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La crisi del Partito Democratico, diviso tra la storica anima ex comunista e post comunista è anche la crisi del progetto tecnocratico ideato e voluto da Romano Prodi e dagli intellettuali riuniti nel cenacolo delle edizioni del Mulino di Bologna. Quello di andare al di là del semplice modello del sistema bipartitico nel quale una forza progressista ed una conservatore, cristiana e liberale si alternano al potere. L’ex consulente di Goldman Sachs aveva voluto fare qualche cosa di più e fare entrare nello stesso calderone sia la tradizione socialista e socialdemocratica, interpretata , anzi occupata dopo la liquidazione coatta del vecchio Psi, purtroppo per l’Italia dal Pci-Pds-Ds, sia quella cattolica, interpretata da tutto quel variegato mondo composto da cattolici di sinistra e tecnocrati legati più o meno strettamente al mondo delle banche. Sia in ultimo la tradizione liberale. Era un progetto troppo ambizioso per poter funzionare, perché tendente ad occupare tutti gli spazi del mercato politico. Un progetto teso a scimmiottare più la tradizione Usa dei democratici e dei repubblicani che quella europea delle socialdemocrazie e delle forze cristiano-liberali o conservatrici. Un progetto che sta franando su se stesso per la inevitabile propensione degli elettori italiani a stabilizzarsi su posizione moderate, che è più una collocazione ideale che una geografica di stampo centrista. La prima vera occasione di scontro si è avuta con le primarie del PD che hanno visto prevalere l’ex comunista Bersani sull’ex democristiano Renzi e che si sta rinnovando ora nello scontro tra Renzi e l’ex comunista Cuperlo. Una lotta che si sta svolgendo tra accuse reciproche di truffe e brogli sui tesseramenti e che vede prevalere Renzi con il quale si sta spostando la maggioranza della nomenklatura del partito. Una lotta nella quale il sindaco di Firenze appare favorito perché la sua figura appare quella più in grado di attrarre i voti degli elettori del centrodestra, orfani e delusi di un Berlusconi giunto ormai al passo d’addio, vuoi per motivi anagrafici, vuoi per motivi giudiziari. Da tempo si parla della volontà di buona parte dell’apparato del PD di abbandonare il partito, in caso del successo di Renzi per dare vita ad un nuovo partito di ispirazione socialdemocratica. Una questione sulla quale ha detto la sua anche l’attuale segretario pro tempore, Guglielmo Epifani, quando ha manifestato la volontà di chiedere l’adesione del PD all’Internazionale Socialista. Non l’avesse mai detto! Immediata c’è stata la sdegnata levata di scudi dei cattolico-liberali del PD che vedono questa svolta come il fumo negli occhi. Ma uno come Epifani, peraltro un ex socialista, cosa avrebbe dovuto fare e dire? Tutto il mercato politico italiano resta comunque in fibrillazione e i cattolici o ex democristiani del centrodestra e del centrosinistra si stanno agitando, pregustando lo spazio enorme che si sta aprendo con la uscita di scena del Cavaliere di Arcore. Una svolta quella di Epifani, evidentemente ispirato dall’apparato che fa capo a D’Alema, che non è piaciuta nemmeno ad un Romano Prodi che ha annunciato che non andrà nemmeno a votare alle primarie del partito. Un de profundis per il progetto che lui stesso aveva lanciato ma che ex comunisti ed ex democristiani di sinistra sopravvissuti a Tangentopoli hanno entusiasticamente cavalcato, sognando di sposare il modello amerikano e di occupare eternamente il potere. Un sogno e una illusione chela discesa in campo di Berlusconi ha più volte vanificato e fatto apparire in tutto il suo velleitarismo. Un progetto che al contrario ha fatto emergere tutta la miseria politica, umana e morale dei dirigenti e dei militanti del PD che hanno accettato di buttare al macero la vera tradizione socialista, quella di Turati, Nenni e Craxi, e al contrario fare proprie anche le posizioni più vergognosamente liberiste e tecnocratiche, non a caso il PD è il partito delle banche, pur di essere legittimarti a governare davanti agli occhi dell’Alta Finanza internazionale. Se il PD ha le sue colpe, il maggiore responsabile di questa deriva resta in ogni caso Prodi che invece di continuare a fare il professore universitario a Bologna, si prese così sul serio da vaneggiare la nascita di un Ulivo mondiale, sulla scia dell’Ulivo italiano, che riunisse tutti i progressisti. Come se poi progressisti e conservatori, destra e sinistra, fossero termini dotati ancora di un significato preciso. Ormai tutti i partiti italiani si sono appiattiti sugli interessi della tecnocrazia e il PD, come peraltro il PdL, è in attesa di vedere certificata la propria morte. Giuliano Augusto |
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