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Il mandolino “Annamaria”, evoluzione della specie |
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Rosario Ruggiero
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Prezioso lavoro sinergico quello dei compositori, dei musicisti esecutori e dei costruttori di strumenti musicali, ha portato via via al perfezionamento, quanto non addirittura alla più vistosa trasformazione, gli strumenti musicali, fino a giungere a quelli attualmente in uso. Così da antichi archetipi il moderno flauto traverso o il violino, ma pure il pianoforte, che ha poi visto nel tempo irrobustire il telaio, le corde, la meccanica, aggiungere il terzo pedale, aumentare il numero dei suoni possibili, sicché, dall’esemplare primigenio ad un attuale modello “gran coda” da concerto c’è una differenza abissale. Non da meno è valso per il mandolino, strumento di antiche origini e derivazione. Il 31 gennaio 1912 il brevetto ultimo ad opera di Raffaele Calace, costruttore, compositore ed interprete di tale valentia da essere definito “il Paganini del mandolino”, che sancisce definitivamente le caratteristiche del modello detto “napoletano”, con ogni probabilità il più diffuso ed usato, quello, insomma, per antonomasia. Oggi, a distanza di un secolo, la sua ultima evoluzione. Artefice, Raffaele Calace junior, nipote del celebre omonimo predecessore e rappresentante della quinta generazione di liutai dell’illustre famiglia con la figlia Annamaria, evidentemente sesta generazione. E proprio “Annamaria” è il nome dato a questo nuovo, innovativo prodotto, dalle caratteristiche formidabili, nato, come ci spiega l’ideatore, per ottemperare alle istanze acustiche delle odierne grandi sale da concerto e per la massima espansione delle possibilità espressive dello strumento, specialmente solistiche. Non dimentichiamo che il mandolino può vantare una specifica letteratura musicale ampia ed autorevole, includendo le attenzioni artistiche di maestri come Vivaldi, Beethoven, Mozart, Verdi e tanti altri ancora. «Tra i primi problemi di un mandolino – ci dice Raffaele Calace – è la stabilità della struttura. La tavola armonica, quella per intenderci, munita di foro e collocata immediatamente sotto le corde, dopo circa dieci o quindici anni, tende a curvarsi in virtù della considerevole trazione, all’incirca cinquanta chilogrammi, esercitata incessantemente dalle corde ben tese, compromettendo così la sua funzionalità. Da qui l’idea di dividere quel foro in due metà e porle in maggiore prossimità del manico, sì da avere i molteplici vantaggi di irrobustire la struttura dello strumento la cui affidabilità diviene così più duratura, ma pure poter sortire un maggior numero di suoni armonici gravi sì da ottenere un timbro più dolce, corposo, nonché suoni più persistenti e dal volume decisamente più ampio». Quanto è durata la gestazione di questo modello? «Dall’idea alla realizzazione ultima, circa dieci anni». Costo di un esemplare? «Quasi tremila euro». Approvazioni? «Commerciali tantissime, specialmente da Corea e Giappone, i più attenti mercati e le civiltà attualmente più sensibili a questo strumento. Non minori i riconoscimenti tecnici. Definito da una rivista specializzata “il mandolino del terzo millennio”, l’indiscusso virtuoso Ugo Orlandi ne ha voluto un esemplare e, similmente costruiti, anche una mandola ed un mandoloncello, dichiarando essere il modello “Annamaria” forse non il mandolino filologicamente più idoneo per la musica barocca, ma tale che, suonando insieme ad un pianoforte o con l’orchestra, musiche specialmente più moderne, ha sicuramente una marcia in più. In virtù di tutto ciò ho già anche realizzato, con gli stessi criteri e gli stessi felici esiti sonori, tre diverse chitarre, una “acustica” e due “classiche”, da sottoporre all’attenzione di strumentisti ed appassionati». |
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