Un aspirante musicista di oggi
 







Rosario Ruggiero




Che le trasformazioni del mondo avvengano con una velocità enormemente crescente è pacificamente sotto gli occhi di tutti. Mentre la vita di un uomo, nel Medioevo, scorreva con una uniformità oggi quasi inconcepibile, un individuo moderno, come il pianista Artur Rubinstein, con la sua lunga esistenza iniziata nel 1887, o forse 1886, e conclusasi nel 1982, vedeva l’avvento, o via via la prepotente affermazione, dell’aeroplano, dei voli spaziali fino all’arrivo dell’uomo sulla luna, del cinematografo, il telefono, la radio, l’automobile, la plastica, la luce elettrica, l’incisione e la riproduzione sonora fino al cd, la teoria della relatività, la scoperta del DNA, i più straordinari sviluppi della medicina ed una infinità di altre meraviglie, così come un odierno cinquantenne ha trascorso una adolescenza senza telefono cellulare, calcolatore elettronico domestico, Internet, televisione a colori con infiniti programmi e trasmissioni continue, notte e giorno, che lascia non poco stupiti e sconcertati gli attuali dodicenni.
Ma tanti progressi e trasformazioni non sono avvenuti solo in ambito strettamente tecnologico, anche il mondo della musica non ne è stato immune. Negli ultimi decenni abbiamo così assistito all’esplosione del jazz fino al suo ingresso nelle grandi sale da concerto e nei conservatori come materia di studio, della musica rock, pop, l’adozione di strumenti musicali elettronici, l’uso dei sintetizzatori, la musica dodecafonica, la musica concreta, una certa utilizzazione dell’arte dei suoni a fini pubblicitari, cinematografici e terapeutici; uno straordinario caleidoscopi di usi, sfaccettature, tendenze, modi, suggestioni e quanto più.
Come vivono, allora, oggi i giovani tutta questa musica? Cosa ne pensano? Come si destreggiano in questo proteiforme universo sonoro di orrori e bellezze, sperimentazioni, innovazioni e consuetudini? E come vivono le trasformazioni, specialmente in Italia, degli studi musicali più
specifici che dai conservatori di recente sono arrivati anche nella scuola dell’obbligo, nei neonati licei musicali per concludersi nei rinnovati conservatori come corsi di laurea?
Lo abbiamo chiesto a Guglielmo D’Aniello, esemplificazione vivente di un giovane di oggi e di un moderno studente di musica con ambizioni artistiche e professionali.
Ventidue anni, figlio di insegnanti, iscritto al corso di Pianoforte presso il conservatorio di musica “San Pietro a Majella” di Napoli. Dopo una scelta senza troppa convinzione rivolta agli studi di medicina, «sostanzialmente per la possibilità di opportunità di lavoro future relativamente facili ed economicamente tranquille» ci confessa, o eventualmente di psicologia, l’iscrizione alla facoltà di sociologia e, finalmente, l’affermazione della più autentica vocazione: la musica.
Già da piccolo si divertiva al pianoforte (i genitori sono pianisti). Per un anno studia chitarra. E come chitarrista oggi, agli studi canonici, affianca la
militanza in un gruppo, costituito da parenti ed amici, che esegue musica leggera, mentre, come pianista, è componente di una piccola formazione che propone canzoni classiche napoletane in una modalità particolare che prevede l’inserimento di noti passi tratti dalla migliore tradizione sinfonica e cameristica.
In tanta varietà di suoni, cosa ritieni essere profondamente la musica?
«Per me è musica qualsiasi espressione di pensiero e di sentimento che avvenga attraverso i suoni. Non amo le distinzioni. Facendone, per esempio, una, netta, tra musica leggera e musica colta si perdono le misure intermedie, come certa musica leggera, per finezza e dottrina compositiva, assai vicina alla musica colta e tanta musica classica, banale e di maniera, non poco affine alla musica di consumo. Nel complesso, analizzare puntualmente ciò che succede nel mondo dei suoni è quasi impossibile. I generi, la tecnologia in uso, la modalità di fruizione e quanto più compongono una
infinità di fattori e di stimoli anche assai diversi. Certo i più, è abbastanza palese, ascoltano musica alla buona. È un fenomeno storico, soprattutto italiano. La categoria dei dilettanti colti nel nostro paese è praticamente estinta. La tendenza all’annichilimento delle personalità, generata dall’imperante globalizzazione mondiale e dal consumismo, si riversa certamente anche nell’arte. Nella storia della musica c’è sempre stata la produzione popolare più semplice e non pochi magnifici musicisti se ne sono giovati offrendoci splendidi doni, come Chopin, Liszt, Brahms, Schubert o Bartok, ma oggi, e parlo specialmente della mia nazione, ciò è esasperato e si è perso di vista ciò che è la vera musica, e cioè, innanzitutto, sincera ricerca e preziosa individualità».
In ambito pedagogico?
«Ritengo che il conservatorio dovrebbe rinnovare la sua proposta didattica. Per quanto mi riguarda, infatti, la musica leggera mi ha agevolato e fatto crescere moltissimo. È
musica semplice, ma la musica semplice, la migliore come la peggiore, arricchisce sempre. E la musica leggera è, per eccellenza, semplificazione della semplificazione. L’armonia è quasi sempre elementare, il contrappunto, salvo momenti eccezionali, è inesistente, ma è musica che permette al musicista inesperto di avvicinarsi al mondo dei suoni con spontaneità e libertà, esercitandone l’elasticità mentale, la capacità di analisi, l’intraprendenza e la maggiore genuinità di espressione, con un approccio induttivo che parte dall’esperienza concreta per estrapolare regole e leggi a differenza degli attuali studi canonici tradizionali che operano in maniera inversa relegando lo studente in pastoie di precetti incontrovertibili e rispettose sottomissioni. L’attuale mondo musicale, quindi, può essere ben più proficuo di quello passato, proprio per la sua enorme varietà che offre, a condizione di saperla cogliere ed amministrare, altrimenti porta facilmente alla più infruttuosa dispersione, al più misero dilettantismo ed al più inane semplicismo. Ignorare la musica leggera penalizza il musicista classico. Questo vale per il compositore come per l’esecutore interprete. La musica leggera sicuramente si arricchisce della musica classica. È ora che avvenga anche il contrario. Tutto ciò sta soprattutto in un adeguamento della didattica accademica che sappia bene aprire gli occhi, e specialmente le orecchie, al mondo che la circonda».