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L’informazione che fa propaganda
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Lo dice la parola stessa, l’informazione dovrebbe informare, non disinformare. Si usa il condizionale perché le notizie che stanno girando nei mass media in questi giorni sul Venezuela e sull’Ucraina non sono veritiere. È una cattiva informazione, serva dei poteri forti, che fa “propaganda”. Si è visto di tutto. Infermiere morenti che twittano la loro morte e poi risorgono all’improvviso. Stupri, uccisioni e violenze di studenti mai avvenuti. Si è visto e sentito di tutto, tranne la verità. Sono state censurate le immagini dei manifestanti con le armi in mano, fucili e lanciafiamme,che bruciano le case con le persone ancora dentro, intonando i loro slogan sanguinari. E quelle che mostrano, in Ucraina, di poliziotti uccisi a sangue freddo, derubandoli dei loro pochi averi. In Venezuela e in Ucraina non sono in atto rivoluzioni popolari. Tutt’altro. Sono veri e propri tentativi di colpi di Stato. Il presidente venezuelano Nicolás Maduro e quello ucraino, Viktor Fëdorovyc Janukovyc, definiti dai media embedded due dittatori, sono stati eletti a larga maggioranza dai loro rispettivi popoli. Il mondo si è capovolto. Chi viene eletto democraticamente è un criminale. Chi attenta alla democrazia, chi spara e uccide è un eroe, un rivoluzionario. Com’è possibile? Con il trucco più antico del mondo: la propaganda di guerra. Senza generalizzare troppo, si può affermare che dietro i disordini mondiali di ieri e di oggi ci sono gli Stati Uniti e l’Europa, in piena crisi. La guerra può essere un ottimo modo per nascondere i problemi reali. Secondo un recente sondaggio il 53% degli europei non si sentono europei. Quale modo migliore per risvegliare un sentimento nazionalista europeo? La guerra fa esaltare gli animi, giocando sul concetto di “bene e di male”, “di giusto e sbagliato”. Con la propaganda si giustificano e legittimano interventi militari, rovesciamenti di potere, accaparramenti di risorse minerali. È successo durante la Prima e la Seconda guerra mondiale, quando ciascun Paese esaltava i propri soldati, definendoli eroi, e presentava i suoi nemici dei macellai senza scrupoli. All’epoca si usavano i manifesti,giornali, cartoline, francobolli e la radio. Oggi i mezzi di comunicazione sono cambiati. Sono più potenti e sofisticati. Sono capaci di manipolare la realtà e far passare operazioni militari in missioni umanitarie, golpe in rivoluzioni, dittature in democrazia. Lo abbiamo visto per prima volta in Jugoslavia (1999) e in seguito nelle guerre in Afghanistan, Iraq, Costa d’Avorio, Libia e Siria. E oggi in Ucraina, dove il governo di Janukovyc è stato destituito a colpi di granate. Lo si tenta di fare in Venezuela, ma Maduro non è uno sprovveduto, ha già fatto esperienza con Hugo Chávez. È da quindici anni che l’opposizione usa la stessa tattica, dalla prima elezione di Chávez. Si cerca di seminare il caos, di provocare le forze dell’ordine e di screditare le autorità governative attraverso i principali media internazionali. Maduro conosce bene i meccanismi e ha invitato la Cnn a smettere di divulgare informazioni e immagini false, altrimenti le trasmissioni della rete satellitare statunitense saranno bloccate. “Bisogna smetterla con questa propaganda di guerra: guardo la CNN nel mio ufficio, si tratta di una programmazione di guerra, vogliono far credere al mondo che il nostro Paese è in stato di guerra civile mentre in Venezuela la gente lavora”, ha dichiarato Maduro alla televisione pubblica venezuelana. In due libri, Manipulación y medios en la sociedad de la información" e “Ciudadaníacibernética, la nueva utopía tecnológica de la democracia”, Ángeles Díez, professoressa di Scienze politiche e di Sociologia all’Università di Madrid, definisce i media come delle armi nelle mani dei potenti che li usano per diffondere guerre e controllare il potere. O meglio ancora, i colossi dei media sono “la guerra e il potere”. Quello che sta accadendo in Ucraina e in Venezuela è un copione visto e rivisto. Ad esempio, quando un mass media parla di “regime ucraino”, l’uditore l’assimila alla “dittatura” per via delle “matrici conoscenza” precedentemente stabilite e così qualsiasi immagine di omicidi o di edifici demoliti saranno messe in conto al dittatore Janukovyc. In tutti i disordini mondiali, c’è l’individuazione, la personalizzazione e la demonizzazione del nemico, che incarna il male assoluto, come accaduto con Saddam Hussein, Muammar Gheddafi o Bashar al-Assad. Allo stesso tempo, si cerca sempre di presentare l’opposizione come “pacifica” e “non-violenta” . Un po’ come i manifestanti ucraini, armati fino ai denti, o i ribelli siriani. Secondo Ángeles Díez, i media mainstream non fanno informazione, ma “vendono” la guerra come “umanitaria”: si fa “ appello alle emozioni e alla buona coscienza delle persone, ma anche presentare il conflitto in termini manichei come una guerra tra il bene e il male”. Per i conflitti in Afghanistan, Iraq, Libia e Siria, i media hanno descritto questi Paesi come una minaccia per l’intero pianeta e i loro governanti come dittatori criminali che bombardavano e massacravano il proprio popolo. Le regole del gioco possono cambiare di volta in volta, ma ci sono delle costanti, come ad esempio diffondere notizie di un malcontento diffuso fra la popolazione contro i tiranni, inventando fatti irreali. L’esempio più recente è il Venezuela. In questi giorni, i media embedded (la Cnn) hanno raccontato che la polizia venezuelana ha violentato i giovani studenti con i fucili, rifacendosi a testimonianze di manifestanti che hanno detto alla stampa: “Abbiamo bisogno di un morto”. O che su Twitter scrivono messaggi per incitare la gente a uccidere Maduro o che suggeriscono di rapire il figlio del Presidente dell’Assemblea Nazionale, Diosdado Cabello. Nulla di nuovo. Durante l’invasione dell’Iraq nel 2003 si parlò di un’opposizione interna contro Saddam Hussein, ma nessun media riuscì a immortalare la sua esistenza, come dimostra la bassa presenza del pubblico quando, a conclusione della guerra, fu abbattuta la sua statua. Altro esempio, nessun media ha mai trasmesso le manifestazioni di massa a sostegno del governo siriano. Infine, tra i meccanismi di disinformazione, c’è quello che la Díez definisce la « saturazione delle immagini con un forte impatto emotivo», in grado di azionare i meccanismi mentali che regolano la collera e l’aggressività, in modo da rendere cieca l’opinione pubblica. Come quando gli Usa invasero l’Afghanistan. In quell’occasione, i media riproposero più volte al giorno sugli schermi televisivi la sequenza dell’aereo che si schianta sulle torri gemelle per mantenere vivo lo shock emotivo. O come in Ucraina, per fare un esempio più recente, dove dopo la rimozione di Janukovyc i media hanno diffuso le immagini di Yulya Timoshenko, l’ex presidente incriminata per malversazione di fondi pubblici, che ha definito in mondo visione, i manifestanti neonazisti degli “eroi”. L’immagine che rimane impressa nella mente dell’opinione pubblica è di lei in sedia rotelle, con la ricrescita ai capelli e visibilmente provata, che grida: “La dittatura è finita”. E il messaggio che passa è che Janukovyc era uno spietato “dittatore”. Come afferma Giulietto Chiesa in un suo articolo, in que¬sti anni “decine di Ong, fondazioni, istituti di ricerca, università europee e americane, e canadesi, hanno invaso la vita politica dell’Ucraina”. Si parla di Freedom House, National Democratic Institute, International Foundation for Electoral Systems, International Research and Exanges Board. E, men¬tre si “faceva cultura”, scrive il giornalista italiano, e si compravano tutte le più importanti catene televisive e radio del Paese, una parte dei fondi servivano per finanziare le squadre paramilitari, sostenuti dagli “agenti dei servizi segreti occidentali”. Questi sono gli “eroi” che hanno “liberato” l’Ucraina, che volge lo sguardo verso la Nato.Roberta Mura
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