparsi per la città. Lavora alla giornata, tra un cantiere edile e un’azienda di trasporti. Rigorosamente in nero.
A Roma sta bene, «ormai è la mia città, mi sento romano al cento per cento», dice nonostante viva accampato in venti metri quadrati con padre, madre e quattro fratelli in una baraccopoli abusiva a via Flaminia, all’altezza del bivio con via di Grottarossa. Chiamarlo «campo» è eccessivo. In tutto una decina di abitazioni in lamiera arrugginita circondate da sporcizia e fanghiglia. Abita qui da un anno, ma «a giorni alterni». Perché «ogni tanto arrivano i vigili o la polizia e siamo costretti ad andar via per qualche giorno». Una, due settimane al massimo poi sono di nuovo lì. «Tanto abbiamo altri posti dove andare a nasconderci». Entra un attimo nella sua baracca ed esce con una mappa dettagliatissima. «Vedi - dice - Roma è talmente grande che anche se ci cacciano da qui un altro posto lo troviamo. Questo, ad esempio, è un posto perfetto per vivere». Col dito indica la
zona est della Capitale, piena di verde e neanche così lontana dalla metropolitana. «Se Alemanno ci manda le ruspe abbiamo già deciso, andremo a stare lì».
Una zona già «calda». Da quelle parti, infatti, sorge il più antico, nonché il più grande, campo nomade della Capitale - un insediamento in cui si susseguono, da più di 40 anni, generazioni di famiglie rom - e tra i più popolosi d’Italia, quello di Casilino 900 a pochi metri dall’incrocio tra via Casilina e viale Palmiro Togliatti. Da queste parti tutti sanno dell’elezione di Alemanno e delle sue bellicose intenzioni, ma nessuno sembra preoccuparsene più di tanto. «Non è che con Veltroni stavamo meglio. Dopo l’omicidio della signora Reggiani la vita per noi è diventata molto più dura. Pure la gente nei nostri confronti è più aggressiva e ci tratta male», ci racconta un rom montenegrino. Del resto anche Rutelli aveva detto chiaro e tondo che, in caso fosse ridiventato sindaco, avrebbe sgomberato il campo.
Qui per ora aspettano,
vivendo ogni giorno come fosse l’ultimo all’interno dell’accampamento. E si organizzano, c’è perfino chi fa da vedetta, e al primo bagliore di una sirena è pronto a lanciare l’allarme. Sono in molti a ripetere: «Alemanno non ci fa paura, conosciamo lui e la sua gente. Spesso è capitato che di notte è entrato qualche gruppetto di teste rasate con mazze e bastoni a spaventarci, ma noi ci sappiamo difendere». E anche qui l’alternativa ad uno sfratto non manca: «Roma è talmente grande che un posto, stai sicuro, lo troviamo».
Ma c’è anche chi spera nel lieto fine, in una «convivenza pacifica» come la definisce Anna, una rom bosniaca di appena 16 anni che invita il nuovo sindaco a far visita nella sua baracca e aprire un confronto con l’intera comunità, «senza però portarsi dietro le ruspe e la polizia». Ad Alemanno accettare o meno l’invito.de Il manifesto