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Nel 2010 via al ponte sullo stretto
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di Matteo Bartocci
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Per riavviare il cantiere del ponte sullo stretto di Messina basta una lettera. Quella che il neoministro delle Infrastrutture Altero «Attila» Matteoli ha spedito ieri alla società che dal 1981 prova a unire la Sicilia al continente con il più grande ponte del mondo. Matteoli ha ricordato a Pietro Ciucci (presidente della società «Stretto di Messina Spa» e dell’Anas col governo Prodi) che per il nuovo governo il ponte è sempre «prioritario» ed è dunque «necessario porre in essere nei tempi più brevi tutte le condizioni per la ripresa delle attività inerenti alla costruzione». In parole povere, Impregilo - la società che a marzo del 2006, pochi giorni prima del voto, ottenne l’appalto da «general contractor» in pool con aziende spagnole, danesi, giapponesi e la solita coop Cmc di Ravenna, la stessa del Dal Molin a Vicenza - deve essere messa in condizione di presentare il progetto definitivo. L’azienda di Ciucci quindi deve rivedere le carte della convenzione di concessione e aggiornare tempi e costi dopo i due anni di pausa del governo Prodi. Già a gennaio, promette Ciucci, Impregilo potrà iniziare a lavorare sul progetto definitivo e «a maggio 2010 si può prevedere la posa della prima pietra» per consentire l’inaugurazione all’inizio del 2016. Se può gioire col tormentone del ponte il centrodestra può ringraziare un uomo solo: il suo «grande oppositore» Antonio Di Pietro. Nell’ottobre del 2007 infatti l’Italia dei valori e l’allora ministro delle Infrastrutture votarono in aula in senato insieme alla Cdl contro la soppressione della società «Stretto di Messina» che era stata decisa in commissione da tutta l’Unione in coerenza col programma elettorale. Niente ponte, si diceva, niente società. Che invece è rimasta in sonno per tutto questo tempo e oggi può tornare al lavoro di sempre. «Abbiamo perso due anni - dice oggi Ciucci - ma a voler essere ottimisti il tempo sprecato ci ha consegnato un assetto più favorevole. Il controllo diretto da parte dell’Anas della Stretto di Messina, due anni fa in seno a Fintecna, moltiplica le sinergie e garantisce un maggior supporto tecnico alla realizzazione dell’opera». E’ tutto a posto, si può ripartire subito: «Non servono nuove gare, i contratti del 2006 sono tutti validi e sarà necessario solo un aggiornamento della convenzione con il ministero delle Infrastrutture». Fatti due conti, con i criteri laschi della «legge Obiettivo» voluta da Lunardi (che l’Unione non ha mai modificato) a metà 2010 si potrà così aprire un cantiere-monster: 8 milioni di metri cubi di terra da spostare per fare 3,3 km di ponte sorretto da due torri alte 390 metri, più dell’Empire state building. Il tutto per andare da Reggio a Messina in 3 minuti (fila ai caselli permettendo) con un costo minimo di 6 miliardi di euro (di cui 3,9 già affidati, sulla carta, a Impregilo). Col risveglio del ponte potrebbero ripartire anche le due inchieste che lo riguardano avviate nel 2005. Quella penale aperta dalla procura di Roma per falso ideologico nella valutazione di impatto ambientale e la messa in mora dell’Italia decisa dall’Unione europea per la mancata valutazione di incidenza ambientale nelle aree protette dove sorgeranno i piloni. Ma in tempi di vacche magre il vero anello debole è quello economico. Il progetto prevede che i pedaggi ripaghino il 60% dell’opera. Salassare gli automobilisti sarebbe autolesionistico e così, secondo Legambiente, il salatissimo conto sarà pagato soprattutto dalle Ferrovie dello stato, che dovranno prima spendere 15 miliardi di euro in binari e ammodernamenti vari per arrivare al ponte e poi 4 miliardi di euro in 30 anni per poterlo attraversare. Soldi che per ora proprio non ci sono. Il governo Prodi li aveva già dirottati sulla rete idrica e stradale in Sicilia e Calabria e anche ora, pare, Tremonti ha preferito utilizzarli per abolire l’Ici gettando nel panico l’Mpa di Raffaele Lombardo che del ponte è da sempre il più famelico alfiere. In pochi giorni il governo Berlusconi ha così aperto il fuoco contro tutto l’ambientalismo: prima il ritorno al nucleare, poi il ponte sullo Stretto e domani, forse, la Tav. «La partita è solo all’inizio, il ponte non si farà mai - promette Edoardo Zanchini, responsabile nazionale trasporti di Legambiente - per risolvere la mobilità al Sud e verso la Sicilia tutti gli studi dicono che bisogna puntare sul cabotaggio via mare per le merci, sui trasporti aerei e sui treni ordinari per i passeggeri».de Il Manifesto |
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