L’Ue vede nero: nel 2014 l’Italia crescerà solo dello 0,6%
 











L’Ue vede nero e manda un avvertimento a Renzi: «Senza cambiamenti di politica» il saldo strutturale è destinato a peggiorare nel 2015. Che è un invito a fare di più, ma al tempo stesso vuol dire che Bruxelles non farà sconti: l’annunciata volontà del neo premier di trattare con l’Ue per ammorbidire il patto di stabilità si scontrerà con la situazione economica dell’Italia tutt’altro che rosea. Ed è una magra consolazione sapere che il rapporto deficit-Pil invece è dato in discesa: per il 2014 si prevede il 2,6%, quindi sotto il parametro del 3%. 
Il fatto è che noi andiamo controcorrente. Mentre infatti, i tecnici di Olli Rehn, responsabile Ue per l’Economia, alzano la stima per la crescita dell’Eurozona nel 2014 da 1,1 a 1,2 per cento, per l’Italia la riducono dello 0,1: da 0,7 a 0,6%. Con il che la previsione del governo Letta (1,1%), alla base della legge di stabilità approvata a dicembre, si dimostra per quel che è: aria fritta. perché
non c’è traccia di sviluppo economico, tanto meno di ripresa.
E’ con questa situazione che dovrà vedersela il nuovo governo e soprattutto il nuovo ministro dell’Economia. Un sentiero strettissimo che fa impallidire tutte le roboanti promesse che si sono udite in queste ore tra Senato e Camera dove il presidente del Consiglio ha presentato proposte (taglio del cuneo fiscale, pagamento dei debiti alle Pa, edilizia scolastica, reddito minimo ecc) che secondo alcune stime costerebbero qualcosa come 100 miliardi.
Secondo i dati europei, l’Italia cresce la metà di Eurolandia, come la Grecia e meno della Spagna (1%). Ma c’è di peggio. L’Ue prevede che la disoccupazione continuerà a salire (ovvio: senza crescita le imprese non solo non investono ma nemmeno assumono, con buona pace del jobs act e della cancellazione dell’articolo 18): la previsione è che la disoccupazione passerà da 12,04 a 12,6 (mentre quella dell’Ue cala da 12.1 a 12) con conseguenze facilmente immaginabili sul fronte
della domanda interna, già ai minimi storici (si veda il dato Istat sui consumi a picco).
Previsioni nere, quindi, a fronte di un 2013 che è andato male: il pil italiano ha segnato il -1,9 per cento contro la media Ue di -0,4 per cento. La gente non ha soldi e non compra (anzi, le retribuzioni sono date ancora in calo dello 0,4%, con inflazione allo 0,9%); le imprese non si muovono un po’ per l’incertezza generale, un po’ perché le banche non concedono prestiti. 
In tutto questo sfacelo, paradossalmente, i conti pubblici reggono (in fondo è solo questo che interessa e pazienza se la gente è sempre più povera). Il deficit si è fermato al 3 per cento del pil nel 2013, lo stesso livello del 2012. E’ vero che la spesa primaria è salita dell’1 per cento anno su anno e questo ha gonfiato la spesa per investimenti di circa mezzo punto di pil, ma «il governo ha beneficiato del calo dello spread», mentre «un aumento delle entrate dovrebbe controbilanciare l’aumento della spesa,
anche grazie alla tassazione aggiuntiva sul settore finanziario che ha bilanciato la riduzione dell’Imu». Perciò il deficit è dato al 2,6 per cento del pil nel 2014.
Notizia "positiva", controbilanciata però dal debito pubblico, che è al 133,7% del Pil. Una cifra mostre che non fa dormire sonni tranquilli ai tecnocrati di Bruxelles che prima di allentare i patti vogliono essere sicuri che il debito cominci un po’ a scendere e si aspettano forti tagli alla spesa. Strutturali, però, perché le una tantum non sono una garanzia sul lungo periodo. Di qui l’invito a «prendere provvedimenti». «Pier Carlo Padoan è autore di numerosi rapporti per aumentare la crescita dell’economia e sulle riforme strutturali - osserva Rehn - Sa che cosa deve essere fatto per ravvivare la crescita e ho fiducia che attuerà in Italia le stesse indicazioni (espresse quando era numero 2 dell’Ocse)».
Poche, se non nulle, buone notizie per chi, proprio in questi mesi, vuole trovare risorse per correggere il
disastro occupazionale. Ma a dare una mano a Renzi ci pensano i mercati finanziari, che evidentemente su di lui coltivano grandi speranze. Dopo lo spread che continua a mantenersi basso, è andata bene anche la prima asta di titoli di Stato col nuovo governo. Il Tesoro ha venduto tutti i 2,5 miliardi di euro di Ctz dicembre 2015 con tassi in calo sotto l’1% al minimo storico dello 0,822% dall’ 1,031% precedente.