Cronache dalla decadenza
 











Mentre il “leader dei democrats”, al secolo Matteo Renzi, compila la fitta agenda del futuro governo del Paese con “unioni civili” per coppie omosessuali, apertura completa alla tratta degli schiavi immigrati e altre amenità, mentre politicanti d’ogni risma si baloccano con lo studio di nuovi meccanismi elettorali che riescano in qualche modo a convogliare verso una blanda funzione amministrativa un consenso sempre più evanescente, mentre il parlamento, dimostrando scarso senso del ridicolo e del grottesco, vara l’ennesimo “decreto flussi” per permettere l’ingresso di altre migliaia di lavoratori stranieri, mentre i decreti attuativi e le circolari operative dell’ennesima strampalata manovra finanziaria elargiscono a destra e a manca milioni di euro per la “lotta al nazifascismo” (!) o per “consulenze” sulla “comunicazione”, mentre un’eurocrazia sempre più vampiresca ci commina ramanzine su ramanzine per la nostra scarsa propensione all’austerità o per la nostra testardaggine nel volerci ostinare a dare ai figli il cognome paterno, mentre una fitta schiera di banchieri, burocrati e politicanti di terza fila gozzovigliano sul nulla, una nazione – lentamente, inesorabilmente, quotidianamente – muore.
Non occorrono più i dati che oramai, quasi con disincanto, vengono regolarmente diffusi da tutte le associazioni dei produttori circa la chiusura delle attività commerciali e artigianali, né tantomeno i disarmanti resoconti sulla nostra produzione industriale: è sufficiente fare un giro nelle nostre città, nello scenario post-atomico delle serrande chiuse, dei quartieri dormitorio, delle effimere e meste luci dei centri commerciali.
Non sono più necessarie neanche le funeree statistiche sui reati violenti, sui suicidi, sulle centinaia e centinaia di disperati che allo spettro dell’indigenza preferiscono il cappio al collo, l’arma puntata sui propri figli, sulla propria famiglia, sui propri cari. Solo dieci anni or sono, la morte
di un nostro soldato in missione all’estero avrebbe conquistato la prima pagina di tutti i giornali: oggi non più, qualche riga di cronaca, è la triste routine delle guerre coloniali. Stessa ingrata sorte spetta ai suicidi per insolvenza, per disperazione, che non vengono più neanche contati: un operaio a Udine, un cassintegrato a Palermo, un imprenditore a Varese, un industriale a Imperia, un artigiano a Roma, solo negli ultimi pochi giorni.
Certo – pur se a fronte di un simile sfacelo -, aspettarsi delle prese di posizione positive e popolari, da parte di questa classe politicante infeudata ai banchieri, sarebbe come pretendere di fare andare l’acqua in salita. I fatti, le cronache di questi giorni, lo dimostrano; al massimo si sono spinti, in un raro scatto di orgoglio, a voler “rinegoziare” la punizione inflittaci dall’eurocrazia: “sforiamo il tetto del 3%”, dicono,  quel limite posto dal “Patto di stabilità” che ci impone un contenimento del deficit.
Nessuno, mai, che
ricordi che quel deficit, e quel debito pubblico, sono denari che semplicemente non esistono. Che sono solo scritture contabili, malsano frutto di interessi che ci vengono attribuiti per il denaro che ci viene prestato dalla Banca, e che non possiamo sovranamente emettere ed utilizzare per scambiarci i nostri beni, i nostri servizi, la nostra reale ricchezza. Che sono solo un arma di controllo politico.  
Nessuno, mai, che chieda più Stato, che chieda un piano di rilancio economico e industriale, che voglia affermare le capacità e le potenzialità, non ancora del tutto sopite, di una grande nazione. Nessuno, mai, che pronunci parole di Terra e di Popolo. Almeno per ora. Fabrizio Fiorini