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Renzi tra promesse, tagli e tasse
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La fiducia arriverà tra oggi (Senato) e domani (Camera) e non c’è da attendersi sorprese: i numeri ci sono. Ma Renzi-piè veloce non ha tempo da perdere ed è già al lavoro. Ha fatto molte promesse, in questi giorni, a partire dal suo breve discorso dopo aver ricevuto giurato al Quirinale: «Farò una riforma al mese», ha più o meno detto. Dove dentro c’è: lotta alla burocrazia, riforma del lavoro, taglio del cuneo fiscale, rilancio dell’economia e dell’occupazione, riforma elettorale, riforma della Costituzione, rivoluzione digitale e magari anche far tornare le stagioni come erano una volta. Peccato che per fare molte di queste belle cose servono soldi. Tanti. Che non ci sono. Atteso che patrimoniali non se ne faranno (Delrio) e che non verranno messe in discussione le politiche di bilancio imposte dall’Europa, non resta che «abbattere» la spesa pubblica e/o mettere nuove tasse. Il primo capitolo è già avanti, grazie al lavoro fatto dal commissario nominato da Letta, Cottarelli, e perfettamente in linea con le aspettative dei mercati finanziari e dei centri economici europei e internazionali: si scrive spending review (dovrebbe servire a tagliare gli sprechi e le spese inutili e far funzionare meglio la macchina pubblica), ma si legge progressiva riduzione della presenza dello stato in economia e nel welfare (infatti, per esempio, si tagliano i posti letto negli ospedali, non certo gli esorbitanti stipendi dei manager pubblici o degli alti funzionari dello stato) a tutto vantaggio del privato (assicurazioni, fondi pensione, banche). Basta vedere come le politiche di rigore imposte dalla troika europea hanno ridotto la sanità in Grecia. A ciò si aggiungono le privatizzazioni (Poste, Eni ecc), già avviate dal governo Letta e che verranno portate a termine senza ripensamenti di sorta. Il secondo capitolo riguarda la tassa sui titoli di stato. Al di là delle smentite per non innervosire subito gli alleati del Ncd, l’idea viene comunque presa in considerazione. Si può alzare il prelievo di Bot, Btp ecc al 20% (dal 12,5 attuale) su risparmi oltre i centomila euro. Oppure si può portare al 22-23% tutto il sistema di tassazione delle rendite, quindi titoli di stato, azioni, fondi di investimento e quant’altro. Naturalmente lasciando al riparo i fondi pensione, anzi magari riducendo ulteriormente il prelievo, le cui cedole oggi vengono tassate alla fonte all’11,5% (ancor meno dei Bot): non si sa più cosa fare per incentivare i cittadini a sottoscrivere i fondi pensione, che, come si sa, non sono mai del tutto decollati i brutali tagli alle pensioni pubbliche. Il tutto, ovviamente, con la scusa di reperire le risorse (da sommarsi a quelle recuperate con la spending review) con le quali finanziare il calo delle tasse (Irap e Irpef). Si vedrà. Comunque, già si può dire che queste prime tracce di azione politica piacciono ai mercati, tanto che l’avvio del governo Renzi viene gratificato con i Btp che arrivano a rendere meno del 3,6%, come a gennaio 2006 quando la crisi dei debiti sovrani sembrava lontana anni luce, mentre lo spread, la differenza di rendimento con i Bund tedeschi, è in calo a quota 190 punti. Vento in poppa, insomma, per il segretario del Pd, il cui discorso programmatico è atteso in Senato intorno alle 14. Poi inizieranno le dichiarazioni di voto, cui seguirà la replica del presidente del consiglio. Il voto finale (palese) è previsto per la tarda serata di oggi. Replica domani alla Camera. Quando nel 1994 Silvio Berlusconi vinse le elezioni per la prima volta fu sollevato lo scandalo sul ruolo determinante che nel risultato elettorale aveva giocato il suo controllo su una parte rilevante del sistema della informazione. Questo scandalo non era solo sollevato da sinceri democratici, ma anche da quella parte del mondo dell’informazione controllata da chi era estraneo od ostile agli interessi di Berlusconi. Ora De Benedetti, Berlusconi, Squinzi, Caltagirone, John Elkann, i rappresentanti italiani di Murdoch, cioè tutti coloro che in Italia gestiscono il sistema dell’informazione, e mi scuso con chi ho dimenticato, sono sostenitori, simpatizzanti o disponibili verso Matteo Renzi. Il suo è il primo governo delle larghe intese radiotelevisive, visto che l’ente pubblico Rai è da sempre il puro registratore dei rapporti di potere e quindi sta con Renzi per vocazione naturale. Renzi è stato mediaticamente costruito ben più del padrone di Mediaset. Finora è stato solo un mediocre sindaco di Firenze, che non ha dato nessun particolare segno di innovazione: ha litigato con i tranvieri , ha lamentato le difficoltà a trovare i soldi per coprire le buche nelle strade, ha tagliato un pò di servizi accusando Roma, insomma ha fatto modestamente quello che fa la normalità dei sindaci, naturalmente godendo dello scenario di una delle città più belle del mondo. Cosa lo ha fatto diventare presidente del consiglio allora? Un gigantesco investimento mediatico sulla sua persona. Se penso a quello che devono fare coloro che perdono il lavoro per farsi ascoltare, salire sulle gru è il minimo, o al fatto che il congresso CGIL, dove sono in discussione questioni rilevantissime per il lavoro ed il paese, è emerso dalle nebbie mediatiche quando Landini è stato minacciato di provvedimenti disciplinari e qualcuno è stato aggredito in una normale assemblea. Se penso a come funziona davvero la selezione e la costruzione delle notizie e delle personalità pubbliche nel mondo di oggi, resto stupito della magnifica costruzione mediatica che ha portato al governo del paese lo sconosciuto Renzi. E ora la costruzione continua, il governo è un format. Tolto il ministro della economia che è il fiduciario delle banche e del Fondo monetario internazionale, lì non si scherza, e qualche figura chiamata per maquillage democratico, il format del governo è: i giovani al potere, finalmente. Peccato che questi giovani siano tutti pecore Dolly della politica. Ricordate quell’ovino clonato che i realtà si scoprì essere nato già biologicamente vecchio? Ecco, la gioventù al governo è tutta clonata dai precedenti gruppi dirigenti, lo stesso presidente del consiglio a me ricorda un pò Craxi e un po’ Forlani, con una spruzzata di Andreotti per il gusto delle battute ciniche. Essi devono rappresentare il nuovo nella più pura tradizione del Gattopardo: cambiare proprio tutto perché non cambi proprio nulla. Ma perché tutto questo? Perché i governi tecnici nella loro fredda brutalità distruggono consenso e questo è molto pericoloso per un sistema di potere che sa perfettamente che le politiche di austerità non sono una emergenza temporanea, ma il modo di funzionare che si vuole imporre all’economia e alla società per tutti i prossimi anni. Ci vuole più consenso e quindi bisogna inventare una narrazione che appassioni un poco, che illuda che alla fine usciremo dalla crisi. Renzi serve a questo, intanto passa un po’ di tempo poi si vedrà. Quando poi il personaggio comincerà a stancare se ne inventerà un altro con gli stessi mezzi, sono sicuro che i talent scout del palazzo sono già al lavoro nella selezione tra nuove sconosciute promesse. Oggi i signori dell’informazione sono al governo del paese, verrebbe da dirgli: governate allora! Ma sono sicuro che quando le cose cominceranno ad andare come al solito la grande informazione si scoprirà di governo e di lotta e contribuirà alla caduta di Renzi, come è accaduto agli inizialmente santificati Monti e Letta Questo almeno fino a che tutte e tutti coloro che son fuori dai palazzi non saranno in grado di organizzarsi e di scontrarsi con i poteri veri, per cambiare le cose sul serio. Giorgio Cremaschi |
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