|
|
Letta: “L’abolizione del finanziamento ai partiti è legge”,ma non per le loro scuole: la detrazione è al 75%
|
|
|
|
|
|
|
|
|
“L‘abolizione del finanziamento pubblico ai partiti è legge”. Il colpo di scena lo annuncia Enrico Letta su Twitter, con un messaggio alle 9.08. I parlamentari del Movimento 5 Stelle sono gli unici ad aver rinunciato. Il neo segretario del Partito democratico Matteo Renzi lo avrebbe voluto inserire nel mini programma di tre riforme (tra cui legge elettorale con sistema maggioritario, titolo V della Costituzione e abolizione del Senato) da presentare domenica all’assemblea nazionale del Pd. Le larghe intese, invece, erano state accusate di perder tempo. Ma Letta ha voluto essere più veloce del nuovo concorrente interno al Pd: “Era una priorità”, ha spiegato, “agire entro l’anno per evitare ulteriori rinvii. Avevo promesso ad aprile che saremmo intervenuti entro l’anno. L’ho confermato mercoledì. Ora manteniamo la promessa“. Il governo canta vittoria su uno dei punti più discussi degli ultimi mesi. Ribatte poco dopo, sempre su Twitter, il ministro delle Riforme Gaetano Quagliarello: “E una è andata: abolito finanziamento pubblico dei partiti. Ora avanti con la riduzione del numero dei parlamentari ecco i fatti”. Festeggia anche Angelino Alfano che, sempre sul social network, scrive: “Appena abolito per decreto. Impegno mantenuto”. Pochi festeggiamenti per Beppe Grillo che, sui social network dice: “Basta con le chiacchiere Enrico Letta. Restituisci ora 45 milioni di euro di rimborsi elettorali del Pd a iniziare da quelli di luglio”. Il riferimento è all’ultima tornata di rimborsi. Tra le ipotesi infatti, c’è anche che il decreto, se in vigore da gennaio 2014, sia effettivo a partire soltanto del 2015. Sembrava il provvedimento destinato a non arrivare mai, tra continui ritardi e prese di posizione. E’ bastato l’arrivo di Matteo Renzi e le promesse di rinuncia ai finanziamenti ai partiti con un atteggiamento più da candidato premier che da neo segretario del Partito democratico a convincere Letta di dover fare in fretta. Una decisione che ha lasciato a bocca aperta i renziani e ha fatto festeggiare l’apparato: “Dice il saggio”, ha scritto su twitter il tesoriere uscente del Pd, Antonio Misiani, “chi vuole sorprendere con le sorpresine rimane sorpreso da una sorpresona…”. Ma le sorprese rischiano di essere per il partito prima di tutto: in discussione ci sono 200 dipendenti e di questi 157 sono direttamente a carico della struttura per un costo di 10 milioni di euro totali. Senza dimenticare la sede del Nazareno (600mila euro), il quotidiano Europa e Youdem tv. Un mezzo colpo di scena, anche se per accelerare i tempi è stato necessario agire ancora una volta per decreto del governo. Una possibilità che Letta aveva già minacciato l’estate scorsa: “Se il Parlamento non trova un accordo, procederemo con la decretazione d’urgenza”. Per quanto riguarda l’abolizione del finanziamento pubblico, infatti, una legge c’era già: approvata da una parte del Parlamento (la Camera), vegetava al Senato in commissione Affari Costituzionali. L’intervento dell’esecutivo è possibile, riprendendo la legge già approvata alla Camera è possibile, ma è da considerare come un ulteriore strappo nei confronti del Parlamento. E della Finocchiaro, che dopo essersi vista scippare la legge elettorale, ora dovrebbe piegare la testa anche a questo colpo di mano che, tra l’altro, coincide in maniera sin troppo palese con la vittoria di Matteo Renzi alle primarie per la segreteria del Partito democratico. La presentazione di un ddl, invece, appare solo un modo per allungare ulteriormente i tempi, visto che si dovrebbe ripartire dall’inizio. Tempi non rapidissimi, tuttavia, anche se si tratterà di decreto, che comunque non potrà essere approvato prima di fine febbraio. L’ultimo stop sembrava essere arrivato a novembre scorso, dopo che il procuratore del Lazio della Corte dei Conti, Raffaele De Dominicis, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale di tutte le leggi sul finanziamento pubblico emanate dal 1993 (anno del referendum abrogativo votato dal 90% degli italiani per cancellare la possibilità che la politica fosse finanziata dai contribuenti) a oggi. L’idea iniziale sembrava quella di aspettare l’opinione della Consulta in merito alle leggi precedenti. Nel cdm di oggi, all’ordine del giorno, tra l’altro, gli interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia“, per il contenimento delle tariffe elettriche, gas ed RC auto, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese. Non solo. Nel cdm c’è anche il disegno di legge per il “contenimento del consumo del suolo e il riuso del suolo edificato”. Il governo dovrebbe approvarlo, ma il ministro delle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo, tra i ministri proponenti del provvedimento, annuncia – a margine del Cdm – che “la discussione sarà lunga in quanto ci sono alcune criticità” in particolare ha detto sul “riuso del suolo edificato”. Detrazioni al 75% per la scuola, ma solo per quella dei partiti. Tra le pieghe del decreto che abolisce il finanziamento pubblico – approvato di corsa dal consiglio dei ministri così com’era passato alla Camera – c’è un contributo per “corsi di formazione politica”. Promossi e organizzati, manco a dirlo, dai partiti stessi. E’ il comma 3 dell’articolo 11 che disciplina le “detrazioni per erogazioni liberali”. In quattro righe il testo crea un veicolo di finanziamento che, nella migliore delle ipotesi, potrebbe resuscitare gloriose tradizioni come la scuola delle Frattocchie, nella peggiore potrebbe inaugurare la stagione di “un Cepu in ogni circolo”, con una classe di partito anche nel più remoto paesino d’Italia. E diventare, così, l’ennesimo espediente per una partita di giro sul finanziamento pubblico della politica. Cosa dice il decreto? Che a decorrere dal 2014 dall’imposizione sul reddito degli italiani è detraibile un importo pari al 75% delle spese sostenute per la partecipazione a scuole o corsi di formazione politica promossi e organizzati dai partiti. Come funziona? In pratica il partito organizza un corso di 1000 euro. Lo studente si iscrive e paga, tanto lo Stato gli restituirà tre quarti della cifra, grazie alla detrazione. Di gran lunga più generosa di quella concessa sull’Irpef per spese di istruzione comune – dal nido alla scuola superiore, dalle rette universitarie e fino ai master – che è fissata al 19% e non al 75%. Del resto anche quella per i soldi cash dati ai partiti è superiore: per le erogazioni in denaro, senza neppure la formazione, l’aliquota è fissata al 26%. Ma attenzione, la detrazione per i corsi non potrà superare il limite di 750 euro per ciascuna annualità a persona. Un paletto inserito nella legge per sbarrare la strada a quanti volessero alzare l’asticella del rimborso e gonfiare il costo dei corsi. E tuttavia quella soglia potrebbe spingere i partiti in cattedra a puntare sulla quantità. E allora ecco la contromisura nell’articolo successivo che è scritto proprio per evitare il diffondersi di corsi tipo Cetto Laqualunque. L’articolo 4 chiarisce che la detrazione è subordinata al fatto che le scuole o i corsi di formazione politica siano appositamente previsti in un “piano per la formazione politica” che deve essere presentato da ciascun partito entro il 31 gennaio di ogni anno all’apposita “Commissione di garanzia” per il controllo della trasparenza e dei rendiconti. Mica roba complicata, per carità: il partito dovrà limitarsi a indicare “i temi principali, i destinatari e le modalità di svolgimento, anche con riferimento all’articolazione delle attività sul territorio nazionale, nonché i costi preventivati”. La Commissione, che ovviamente siede in Parlamento e la cui composizione sarà indicata dai partiti, entro 15 giorni esamina il programma e se non ci sono attività manifestamente estranee alle finalità di formazione politica, comunica il proprio nulla osta al partito interessato entro i quindici giorni successivi. Il partito, ottenuto l’ok, può procedere con l’organizzazione e le iscrizioni. Ancora da capire se i partiti, nei decreti attuativi, potranno poi incaricare le fondazioni politiche di riferimento (Italianieuropei, Magna Carta, Astrid, Democratica, Vedrò, Liberal…) che si fregiano di formare la nuova classe dirigente (ma raramente pubblicano i loro bilanci). E allora lì, coi soldi che girano, potrebbe essere davvero la grossa partita di giro. Cosa insegnerà il partito? L’offerta proposta finora, basta una rapida ricognizione in rete, non vola sempre altissimo. Proprio oggi, ma è un esempio tra tanti, il circolo del Pd di Imperia organizza un “corso per la raccolta differenziata”. Chissà se a gennaio potrà rientrare, magari con altra dicitura, nel piano di formazione del partito. “Formare per fare” è il titolo, forse un po’ generico, di un corso del Pdl di Marigliano, in provincia di Napoli. Sottotitolo: come diventare buoni amministratori. Tra i docenti il primo cittadino di Brusciano Giosy Romano. Sindaco sì, ma da soli tre mesi. Thomas Mackinson |lfatto- 13 dicembre 2013 |
|
|